Saper porre i giusti limiti ai figli è un modo per aiutarli a divenire adulti consapevoli. Ma occorre farlo garantendo ascolto e rispetto. I consigli di un’educatrice montessoriana
Sfiniti dai pianti, frustrati o irritati dai capricci, addolorati di fronte a estenuanti battaglie e ribellioni apparentemente inspiegabili, combattuti dopo avere alzato la voce o le mani: vi riconoscete, mamme e papà? Quanti genitori potrebbero dire di non aver mai vissuto simili momenti? Eppure, malgrado queste difficoltà, si è comunque, e si resta, perdutamente “innamorati” dei propri figli. Ma, allora, come fare per uscire da questa lotta quotidiana con se stessi? E come comportarsi al meglio senza ricorrere a punizioni o misure drastiche per poi sentirsi in colpa? Come accompagnare i figli nella loro crescita senza intimidirli, reprimerli o farli sentire in colpa?
Stop è una sorta di manuale pensato e scritto a misura di genitore; ed il genitore saprà riconoscersi negli ostacoli elencati e trovare conforto e aiuto concreto nei consigli e nei suggerimenti. Qualche anticipazione utile? Eccola.
Innanzi tutto, i limiti sono suddivisibili in tre categorie. Ci sono le regole flessibili e negoziabili, le tradizioni e le abitudini di famiglia e poi le leggi scritte, quelle che impongono determinate condotte nei luoghi pubblici o comunque dove ci si confronta con terzi. Per le prime, anche il contesto è importante da valutare, si propongono spiegazioni brevi e semplici per far capire al piccolo la ragione del no, si possono proporre attività alternative. Riguardo alle abitudini familiari, è bene conservare i riti che più si amano e lasciare da parte gli altri, perché il piccolo assorbirà come una spugna tutto ciò che vedrà; bello e utile, per il genitore, è anche condividere con lui i propri valori autentici, facendo in modo che apprezzi il fatto che vengono vissuti con il cuore. Quando si tratta di regole più vincolanti, «benché sia importante lasciare il bambino libero di essere se stesso senza limitare i suoi bisogno fisiologici, può essere utile dirgli “Stop” quando è il momento, senza aggiungere nulla di colpevolizzante, solo un segnale d’arresto» spiega l’autrice. «Se non basta, lo si può prendere tra le braccia impedendogli di commettere l’azione che ritenete inaccettabile. Sentendosi impotente accanto a voi, un’enorme collera potrà scatenarsi in lui: è bene prepararsi ad assistere alla crisi di rabbia e ad accoglierla lasciando il piccolo libero di gesticolare».
L’auspicio è quello di riuscire a stabilire un legame con il bambino riferendosi ai sentimenti che prova. «Per esempio, se torna da scuola lamentandosi di un insegnante, è meglio evitare di dirgli: “Si sistemerà tutto” o “Il tuo insegnante sa quel che fa” oppure ancora “Ti lamenti sempre!”. È più utile limitarsi a un “Sei proprio arrabbiato, eh?”. In questo modo, il bimbo si sentirà pienamente compreso e potrà procedere oltre, prendere le distanze dalla propria rabbia e trovare soluzioni in autonomia». «Se non si è pronti ad ascoltare il proprio figlio» prosegue Dumonteil-Kremer, «meglio rimandare piuttosto che mostrare dei segni di disattenzione ai quali i bambini (e gli esseri umani in generale, tra l’altro) sono estremamente sensibili. Il linguaggio del corpo deve mostrarsi in sintonia con le parole; ad esempio ci si può posizionare alla stessa altezza del bambino figlio, sostenendone lo sguardo e manifestandogli completa disponibilità».
