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I sioux hanno vinto: l’oleodotto non si farà

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L’Army Corps of Engineers ha annunciato che non approvera’ i permessi per costruire il Dakota Access Pipeline sotto un pezzo del fiume Missouri e vicino a terre sacre agli indiani d’America. Si temeva per l’inquinamento dell’acqua e per la devastazione dei cimiteri centenari.
PURTROPPO L’AGGIORNAMENTO A FEBBRAIO 2017 è CHE IL PROGETTO è STATO APPROVATO. QUI PER APPROFONDIRE
«Jo-Ellen Darcy la Assistant Secretary delle opere interne per conto dell’Army dice che considereranno percorsi alternativi, in cui ci saranno delle valutazioni di impatto ambientale con le osservazioni del pubblico» ricostruisce sul suo blog Maria Rita D’Orsogna, fisico, docente universitario e attivista ambientale. 
La storia parte molto tempo fa.
«Il Dakota Access pipeline e’ un proposto oleodotto di 1700 chilometri che avrebbe dovuto trasportare 400,000 barili di petrolio ogni giorno (64 milioni di litri!) provenienti dai campi petroliferi detti Bakken e Three Forks nel nord Dakota ed estratti con il fracking, nella sua versione per petrolio.
 In questo momento il petrolie viene trasportato via rotaia. L’oleodotto cosi come era stato proposto nel 2014 avrebbe dovuto attraversare il North Dakota, South Dakota, lo Iowa, e poi finire nella citta’ di Patoka, nell’Illinois. Da qui, una ragnatela di altri oleodotti avrebbero dovuto trasportare il petrolio in tutta la nazione. Dicono che l’oleodotto servira’ a decongestionare il trasporto su rotaia ed a renderlo meno pericoloso, e dunque a salvare l’ambiente.  Arrivano i costruttori a realizzare questo DAPL – Dakota Access Pipeline. La ditta si chiama proprio come l’oleodotto, Dakota Access ed e’ una filiale della Energy Transfer che gia’ controlla 114mila kilometri di oloeodotti USA. Indovinate con chi fa affare questa Dakota Access e questa Energy Transfer? Con il futuro presidente Trump! Ad ogni modo, la costruzione del DAPL e’ iniziata verso Aprile 2016, dopo essere stata approvata da vari enti degli enti statali interessati, e dopo anche vari espropri di terre di privati.  Piu’ o meno siamo ora all’87% del tracciato gia’ completato. Doveva essere tutto finito entro il 1 Gennaio 2017. Ma ci sono di mezzo gli indigeni, gli indiani d’America che protestano da due anni almeno. Non vogliono l’oledotto. Punto. Questo perche’ prendono l’acqua dal fiume Missouri e sono preoccupati di eventuali perdite che potrebbero inquinarla, e poi come detto sopra, perche’ l’oleodotto si snoderebbe fra terre a loro sacre, siti archeologici e cimiteri. Soprattutto, dicono di non essere mai stati interpellati nella progettazione di questo oleodotto. Le proteste si sono intensificate nell’estate del 2016: quando quelli della Dakota Access i intestardiscono e decidono di non voler cedere nemmeno su un particolare tratto dell’oleodotto. E’ un tracciato particolare, sotto il Lake Oahe, particolarmente prezioso ai Sioux e a 800 metri dalla loro riserva. I permessi qui devono essere dati da vari enti. Gia’ a Settembre 2016 l’amministrazione Obama aveva dato il suo no al cosiddetto DAPL. La palla passava appunto a questo Army Corps of Engineers».
Chi sono costoro?
«E’ un corpo fondato circa 200 anni fa per studiare ed approvare a livello centrale strade, canali, ferrovie ed altra infrastruttura di “importanza nazionale” che magari comprendono piu’ stati e che in qualche modo interessano l’approvvigionamento idrico nazionale.  Per esempio, quando venne approvato il Clean Water Act, sotto Nixon nei primi anni ’70, questi dell’Army Corps furono incaricati di sorvegliare tutte le infrastrutture idriche nazionali per far si che   i controlli all’acqua potabile venissero eseguiti secondo la nuova legge e che i limiti di inquinamento venissero rispettati. L’Army Corps deve dunque dare il suo nulla osta a tutti i progetti che in qualche modo intaccano o hanno la possibilita’ di intaccare la rete e le sorgenti idriche nazionali. E doveva darlo – e l’ha dato – anche per il Dakota Access Pipeline. Le cose pero’ si complicano quando di mezzo ci sono gli indiani d’America, maltrattati da 500 anni. Gli indiani hanno un attaccamento profondo alle loro terre, e in teoria le riserve in cui vivono sono oggi sotto la propria giurisdizione. Sulle riserve per molte cose hanno l’autonomia e possono decidere da se.  C’e’ pero’ una imporante considerazione: durante la conquista del west le tribu’ indigene vennero spesso spostate dalle loro terre ancestrali verso altri siti, che oggi sono diventate le riserve indiane. In molti casi queste riserve nulla hanno a che fare con i siti storici. Cimiteri, aree archeologiche e altre zone che gli indiani considerano sacre non sempre (e anzi quasi mai!) sono dentro i confini delle riserve. Semplicemente a suo tempo le riserve vennnero disegnate a tavolino altrove, senza preoccuparsi di metterci dentro l’area X perche’ non ci pensarono o perche’ era impossibile farlo. L’Army Corps riconosce tutto cio’ e quindi ogni volta che devono approvare un progetto nelle vicinanze di siti di indiani d’America sono sotto l’obbligo di fare tutto il possibile per identificare siti archeologici o storici di speciale importanza per le tribu indiane vicino a tali progetti, e soprattuto che gli indiani debbano essere interpellati prima che le loro ex-terre diventino qualsiasi altra cosa. E in questo caso non e’ successo».
