Nel cuore dei tre materiali artistici che saranno l’esito del progetto – una web story, un film documentario, un testo teatrale – vi sono anche le vite e le pratiche agricole dei contadini incontrati nel viaggio di un mese intrapreso per l’Italia. Le testimonianze, gli aneddoti, le pratiche, le osservazioni di decine e decine di contadini rappresentano una parte importante del cuore del materiale video girato finora, e di quelli che saranno i suoi sviluppi artistici.
Il progetto affonda le proprie radici in un lungo percorso di ricerca e lavoro, raccontato nel dettaglio sul sito web di
Terra Nuova. Come una creatura nella mente del suo ideatore, il viaggio tra terra e cielo prende vita a partire dalle riflessioni sui temi dell’appartenenza, della relazione con la terra, e della ricerca di senso che ne deriva. Ed è proprio in primavera, il momento in cui la vita ciclicamente si rinnova, quando la prima idea di progetto inizia a germogliare nella condivisione di gruppo. Si comincia così, insieme, ad articolare e strutturare il lavoro, a scriverne le bozze, a verificarne la fattibilità. I mesi trascorrono e come succede per una tenera creatura così anche un’idea può crescere e assumere una forma organica, una sua vitalità ben definita.
Al sito di Radici nel Cielo si trova
il testo divulgativo del progetto.
Con davanti l’incertezza di un percorso tutto da realizzare, solo la fiducia in un sentire comune riesce a muover le cose. Ed è in questo clima che una visione si sviluppa, matura e inizia a muovere i primi passi. È ormai estate, quando siamo pronti per
pianificare la prima fase del progetto, quella on the road per la campagna italiana. Ideare il percorso, contattare le persone, concordare le tappe, prevedere le tempistiche, le necessità, i costi, l’attrezzatura: si inizia a costruire il tour nel dettaglio, 26 tappe in 30 giorni.
Da subito un viaggio in equilibrio sottile tra il necessario, il possibile e…l’impossibile!
A metà settembre finalmente si parte. Dopo 31 giorni in furgone e una settantina di incontri/interviste all’attivo, la prima fase del progetto, che era il viaggio on the road, si è conclusa il 15 ottobre. Sul sito
Radici nel Cielo si può leggere la webstory: video clip seguiti da testi che raccontano le realtà e umanità incontrate, come in un diario di viaggio.
Nei prossimi mesi altre saranno le tappe che arricchiranno il mosaico di esperienze e di volti, non mancheranno i contributi di ricercatori scientifici, medici, professori e filosofi per dare ampio respiro alle riflessioni sull’agricoltura e sui legami esistenziali che uniscono l’uomo alla terra.
La magia di questa corale impresa artistica risiede nella forza e nella genuinità delle voci ascoltate e raccolte in viaggio.
Tra i primi contadini biologici a partecipare e a farsi riprendere c’è Giuseppe Begatti. A Crevalcore, nella bassa bolognese, lavora 17 ettari con l’aiuto di un solo dipendente e ha deciso di vendere i suoi prodotti solo al mercato di Campi Aperti, l’associazione che nella città dotta promuove la vendita diretta tra produttori e consumatori organizzando mercati.
«Faccio tre mercati – racconta Giuseppe – solo CampiAperti, sugli altri non mi informo neanche perché lì c’è una mentalità di un certo tipo, negli altri mercati è solo commercio. Qua siamo solo produttori, la roba è nostra, se succede qualcosa ci sono io… che brontolino con me: per me questo è molto importante. Anche perché anche agli altri hanno dato la possibilità di vendere in un sistema diretto produttore-consumatore: hai tre carote tue e tutto il banchetto che è comprato fuori…adesso per legge si può fare, fino al 40% della produzione può essere comprata fuori. Però quello che compri fuori ha il sapore di quello che compri alla **** (cita un negozio della GDO ndr) perché è raccolto per fare i mercati all’ingrosso».
Giuseppe è un contadino di lunga esperienza ed è un uomo estremamente competente con una capacità organizzativa ammirevole sia nel lavorare a biologico i campi che nell’organizzare le giornate ai mercati. L’impressione che dà è quella di assecondare, più che di dirigere, il ciclo della natura. Dalla semina alla raccolta degli ortaggi, al governare le bestie e gestire il letame, la sua azienda è un esempio concreto di elevata autosufficienza, di efficace “ciclo agricolo chiuso”.
L’uso di fertilizzanti chimici è fuori discussione per Giuseppe, non solo perché di letame ne ha in abbondanza ma anche perché «con il concime chimico è come a te darti da mangiare dei sassi. Puoi metterci il ragù, quel che ti pare…ma son sassi! Il letame è un nutrimento per la pianta, quel che le serve per crescere sta nel letame, non nel concime chimico che ti ammazza la terra e fa solo dei danni». E la differenza tra la qualità della sua terra e quella dei campi vicini è evidente, tanto evidente che anche ad un occhio non esperto il colore e la friabilità risultano diverse. Tra le ragioni di questo, anche il diverso metodo di concimazione: Giuseppe usa il letame delle mucche che alimenta con il suo fieno, a differenza delle realtà che lo circondano che da imprenditori industriali usano i fertilizzanti chimici.
«Arrivi ad un punto in cui ci vuole un trattore da 500 cavalli per fare un lavoro che faccio io con uno da 50, e abbiamo la stessa terra. Perché la terra loro è friabile, io sono già 20 anni che metto letame. È che il chimico è più comodo perché apri il saccone e lo stendi, mentre invece con il letame devi fare il mucchio, andare in campagna, stenderlo, devi arare subito perché non deve seccare sennò l’azoto va via con il sole. Per cui c’è un po’ più di lavorazione ma i risultati…non c’è paragone. E non lo usa più nessuno!».