Se i bisogni dei genitori e quelli del figlio sono in contrapposizione e ci si trova a vivere con regolarità situazioni conflittuali, è utile intraprendere una sorta di negoziazione. Ma prima occorre sfogare il più possibile rabbia e dispiacere e sbarazzarsi delle emozioni negative. «Se si inizia una negoziazione, non si deve cercare di dirigerla; è invece utile provare ad avere un atteggiamento aperto per accogliere i sentimenti e le proposte del bambino. Non si deve fare la morale o dare consigli, ma semplicemente cercare di definire i propri bisogni e aiutare il figlio a definire i propri. Dopo aver espresso i rispettivi bisogni, entrambe le parti formulano possibili soluzioni. Nel farlo, non si deve esitare a includere soluzioni apparentemente impossibili e bizzarre: più ci si lascia andare alla fantasia, maggiori sono le possibilità di trovare una soluzione efficace. Da questo punto di vista, i bambini possono sorprenderci se li si lascia liberi di esprimere tutte le alternative che vengono loro in mente. Solitamente il genitore prova la forte tentazione di giudicare le soluzioni proposte, di influenzare il figlio, di discutere affinché adotti una condotta su cui riflettete da tempo, ma tutto questo nuocerebbe al processo di risoluzione del conflitto e all’autostima che il bambino sviluppa quando percepisce l’apertura da parte dei genitori. Occorre prendere nota di tutte le possibilità espresse, poi eliminare quelle inaccettabili. Infine scegliere quella che pare adatta, metterla in atto per un periodo di tempo da definire e, al termine di tale periodo, discutere della sua efficacia».
È oggi più che mai evidente che i genitori crescono e imparano a loro volta proprio grazie ai figli, rimettendosi in discussione, avendo così l’opportunità di diventare persone migliori. Questo Catherine Dumonteil-Kremer lo sa e invita ad abbandonare definitivamente la visione dell’adulto che impone al bambino l’obbedienza a qualsiasi costo. «Se rispettiamo nostro figlio, non obbedirà ciecamente ad ordini, ma sarà capace di capire le persone e di scegliere se fare o no quel che gli viene chiesto. Fortunatamente, il nostro ruolo di genitori è diventato complesso. Dobbiamo riflettere su un modo diverso per comunicare con i nostri figli, cercare informazioni e incoraggiamento all’interno di gruppi, lavorare su di noi. È il progetto di una vita, ma ne vale la pena. Un mondo migliore ci attende al termine di questo cammino».
Piccoli trucchi per non farsi travolgere dalla rabbia
La reazione di rabbia da parte di un genitore può presentarsi all’improvviso. «Molti adulti descrivono il proprio stupore quando si sentono e si vedono violenti con i figli, eppure non riescono a porre termine alla situazione» spiega l’autrice diStop. Il genitore deve chiedersi cosa lo spinge al limite. Il fatto che figlio non mangi? Che sia maldestro o che piagnucoli? Che litighi con i propri fratelli e sorelle? «Le risposte a queste domande permetteranno di stabilire una strategia». Intanto ecco qualche trucco per gestire al meglio l’emergenza.
-
Quando sentite salire la rabbia, avvertite vostro figlio: “Mi sa che sto per uscire dai gangheri, preferisco rimanere un po’ da solo”.
-
Fuori contesto, spiegategli cosa succede. I vostri genitori non tolleravano che voi non mangiaste e, quando vivete la stessa situazione con lui, risveglia in voi delle sofferenze. Lavorerete sulla questione secondo il vostro ritmo. Nel frattempo, adottate misure per proteggerlo.
-
Isolatevi per tentare di sfogare la vostra rabbia colpendo con forza un cuscino o gridando sul cuscino: “Basta!”, “Stop!”, “Non ne posso più!”. Anche se gridare in un cuscino attutisce i suoni, avvisate comunque vostro figlio in merito a quel che state per fare.
-
Uscite, andate a correre, fate fatica, se potete.
-
Quando sentite i vecchi mostri tornare a galla, fatevi sostituire immediatamente. Non sempre è possibile, ma potete rivolgervi a strutture collettive per un’ora o due.
-
Chiamate un altro genitore con cui siete in confidenza e parlate della vostra rabbia, scambiatevi ascolto e sostegno.
-
Prendetevi del tempo per pensare nel dettaglio alla vostra infanzia. Stabilirete legami tra quel che vivete oggi, vostro figlio e quel che avete ricevuto.
-
Cercate un modo per voi adatto per lavorare su voi stessi. Con una terapia, vi sarà sempre più facile essere consapevoli, affettuosi e comprensivi, e non solo con i vostri figli.
-
Create o unitevi a un gruppo di sostegno per genitori.