Ecologia e passione sul balcone del cielo
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Sono stato invitato a partecipare come giornalista al convegno Nutrire il Pianeta presso una struttura d’eccezione, Le Balcone du Ciel, una struttura in legno e vetro a 1600 metri, nel Comune di Mont-Noble della Valle D’Herein (Canton Vallese). Un luogo ameno e ricco di suggestioni culturali, nei pressi di Nax, dove le politiche locali sembrano voler puntare sulla conversione ecologica di un’area a prevalenza agricola, favorita da un clima più mite di quanto ci si possa aspettare. Sulle alture del paese l’ Hotel Maya, il primo albergo al mondo costruito interamente con balle di paglia, autosufficiente dal punto di vista energetico grazie al ricorso alla coibentazione naturale, e ai pannelli solari sottovuoto, tubolari che fanno da ringhiera ai balconi dell’intera struttura. Grazie a un progetto che coinvolge tutta la vallata agli ospiti che viaggiano con i mezzi pubblici viene data un’automobile elettrica in prestito per gli spostamenti.
Dopo una piacevole chiacchierata con il gestore, Louis, un raffinato e simpatico ragazzone di origine greche, siamo stati accolti nella struttura del Balcon du Ciel nel modo migliore. Deliziati cioè dall’assaggio di vini della vallata e dei prodotti biologici locali. La tavola rotonda, condotta dalla giornalista Lydia Gabor della Radio svizzera, ha raccolto artisti, intellettuali, operatori sociali, attorno al tema sui temi alti dell’utopia, del sogno, della passione, dell’impegno sociale, in una prospettiva non solo pratica, ma anche spirituale, in un senso laico e inclusivo. Il mattatore dell’incontro André Pignat, direttore del Balcon du Ciel, ha insistito sul ruolo sociale e motivazionale dell’abbellire il mondo, attraverso un linguaggio che spazia tra musica, danza, enogastronomia e i temi più impegnati. Alla base di tutto però, secondo quest’artista, un po’ intellettuale, un po’ menestrello, c’è lo scopo di portare gioia e felicità. Il contesto della tavola rotonda, lasciatemelo dire, era davvero fuori dal comune: uno scambio sul valore della propria esperienza raccontato da personalità del mondo politico, economico, finanziario e sociale. Tra i vari interventi hanno brillato quello di Christophe Lucas, una figura dirigenziale nel mondo bancario, ma piuttosto fuori dalle righe, che si occupa di far convergere gli investimenti verso i progetti sociali, Bernard Lévy, marsigliese di origine, esperto di formazione con soggetti svantaggiati.
Durante la tavola rotonda si è parlato anche dell’esperienza di crowdfunding di Marc de la Menardière et Nathanaël Coste, i registi del film In cerca di senso, proiettato quest’anno in esclusiva anche al Terra Nuova Festival a Camaiore, lo scorso giugno.
Alla sera abbiamo assistito alla nuova creazione della compagnia Interface “J’ai hate d’aimer ”. Un’ora scarsa di spettacolo intenso, in cui la danza, si intrecciava con la musica originale di André Pignat, e la parola del poeta franco-uruguayano Francis Lalanne. Sul finale il compo di scena, con le pareti del Balcon du Ciel che si sono sollevate e l’ingresso di un cavallo con le montagne svizzere all’imbrunire a fare da cerniera all’evento.
A conclusione del viaggio abbiamo voluto intervistare André Pignat, che ci ha colpito, oltre che per l qualità artistiche, per la visione utopica e sociale, che unisce allo stile di vita improntato a un modello di condivisione economico della compagnia Interface di Sion.
Effettivamente Interface integra la passione di ciascuno all’interno del lavoro personale. Per prima cosa, questo accade nella gestione del tempo: il mattino ciascuno puo’ sviluppare il proprio lavoro personale, e solo a partire dal pomeriggio il lavoro diventa collettivo. Ma Interface si prende carico del finanziamento e mette a disposizione gli strumenti, per permettere che ogni lavoro personale possa svilupparsi senza nessun problema di reddito. Ad esempio il nostro attore Thomas che ha come passione i cavalli. La compagnia Interface ha incorporato nel proprio lavoro il progetto del cavallo, assumendosi i costi da un punto di vista finanziario, e integrando un cavallo nello spettacolo, lasciando quindi a Thomas la possibilità di lavorare con lui tutte le mattine.
Interface mette in scena una forma d’arte olistica che rivaluta il ruolo della corporeità e della passione. In che modo questo approccio si manifesta nella vostra vita reale al di fuori del palcoscenico?
Ogni membro di Interface definisce il suo spazio intimo come lo sente, ad ogni modo, la maggior parte delle volte, se una persona di Interface si innamora questa integra la persona nella struttura, altrimenti è complicato avere una relazione intima all’esterno della struttura stessa, a causa del mestiere che facciamo e del tempo di cui disponiamo. Se non siamo in tournée (circa 150 giorni l’anno) siamo nel processo creativo (cosa che prende tutta la nostra energia mentale), o gestiamo i nostri teatri, cosa che occupa tutte le serate…
Le relazioni amorose serene sono state vissute fino ad ora solo all’interno della struttura. Dopo di che, nella struttura tutto è possibile secondo la scelta di ciascuno. Non ci sono modelli, sta ad ognuno concepire la sua intimità e le sue relazioni con gli altri.
In effetti, riassumendo, tutto è possibile, sta a ciascuno vivere la propria vita senza tabù e ostacoli. A questo modello di vita si aggiungono le creazioni: quando si crea uno spettacolo, per esempio durante la creazione di Pazzi, spettacolo sulla vita monacale, durante tutta la creazione durata un anno, abbiamo vissuto al ritmo dei monaci: ognuno nella propria celletta, sveglia alle 5 e così via. Un altro esempio è Kaos, spettacolo sull’alchimia e l’animismo. Bene, qui abbiamo dormito tutti nella stessa camera senza nessuna intimità, per riprodurre le condizioni di vita delle tribù cosiddette primitive…Alla fine lo spettacolo parla proprio di questa esperienza: per Interface infatti un pensiero non ha alcun valore se non c’è dietro l’esperienza del pensiero.