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Censis: sistema chiuso in se stesso, il cambiamento viene dal basso

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Ci voleva il rapporto Censis a ratificare una situazione evidente per chi voglia vederla: il sistema socio-politico è chiuso in se stesso, autoreferenziale, lontano da ciò che accade alla base della società, dove stanno i singoli e le famiglie che cercano, nel loro quotidiano, di dare vita ad un sistema alternativo, quello che il Censis chiama “il resto”.
Da una parte quella che è ancora la maggioranza del “gregge”: in letargo esistenziale collettivo, sul quale vince la pura cronaca, come spiega il 40imo rapporto Censis diffuso dall’istituto di ricerca.  Dall’altra parte sta quello che il Censis chiama “ il resto”, un insieme sempre più nutrito di cittadini che sta dando vita ad un “proprio” sistema alternativo, condiviso e fatto di relazioni, basato su valori differenti che il sistema socio-politico non solo non vede, ma non vuole nemmeno ascoltare.
Ecco che allora il gap fra cittadini e Stato si amplia a dismisura e si ha una massa masticata dal sistema e un’altra massa, crescente, che al sistema sta sostituendo un paradigma parallelo e non convergente.
Riguardo la massa, il Censis afferma: «C’è oggi una pericolosa povertà di interpretazione sistemica, di progettazione per il futuro, di disegni programmatici di medio periodo. Prevale una dinamica d’opinione messa in moto da quel che avviene giorno per giorno. È la vittoria della pura cronaca, che inietta nella vita quotidiana il virus della sconnessione. Vincono l’interesse particolare, il soggettivismo, l’egoismo individuale e non maturano valori collettivi e una unità di interessi. Crescono così le diseguaglianze, con una caduta della coesione sociale e delle strutture intermedie di rappresentanza che l’hanno nel tempo garantita. A ciò corrisponde una profonda debolezza antropologica, un letargo esistenziale collettivo, dove i soggetti (individui, famiglie, imprese) restano in un recinto securizzante, ma inerziale. In sintesi, ne deriva una società a bassa consistenza e con scarsa autopropulsione: una sorta di limbo italico fatto di mezze tinte, mezze classi, mezzi partiti, mezze idee e mezze persone».
Il «resto», invece, quello che finora non è entrato nella cronaca e nel dibattito socio-politico, comincia ad affermare una sua autoconsistenza. Nei movimenti tettonici che ci portano avanti «vince il resto»: quel che non accede al proscenio e alle luci della visibilità. È proprio dal «grande resto» che può cominciare a partire la riappropriazione della nostra identità collettiva.
Fortunatamente la nostra società ha una composizione poliedrica, «una pur discussa forza sommersa dei comportamenti economici e sociali (dal risparmio al lavoro individuale), una territorialità non indistinta, la fedeltà continuata nel primato della diversità (delle opinioni e dei comportamenti)». «E’ capace di innovare in un continuo susseguirsi di processi e poteri soft (lontano dalla impressività dei poteri hard), gestisce la realtà attraverso un empirismo continuato con capacità di autoregolazione, esprime una forte tensione a una organizzazione socio-politica di tipo poliarchico, ha bisogno di liberare le energie individuali dalle burocrazie e dalle procedure uniformanti. Così, nell’indifferenza del dibattito socio-politico, si va costruendo uno sviluppo fatto di basi storiche, capacità inventiva e naturalezza dei processi oggi vincenti. Esempio ne sono i giovani che vanno a lavorare all’estero o tentano la strada delle start up, le famiglie che accrescono il proprio patrimonio e lo mettono a reddito (con l’enorme incremento, ad esempio, dei bed & breakfast), le imprese che investono in innovazione continuata e green economy, i territori che diventano hub di relazionalità (la Milano dell’Expo come le città e i borghi turistici), la silenziosa integrazione degli stranieri nella nostra quotidianità. A ciò si accompagna anche un’evoluzione più strutturata, con il nuovo made in Italy che si va formando nell’intreccio tra successo gastronomico e filiera agroalimentare, nell’integrazione crescente tra agricoltura e turismo (con l’implicito ruolo del patrimonio paesaggistico e culturale), nel settore dei macchinari che fanno macchinari (la vera punta di diamante della manifattura italiana)».
Viene anche sottolineato come la politica abbia ricercato il consenso d’opinione per recuperare anche la reputazione. Ma la reazione non arriva, la gente non si fida più.  «L’elemento oggi più in crisi è la dialettica socio-politica: non riesce a pensare un progetto generale di sviluppo del Paese a partire dai processi portanti della realtà», dice il Censis.
Ora, resta da capire chi vuole stare dentro al “resto”!

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