«Io faccio due mucchi di letame – continua Giuseppe – Quando porto fuori quello fresco lo lascio lì 7-8 mesi, anche un anno, finché non prende un certo colore. Il letame per essere buono lo devi tagliare con il coltello. Dopo è perfetto in campagna, la terra lo trasforma subito. E io senza letame sono senza ortaggi, sono collegati insieme, anche nell’economia dell’azienda. Se anche viene una grandinata, una bestia è nella stalla, qualcosa da vendere ce l’hai sempre. Per cui oltre al letame hai sempre qualcosa in più da mettere nel mucchio della spesa».
Giuseppe (sorriso disarmante e simpatia contagiosa), presenta la stalla con le vacche e gli altri animali, con un ampio gesto del braccio, dicendo “qui ho il somaro, là le galline, qua le oche…un mescolone!”. Poi prosegue verso i primi campi, raccontando di avere preso quella terra perché nessuno la voleva. «Qua una volta c’era la palude e la terra è argillosa, complicata da lavorare perché non deve essere né umida né secca. Ma col tempo a forza di lavorarla la qualità della terra migliora».
Ma cos’è che la migliora? «Il rispettarla. La lavori quando è ora, non quando hai tempo come fanno adesso che vanno in campo anche se piove. Se pesti la terra bagnata non raccogli più niente, infatti una volta si diceva “Quando piove si va in piazza!”, non a lavorare la terra. E invece adesso vanno dritto, chiudono gli sportelli e non si ricordano neanche che piove».
I suoi metodi e le sue tecniche agronomiche appartengono ad un buon senso, una consapevolezza e un’esperienza che nulla hanno a che fare con i princìpi di sfruttamento che guidano l’agricoltura convenzionale. «Fino a qualche anno fa era normale – dice – ognuno aveva il suo pezzettino di terra da curare. Tutte queste cose grosse mi danno propriofastidio, non riesco a capire che scopo ci sia dietro».
In passato Giuseppe ha lavorato in campi trattati, guidando grossi trattori e dando il sudore della fronte per quell’agricoltura di cui adesso non si fida più. La stessa agricoltura che con i trattamenti chimici intossica per primi i lavoratori sui campi, come si ricorda bene Giuseppe che su quei campi ha lavorato, eccome. Una pratica convenzionale che oltre ad inquinare e a produrre ortaggi intossicati e senza sapore, complica la vita dei contadini biologici. Un esempio di questa relazione indiretta ma effettiva tra convenzionale e biologico, nella zona di Crevalcore, è l’innalzamento dei prezzi dei terreni causato dal business delle biomasse.
In questa zona di campagna «la terra ha sempre dato da mangiare a tutti, invece adesso con la terra si fa la corrente elettrica per far andare l’industria!». In gran parte dei campi che circondano le terre di Giuseppe sono state piantate sementi, come mais e sorgo, per produrre biomasse e ricavare biocombustibile. Il digestore che le acquista si trova a circa 3 chilometri dall’azienda Begatti e da quando è comparso ha portato gli imprenditori agricoli ad una vera e propria corsa alla terra per acquistare al prezzo migliore i terreni, il cui costo è lievitato vertiginosamente.
Il digestore paga molto bene gli agroindustriali che lo riforniscono di biomasse e sorge spontanea la domanda: quindi conviene coltivare per fare elettricità? «Ah – risponde ridendo Giuseppe – qua stanno pensando così…poi per mangiare ci attacchiamo alla spina».
È solo il secondo giorno di Viaggio quello trascorso a Crevalcore e già gli spunti di riflessione e il desiderio di approfondimenti ci confermano la fertilità del terreno su cui ci stiamo muovendo, e che i mesi trascorsi a progettare il tour sono stati ben spesi!
E Giuseppe contribuisce all’umore del viaggio riflettendo ad alta voce sull’importanza del nostro progetto artistico di raccontare l’agricoltura biologica: «Queste cose ci vogliono perché alla gente bisogna spiegargliele le cose; spesso la gente non ha neanche tempo di ascoltare, per cui comprano e vanno a casa. Ma magari pian pianino si spande la voce, grazie a queste cose!».
Per chi fosse interessato può trovare la verace spontaneità di Giuseppe anche nel documentario
La Zappa sui Piedi, video itinerante di narrazione e musica su api, pesticidi e agricoltura. Il documentario è stato realizzato nel 2014 e si incastona nella cornice artistica che oggi prende il nome di Radici nel Cielo, entro la quale nasce il progetto del Viaggio. Da La Zappa sui Piedi è nata la serie
Gocce di Luce e anche qui troverete un Begatti disarmante nella sua semplicità: undici mini-clip di approfondimento come gocce di senso distillate per raccontare cosa accade oggi alla terra e ai suoi frutti, alle api, alla biodiversità e all’Uomo.
La serie Gocce di Luce è stata creata da Nicolò Vivarelli, oggi video-maker del Viaggio e già autore delle nuove video-clip online. A bordo del furgone anche Valentina Gasperini, addetta alla comunicazione e autrice dei testi della webstory, Andrea Lilli, consulente scientifico e Andrea Pierdicca coordinatore del progetto.
Altre maestranze artistiche e professionalità che collaborano al progetto le presenteremo, insieme a nuovi contadini biologici, nei prossimi racconti sul sito web di Terra Nuova.
Per poter continuare il viaggio e arrivare fino alla sua completa realizzazione il progetto cerca co-produttori finanziatori, ovvero persone che comprendano e condividano questo progetto, che all’oggi si è già incamminato, ispirato da questa frase di Francesco d’Assisi:
“Cominciate a fare oggi
ciò che è necessario,
domani ciò che è possibile,
e all’improvviso vi sorprenderete
a fare l’impossibile”