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La marea rossa che devasta il Cile

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Una enorme proliferazione di alghe tossiche sta devastando le coste dell’isola di Chiloé: muoiono pesci, crostacei e mammiferi. Gli scienziati confermano: la causa sono i cambiamenti climatici.
La chiamano “marea roja” e in pochissimo tempo ha trasformato l’arcipelago cileno di Chiloé da meta turistica in cimitero della biodiversità, marina e non solo. La marea in questione è frutto dell’abnorme proliferazione di alghe tossiche e maleodoranti che hanno messo in ginocchio la pesca e l’economia locale, dal momento che possono causare danni anche gravi alla salute umana. Una tossina idrosolubile sintetizzata da alghe microscopiche dette “dinoflagellati” paralizza il sistema nervoso centrale fino a uccidere pesci, uccelli e altre specie che popolano il mare e la costa, compresi i grandi mammiferi marini. Si chiama saxitossina ed è nota anche come “veleno paralizzante dei bivalvi”.
Il fenomeno non è inconsueto nelle isole cilene, ma – assicurano i pescatori – è la prima volta che si manifesta in forma così estesa e con una tale quantità di animali coinvolti. Partita dalla regione di Los Lagos, si è estesa rapidamente al nord verso Los Rios senza accennare a diminuire d’intensità, tanto che il ministro della Pesca e Acquacoltura cileno, Raul Sunico, ha dovuto chiudere gli allevamenti. Probabilmente è la marea rossa più estesa mai verificatasi nel continente sudamericano. Gli scienziati spiegano che le dimensioni di questa estesissima fioritura algale, che si prevede duri ancora per molte settimane, sono strettamente connesse alle temperature record registrate in questi mesi, anche in connessione con El Niño, il fenomeno meteorologico che provoca il surriscaldamento delle acque del Pacifico. I cambiamenti climatici, dunque, giocano un ruolo centrale nella diffusione ed estensione di questi fenomeni.
Il governo ha dichiarato lo stato di emergenza in tutta l’area, ma ciò non è bastato a placare le proteste della popolazione locale, preoccupata per la sua stessa sussistenza, contro la presidente cilena Michelle Bachelet. I pescatori in particolare attribuiscono la responsabilità del disastro agli allevamenti di salmone – molto diffusi in Cile e il cui impatto ambientale è effettivamente elevato. Il sospetto è anche legato al fatto che all’inizio del 2016 un’altra “invasione” di alghe ha causato proprio una moria di salmoni, con migliaia di tonnellate di pesce allevato in decomposizione scaricate in mare. Finora sono andate perdute 100mila tonnellate di salmone (e un quantitativo molto maggiore di altri pesci e crostacei), ma le aziende che gestiscono gli allevamenti respingono le accuse.
Ora i pescatori chiedono risarcimenti adeguati da parte dello Stato. Lo scorso 13 maggio, il ministro dell’Economia, Luis Felipe Céspedes, ha annunciato la costituzione di una commissione di scienziati indipendenti con lo scopo di individuare le cause del fenomeno. L’obiettivo è duplice: determinate l’esistenza di un nesso tra il cosiddetto “dumping del salmone” e la marea rossa e realizzare un piano d’intervento rapido ed efficace. Dopo giorni di proteste e blocchi stradali, seguiti da negoziati tra comunità locali e governo, in molte comunità la protesta è quasi rientrata. Il governo ha accettato di risarcire ogni famiglia coinvolta con 441 dollari, dopo che l’offerta di 147 dollari per ogni nucleo familiare aveva fatto esplodere le contestazioni. Ma la crisi potrebbe farsi sentire ancora per mesi e i danni all’ecosistema molto di più.
Fonte: Left

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