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Cuocere nelle pentole di terracotta: gusto e salute

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L’utilizzo delle pentole di terracotta è un elemento vincente nell’alimentazione mediterranea (e non solo), perchè dà la possibilità di cucinare in modo salutare con tanto gusto. E la cucina italiana è ricca di pietanze che richiedono una cottura in pentole di coccio.
Cuocere nelle pentole di terracotta: gusto e salute
Le proprietà porose dell’argilla permettono uno scambio di calore e umidità ottimali, che permettono di evitare oli e grassi in eccesso. E il gusto fa la differenza.
E la cucina italiana è ricca di pietanze che richiedono una cottura in pentole di coccio. In particolare il Centro Sud italiano vanta una tradizione secolare che storicamente ha visto fiorire insieme all’artigianato una gastronomia particolarmente ricca di aromi e sapori decisi: intingoli, zuppe, spezzatini e legumi. Ma l’uso di queste tecniche di cottura è presente anche nel Nord Italia, con esempi culinari che vale la pena ricordare, perché purtroppo gli strumenti originari in coccio, oltre che dalle cucine, sono scomparsi dall’immaginario comune. È il caso dei testaroli della Lunigiana, sottili dischi di pasta da tagliare a quadretti, da scottare in acqua bollente per poi essere abbinati al pesto. Come dicono i vecchi di Pontremoli e dintorni, quelli che oggi si acquistano nei supermercati avvolti nella plastica, possono essere anche buoni, ma sono solo un pallido ricordo di quelli di una volta.
L’attrezzo indispensabile per la preparazione dei testaroli era infatti «il nero testo di porosa argilla» come lo chiamava il Pascoli. Al loro posto oggi però vengono comunemente utilizzati quelli in ghisa, con risultati non sempre soddisfacenti per il palato. Con il sapore si è persa anche una ritualità fatta di poesia e di gesti quotidiani carichi di attenzione. Dopo aver surriscaldato i due testi sulla fiamma del camino, quello superiore veniva ricoperto di brace ardente e di cenere, mentre l’altro veniva appoggiato sugli alari, sotto ai quali veniva accatastata la brace. La cottura lenta e uniforme, come raccontano i vecchi, conferiva al prodotto un sapore inconfondibile.
Qualche chilometro più a Nord, oltre i crinali delle montagne, incontriamo la tigella, una celebre focaccina da trattoria che si accompagna con ogni forma di companatico e del buon lambrusco. Le tigelle in realtà, gli emiliani autentici lo sanno bene, non sono il prodotto stesso, ma il nome degli stampi di terracotta con cui una volta si cuocevano le «crescentine» nelle zone montane dell’Appennino Modenese. Anche in questo caso gli attrezzi del mestiere venivano messi a scaldare fra le braci del camino. Successivamente si impilavano inframezzate dall’impasto e foglie aromatiche di castagno, fino a cottura ultimata.
Seguendo la via Emilia verso l’Adriatico, in un percorso che va indietro nel tempo, scopriamo che nel coccio veniva cucinata anche la piadina, diventato un celebre prodotto del «fast food» in salsa romagnola, anch’esso con una nobile storia alle spalle. I documenti sulla fabbricazione degli appositi dischi di terracotta risalgono addirittura al 1527. In particolare nella storia economica regionale spiccano i tegliai di Montetiffi, che rifornivano tutta la Romagna con gli utensili necessari alla cottura di quello che era allora il pane quotidiano. 
La «teglia» è un disco di terracotta con i bordi rialzati, realizzato con un’amalgama di polvere quarzosa e terra rossa. La porosità del materiale fa sì che la teglia assorba l’umidità della piadina e le restituisce un aroma particolare insieme al fascino antico. La teglia in questo caso è allo stato grezzo, non viene smaltata, ma fatta in terra, acqua e calcite. Tecnicamente è quello che si chiama una monocottura , grezza da fuoco. La teglia resiste alle alte temperature, anche alla fiamma diretta, l’unico problema è che bisogna stare attenti all’umidità: mai lavarla con l’acqua e lasciarla bagnata!
Bella e decorativa in cucina, la pentola in terracotta è l’ideale per la cottura di legumi, cereali integrali, stufati e minestroni. Mentre tutti i metalli assorbono rapidamente il calore, e altrettanto rapidamente lo trasmettono al cibo, la terracotta funziona come un isolante: si scalda molto lentamente, e cede molto lentamente il calore che ha assorbito. Questo ne fa il materiale ideale per la cottura di quei piatti che richiedono lunghe cotture senza sbalzi di temperatura, per cui è importante che il riscaldamento iniziale sia graduale. La macrobiotica ci va a nozze.
Meglio scartare le terracotte smaltate con vernici troppo colorate o giallastre, che se provengono da determinati paesi potrebbero contenere metalli non salubri. Come «prova del fuoco» si può provare a batterla sul bordo: il suono non deve essere sordo ma piuttosto tinnulo, indice di una cottura ad alta temperatura, quindi di una pentola resistente. E c’è chi la pentola la preferisce non smaltata. 
Le regole di buon uso valgono per tutte le pentole, anche quelle smaltate. In particolare, per saturare i pori prima dell’utilizzo si devono immergere in acqua per 7-8 ore. Se si vuole togliere l’eventuale sapore di terra, si possono trattare poi con aglio, oppure con una bollitura di acqua e latte. Le avvertenze di manutenzione non finiscono qui: dopo il lavaggio va lasciata asciugare completamente: mai asciugare con uno strofinaccio e riporre al chiuso! L’umidità penetrata all’interno potrebbe far riemergere dell’acqua stagnante e determinare il cattivo odore delle pentole.
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