La verità sul grano che mangiamo
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“In Italia può essere consumato anche dai bambini ciò che in Canada non va bene neppure per gli animali”. È la denuncia di Coldiretti, che segnala la mancanza di trasparenza sull’etichetta.
Se il grano è avvelenato è molto probabile che lo sarà anche la pasta e i derivati che consumiamo. Il grano duro coltivato in Italia non basta per produrre tutta la pasta che consumiamo e che esportiamo in gran quantità. E così importiamo grano dall’estero, ma con seri problemi sulla qualità.
Gli industriali dei pastifici non ci stanno: “Producendo pasta fatta con solo grano italiano non potremmo esportarne il 58% ed è proprio il grano estero, con un glutine più forte, a migliorare la pasta italiana”.
Cosa vuol dire migliorare? Vuol dire essenzialmente rendere la semola più tenace e quindi più lavorabile, un prodotto finale che non scuoce facilmente, ma che è anche difficilmente digeribile ed è causa continua di infiammazioni intestinali.
Da luglio 2015 a febbraio 2016 al porto di Bari è stato scaricato un milione di tonnellate di grano. “Arriva da Canada, Turchia, Argentina, Singapore, Hong Kong, Marocco, Olanda, Antigua, Sierra Leone, Cipro – spiega il direttore di Coldiretti Puglia, Angelo Corsetti – e spesso passa da porti inglesi, francesi, da Malta e Gibilterra”. E tutto ciò non accade solo a Bari: navi cariche di grano duro arrivano a Napoli, Ravenna, Palermo e in altre città. Il motivo è semplice. Fino a una decina di anni fa l’Italia produceva 4,5 milioni di grano duro l’anno, ma dopo il drastico calo delle superfici coltivate oggi si copre solo il 60% del fabbisogno. Tutto il resto arriva dall’estero: nel 2015 sono stati importate 2,3 milioni di tonnellate di frumento. “Per questo – dice Coldiretti – vanno controllati i vari passaggi della filiera”, sebbene il grano made in Italy non sia di per sé superiore a quello d’importazione.
Ma se per Italmopa “i costanti e severi controlli” di autorità e aziende garantiscono il rispetto delle normative, non tutti la pensano così. Il responsabile della Sicurezza alimentare di Coldiretti, Rolando Manfredini, a ilfattoquotidiano.it ribadisce: “Non siamo contro le importazioni, ma vogliamo garanzie sulle origini del prodotto e maggiori controlli”. E della tutela della salute parla anche il presidente di Confagricoltura Puglia, Donato Rossi: “Tutti i tir, container e silos devono essere controllati”. E non accade. Chi verifica il ciclo della pasta? “Nessuno”, risponde Polignieri di Slow Food, che ha lanciato il primo allarme nel 2010. Per capire se la pasta è di qualità bisogna analizzare alcuni fattori: la presenza di micotossine nel grano duro (estero o italiano), eventuali deterioramenti del prodotto durante i trasporti, i limiti imposti dall’Ue che pare non accorgersi che un italiano medio consuma più pasta di un norvegese.
Le leggi europee purtroppo non aiutano. “Il Regolamento Comunitario 1881/2006 è calibrato su un consumatore medio europeo e non mediterraneo, che storicamente consuma più pasta, pane e cereali”, spiega Polignieri. Su questa base l’Europa ha dettato i valori massimi di alcuni contaminanti nel grano. Si parla di piombo, cadmio, mercurio e micotossine (come aflatossine e Don). Per la maggior parte dei Paesi al mondo, ad esempio, i valori del Don sono allineati tra 750 e 1000 ng/g nei cereali, mentre in Italia il limite è fissato a 1750, come nel nord Europa, dove però si mangia molta meno pasta. “Ma c’è di più – dice Polignieri – Sempre lo stesso regolamento riconosce per pasta e pane una quantità di Don che scende miracolosamente a 750 e 500. Mi domando come sia possibile”. E dato che quel limite scende a 200 ng/g negli alimenti a base di cereali o comunque destinati a lattanti e bambini sotto i 3 anni “bisogna chiarire che al di sotto dei 6 anni non si può mangiare la stessa pasta degli adulti”. Questi i limiti delle norme. Poi c’è un mondo che si muove al di fuori delle regole. “Importiamo cereali a uso zootecnico”, dice Polignieri: non è legale, ma c’è chi lo fa proprio per mancanza di controlli. E, una volta nel silos, il grano è italiano.
Sempre sul fronte della contaminazione, che vi sia una differenza tra un posto e l’altro del mondo ormai è dimostrato. Proprio sulla vomitossina un progetto delle Politiche agricole (Micocer 2006-2008) ha definito la minore incidenza nei grani del Sud, rispetto a quelli del Nord Italia. Questo perché il clima umido e le piogge favoriscono la presenza di micotossine, mentre il grano del Sud viene raccolto a temperature molto alte (tra i 28 e i 48 gradi) che non ne permettono la proliferazione. E in Canada il clima è umido. A ciò bisogna aggiungere gli effetti di lunghi viaggi transoceanici a bordo di navi cargo: scarsa aerazione, umidità ed escursioni termiche. Altra fase, altra rogna: la miscela. “Vorrei ricordare che il regolamento 1881 – spiega Polignieri – vieta di miscelare frumenti in norma con quelli che superano i valori massimi, con lo scopo di stemperarne il carico di tossina”. Vietato ‘il taglio’ insomma. Che pur riducendo i valori, non li rende idonei all’alimentazione dei bambini. A gestire il tutto ci sarebbero cinque multinazionali che controllano il mercato del grano.