Contaminanti nella catena alimentare veneta
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«Infatti, nel caso specifico e non più teorico, si evince che lo sfortunato ipotetico bambino di 10 kg cui fanno spesso riferimento illustri ricercatori e medici preposti alla tutela della salute pubblica nel vicentino, con solo una una mezza porzione di quel pesce così abbondantemente intriso di pfos e altri pfas, quello sfortunato bambino, dicevo, supera e di molto la TDI (Dose tollerabile quotidiana) stabilita dall’EFSA (l’agenzia europea per la sicurezza sugli alimenti). Facciamo due conti rapidi. Se uno mangia un etto di quel pesce, ingolla 5700 ng di pfos che equivalgono a 190 litri di acqua con 30 ng/L (che è Il limite obiettivo del pfos nell’acqua potabile stabilito dal ministero). Sempre secondo EFSA la tdi (dose tollerabile quotidiana) sarebbe di 150 ng/kg di peso corporeo. Pertanto un bambino di 10 kg non dovrebbe superare la dose massima quotidiana di 1500 ng (150 ng x 10 kg). Quindi quel povero bambino trangugerebbe circa 4 volte la dose max quotidiana semplicemente consumando un etto di pesce. Senza considerare la quota aggiuntiva derivante dall’acqua contaminata né quella che entra nel suo cornicione con l’aria respirata e con gli altri alimenti (merendine ecc. ecc). Non mi pare proprio che sia il caso di augurare buon appetito ai bambini che vivono nelle zone contaminate.
Pare che il pesce incriminato sia stato pescato vicino a Creazzo (VI) nelle cui falde, stando ai dati ARPAV si sono documentati valori di PFOS fino a 580 ng/L alti sì, ma non tanto rispetto a zone viciniori. Per esempio a Montecchio Maggiore (VI) sono segnalati valori fino a 1435 ng/L; a Montagnana (PD) valori fino a 2891 ng/L; a Soave (VR) con valori fino a 6821 ng/L per non parlare di Trissino (VI) fino a 68667 ng/L. Valori simili a quelli di Creazzo sono stati trovati in molti comuni del Veneto a ulteriore dimostrazione che la contaminazione da PFAS è globale»..