Vai al contenuto della pagina

Referendum trivelle: «Sì per fare un salto di qualità»

homepage h2

Il comitato nazionale delle associazioni che sostengono il sì al referendum del 17 aprile sulle trivelle sottolinea ancora una volta come bugie e propaganda stiano cercando di minare il voto.
«Le concessioni illimitate a estrarre fonti fossili entro le 12 miglia dalla costa di cui possono godere le compagnie petrolifere dall’1 gennaio 2016, oggetto del tema del Referendum del 17 aprile, sono la prova che gli interessi del Governo non stanno nè dalla parte dei lavoratori nè dalla parte della salvaguardia ambientale – dicono dal comitato – Una vittoria del SI’ viene indicata come causa di licenziamento di migliaia di posti di lavoro nel settore oil e gas. Al contrario se vince il SI’, le piattaforme non chiuderanno il 18 aprile ma saranno ripristinate le scadenze delle concessioni rilasciate, esattamente come previsto prima della Legge di Stabilità 2016. Il tema occupazionale è un tema delicato e importante, va affrontato senza intenti propagandistici e con la consapevolezza che la transizione energetica porterà inevitabilmente a una grande ristrutturazione industriale che darà vita a un moderno sistema basato su rinnovabili ed efficienza energetica. Al di là delle cifre allarmistiche lanciate in queste settimane, le stime ufficiali (fonte Isfol) relative all’intero settore di estrazione di petrolio e gas in Italia parlano di 9mila impiegati in tutta Italia e 3mila nelle piattaforme oggetto del referendum del 17 aprile. E’ un settore già in crisi da tempo, indipendentemente dal referendum, per la riduzione dei consumi nazionali di gas e petrolio (- 22% di gas e -33% di petrolio negli ultimi 10 anni), per l’eccesso di produzione calcolata dai tecnici in 9-12 milioni di barili-giorno in tutto il mondo e per la mancanza di una seria politica energetica nazionale del nostro Paese. Un esempio: Eni sta dimezzando gli organici della sua raffinazione in Italia. Secondo il New York Times, 60 compagnie petrolifere e del gas hanno dichiarato fallimento nel corso degli ultimi 16 mesi. Se il prezzo del petrolio non risale, il numero potrebbe raddoppiare. Il Governo deve rispondere del fatto che non ha alcun piano industriale per lo smantellamento delle piattaforme e la bonifica delle aree marine. Il ricollocamento dei lavoratori del settore, varrebbe investimenti dai 5 milioni ai 10 milioni di euro per struttura, un mercato che farebbe gola alle numerose aziende italiane all’avanguardia in questo settore, molte delle quali proprio nel ravennate. Se saranno le compagnie a poter decidere quando dichiarare esaurito un giacimento le piattaforme saranno lasciate in mezzo al mare o ne sarà ritardato lo smantellamento, violando tra l’altro le convenzioni internazionali (sicurezza per la navigazione e conseguenze ambientali). Delle 88 piattaforme operanti entro le 12 miglia, ben 35 non sono di fatto in funzione: 6 risultano “non operative”, 28 sono classificate come “non eroganti”, mentre un’altra risulta essere di supporto a piattaforme “non eroganti”. Dunque, il 40% di queste piattaforme resta in mezzo al mare solo per fare ruggine. Rilanciare la crescita e l’occupazione vuol dire pensare oggi ai lavoratori che nei prossimi anni usciranno dal settore oil & gas e invertire la tendenza rispetto ai 120.000 lavoratori che negli ultimi 4 anni hanno perso il lavoro (dati GSE – Gestore Servizi Energetici) per le politiche dei governi sfavorevoli alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica. Sono Enel e Confindustria a dire che investire su efficienza equivale a + 2% di pil. Quindi un euro speso in rinnovabili ed efficienza vale -anche per l’indotto- molto di piu’ di quanto valga 1 euro speso nell’oil & gas. Al contrario, nel 2015 si sono persi circa 4 mila posti di lavoro nel solo settore dell’eolico, con un decreto sugli incentivi alle FER non fotovoltaiche bloccato da mesi. La velocità e l’intensità della transizione – quindi del mix energetico – dipende principalmente dalle politiche dei singoli governi. Solo alcuni scenari concordati alla Conferenza del clima di Parigi possono impedire di varcare la soglia dei 2°c di surriscaldamento del pianeta. Il Governo di Matteo Renzi è riuscito a ostacolare le energie rinnovabili su tutti i fronti: cambiando in corsa accordi già sottoscritti con lo “Spalma Incentivi”, modificando la tariffa elettrica per frenare il risparmio energetico e finendo per causare un aumento delle nostre bollette, bloccando i piccoli impianti domestici, frenando lo sviluppo dei sistemi di accumulo dell’energia, specialmente quelli fotovoltaici. Insomma, mentre inseriva il “Green Act”, mai varato ed ufficialmente archiviato, tra le riforme necessarie per “stare in Europa”, Renzi è riuscito a mettere in ginocchio un settore che aveva resistito persino alla crisi economica e che nel resto del mondo crea occupazione e garantisce benefici all’ambiente e alle persone. Secondo il Fondo Monetario Internazionale nel 2014 l’Italia si è piazzata al nono posto in Europa per finanziamenti ai combustibili fossili, con 13,2 miliardi di dollari, dato in crescita rispetto ai 12,8 miliardi del 2013. Al contrario sull’altra sponda dell’Adriatico per difendere il turismo (21% del pil) e la pesca, la Croazia ha approvato una moratoria e bloccato i progetti di ricerca per gas e petrolio, con un investimento di 7 miliardi di euro in 7 anni sul turismo. L’unico modo per garantire un futuro occupazionale duraturo è quello di investire in innovazione industriale e in una nuova politica energetica. Tutte le previsioni parlano di un settore delle rinnovabili in espansione, che in Italia potrebbe generare almeno 100mila posti di lavoro al 2030, cioè circa il triplo di quanto occupa oggi Fiat Auto in Italia.
Non possiamo lasciare che a decidere del presente e del futuro siano governi influenzabili dalle lobbies del petrolio e del gas».
Domenica 17 aprile referendum: in tutti i seggi si vota dalle 7 alle 23. La scheda è gialla e avrà stampato questo quesito:
«Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006,  n. 152,  “Norme  in  materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la  formazione  del  bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  (legge di  stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?».
Per mettere un freno alle trivelle occorre dunque votare SI’.

Leggi anche

Per eseguire una ricerca inserire almeno 3 caratteri

Il tuo account

Se sei abbonato/a alla rivista Terra Nuova, effettua il log-in con le credenziali del tuo account su www.terranuovalibri.it per accedere ai tuoi contenuti riservati.

Se vuoi creare un account gratuito o sottoscrivere un abbonamento, vai su www.terranuovalibri.it.
Subito per te offerte e vantaggi esclusivi per il tuo sostegno all'informazione indipendente!