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Latte di soia? Posizioni contrapposte

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Dopo anni in cui si è esaltato il consumo di soia come valida alternativa ai prodotti di origine animale, per l’elevata presenza di proteine, grassi benefici e isoflavoni, negli ultimi anni si è delineata una corrente di pensiero che tende invece a demonizzare il consumo di questo antico legume.
Il latte di soia è il sostituto del latte vaccino più noto e consumato, soprattutto perché ricco di proteine. Tra tutti è quello meno calorico e con la minor quantità di grassi, per lo più polinsaturi; contiene inoltre fibre, vitamine E, A e ferro; è indicato anche ai diabetici per i suoi zuccheri a lento rilascio.
Negli ultimi anni, circa il suo utilizzo per l’alimentazione umana, si sono evidenziati pareri discordanti in merito. Negli Stati Uniti, in particolare, la Weston Price Foundation ha raccolto e finanziato degli studi condotti e sperimentati unicamente sugli animali, che hanno evidenziato nel legume la presenza di una serie di sostanze pericolose tra cui: inibitori della tripsina, un enzima che scinde le proteine, la cui assenza potrebbe predisporre all’ingrossamento e al carcinoma del pancreas; sostanze antitiroidee; fitoestrogeni, possibili cause di infertilità, tumori mammari e ovarici; acido fitico, in grado di bloccare l’assimilazione del calcio e inibire quella di ferro, magnesio, rame e zinco, con conseguenti problemi di malnutrizione e osteoporosi.
Sulla scia di questo allarmismo si è cercato di limitare la presenza di queste sostanze isolando la proteina della soia (Spi, Soy protein isolate) attraverso un complesso processo chimico, con effetti ancora più discutibili: il trattamento ad alte temperature distrugge infatti le proteine, e uno speciale lavaggio effettuato in serbatoi di alluminio lascia non pochi residui tossici. Molto più sicuro è invece il metodo della fermentazione, come ben sanno le popolazioni orientali che da secoli utilizzano la versione fermentata della soia (miso, tempeh, salsa shoyu e tamari).
In ogni caso, a porre fine a questo allarmismo è stata la responsabile del settore salute della Vegetarian & Vegan Foundation, la dottoressa Justine Butler, che ha sottolineato come la maggior parte di questi studi sia stata pilotata da un’organizzazione nata con il preciso scopo di mettere in cattiva luce la dieta vegetariana e vegana, attaccandone l’alimento principale a favore di un ritorno a un’alimentazione tendenzialmente carnivora e ricca di grassi animali; pertanto, nel suo articolo apparso su The Guardian, la Butler ribadisce l’assoluta sicurezza della soia biologica e non geneticamente modificata e la sua importanza nel combattere tutta una serie di patologie, come quelle cardiovascolari, il diabete, l’obesità, il tumore della mammella e della prostata, l’osteoporosi, e nel contenere molti fastidiosi disturbi collegati alla menopausa, come innumerevoli e ragguardevoli studi hanno dimostrato da decine di anni.
Dello stesso parere è anche l’oncologo Franco Berrino il quale ci ricorda, nel suo libro Il cibo dell’uomo, come il consumo di prodotti a base di soia in pazienti oncologiche abbia ridotto il numero di recidive, con un generale miglioramento della prognosi.
Dubbi restano sull’utilizzo della soia nei primi tre anni di vita, sia per il rischio di allergie, come evidenziato dalla Società francese di pediatria, sia per i possibili effetti sulla crescita e lo sviluppo sessuale dovuti all’elevata presenza di fitoestrogeni, come sostenuto dall’Accademia americana delle scienze.
Ma il problema maggiore, soprattutto dal punto di vista ambientale, resta la massiccia produzione di soia ogm utilizzata per l’alimentazione animale, che può causare piccole e involontarie contaminazioni anche nel biologico, con effetti sia sulla salute che sull’ambiente, come la progressiva riduzione della biodiversità e l’impoverimento delle colture.
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Articolo tratto dal mensile Terra Nuova

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