«I Sioux di Standing Rock Sioux non sono stati consultati – o cosi dicono. L’Army Corps e i signori del Dakota Access dicono invece di si ed e’ in base a questa supposta consultazione che hanno hanno approvato il tutto con un “fast tracking”. Sono stati consultati si o no? Ad Agosto 2016 si apre un contenzioso legale con i Sioux che chiedono che i lavori siano fermati anche sulla base della supposta non-consultazione ne con i Sioux ne con nessun altro. Non ci sono neanche stati approfondite valutazioni ambientali. Le autorita’ locali dicono invece che “molto probabilmente” i Sioux erano stati consultati e quindi si puo’ continuare con questo oleodotto. Le proteste si allargano, iniziano a parlarne l’intero paese. Arrivano i protestanti sui siti in massa. La Dakota Access continua a costruire il suo oloedotto in zone di minor dissenso. Poi il Dipartimento della Giustizia, il Dipartimento dell’Army, il Dipartimento dell’Interno sotto l’amministrazione Obama mandano una ingiunzione per fermare tutti i lavori sulle terre che i Sioux considerano sacre in modo da capire come procedere, mentre ci sono i vari teatrini sulla consultazione si o no. Viene chiesto a piu’ parti da questo Army Corps of Engineers di riedere la propria posizione e di fare una valutazione di impatto ambientale piu’ approfondita, che consideri maggiormente l’opinione dei Sioux. Intanto la protesta si allarga. Quasi tutte le tribu’ americane hanno dato il loro supporto ai Sioux di Standing Rock. Vari membri della Camera e del Senato hanno scritto ad Obama chiedendogli di intervenire direttamente per fermare l’oleodotto della nostra discordia. Sono state settimane intense, con feriti, atti di vandalismo, tensione, giornalisti arrestati. Ma gli indiani e chi li appoggiava non si sarebbero arresi.  Intanto i lavori in altre parti del tracciato sono andati avanti, ed e’ per questo che in realta’ l’oleodotto, a parte il pezzetto dei Sioux, e’ quasi completo. Ma lo stesso, questa decisione odierna, dell’Army Corps of Engineers segna una vittoria. Dopo tanti mesi di testardaggine, infatti, quelli dell’Army Corps oggi 4 Dicembre 2016 si sono dovuti arrendere all’evidenza, ad ammettere che non avevano fatto le cose per bene nell’approvare questo Dakota Access Pipeline cosi in fretta e senza interpellare i diretti interessati. Dave Archambault II, il rappresentante dei Sioux di Standing Rock ha ringraziato tutti – Obama, il Dipartimento della Giustizia, il Dipartimento dell’Interno, e pure l’Army Corps per questo risultato».  Dopo mesi e settimane di angoscia, hanno esultato un po tutti al canto di “We will not fight tonight, we will dance!”
«La gente era accampata da settimane e mesi e ci si preparava a resistere per tutto l’inverno, accampati al freddo pur di non darla vinta ai petrolieri.  Erano arrivate le celebrita’ in persona o a dare il loro supporto – da Jane Fonda a Mark Ruffalo, da Leonardo di Caprio a Robert Kennedy, da Susan Sarandon a Ben Affleck, da a Shailene Woodley. Ci sono state azioni di protesta in vari campus americani, per le strade di Washington e di New York, e qualche giorno fa sono arrivati anche 2mila veterani di guerra a dare una mano. Neve, freddo, minaccie. Non c’e’ stato niente da fare, alla fine, abbiamo vinto ancora noi, gente normale, con la persistenza, e la resistenza ad oltranza. Grazie. E’ un bel giorno».

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