Con il bio una boccata d’ossigeno per la terra
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In base a quanto riportato nell’articolo, la fertilità del suolo è stata definita come “la capacità degli organismi che vivono nel suolo (microrganismi, fauna e radici) di contribuire al soddisfacimento delle esigenze nutrizionali delle piante e degli animali ai fini della produttività, della riproduzione e della qualità del suolo (concepita in termini di benessere umano e animale) garantendo al contempo il mantenimento dei processi biologici da cui dipendono le proprietà chimico-fisiche del suolo “ (Abbott & Murphy, 2003).
Nei sistemi agricoli dove vengono adoperati grandi quantità di fertilizzanti sintetici relativamente solubili, alcuni processi biologici (come la fissazione dell’azoto e la colonizzazione delle radici attraverso i funghi micorrizici arbuscolari) possono essere estremamente repressi e il loro contributo alla produzione agricola o o all’uso efficiente delle risorse (Rice et al., 2002) potrebbe essere irrimediabilmente vanificato (Richardson et al., 2011).
D’altra parte, il lento rilascio di nutrienti da fonti recalcitranti di minerali (Manning, 2008, 2010) o da residui di piante (Damon et al., 2014) potrebbe avere impatti negativi sulla crescita delle varie coltivazioni nei sistemi biologici rispetto a quelli convenzionali. Anche se questo può rappresentare un limite della coltivazione biologica, l’allineamento della produttività di un terreno specifico a ciò che risulta sostenibile a lungo termine (Tiedemann & Latacz-Lohmann, 2013) è fondamentale per l’agricoltura biologica.
Gli autori concludono affermando che la fertilità del suolo nei sistemi di coltivazione biologica è complessa e necessita di essere considerata a livello locale in base a: (i) le condizioni del terreno sia precedenti che attuali, (ii) le condizioni ambientali, con attenzione anche ai cambiamenti climatici (iii) le esigenze delle piante nelle varie fasi del loro ciclo di crescita (iv) la quantità dei nutrienti rimossi dal grano o il consumo di foraggio (v) le sequenze rotazionali (vi) gli elementi di disturbo del suolo e (vi) i modelli economici sviluppati dall’agricoltore.
La biodiversità del suolo varia non solo da terreno a terreno ma anche all’interno dello stesso terreno in base a quanto sancito dalle linee guida della certificazione biologica (Hartmann et al., 2014). Perciò, esistono dinamiche che incidono sull’attività e sull’ abbondanza degli organismi del suolo variabili a seconda della disponibilità del substrato o del successivo inserimento dei nutrienti. La riduzione a lungo termine degli inputs biologici nel suolo può ridurre la capacità della communità microbica di mineralizzare alcune frazioni biologiche di carbonio più recalcitranti (Paterson et al., 2011) e alcune condizioni più difficili ne possono ridurre al minimo alcune funzioni (Liebich et al., 2007).
In generale, l’effettiva funzione biologica dei suoli coltivati biologicamente varia in base al tipo di suolo e all’ubicazione esatta nel contesto ecologico, alle pratiche di produzione agricola, ai sistemi di irrigazione e agli inputs dei nutrienti (Chirinda et al., 2010).
E’ fondamentale avere un valore di riferimento locale che tenga conto del tipo di suolo, delle pratiche di gestione e delle condizioni ambientali a causa della complessità delle relazioni che intercorrono tra l’attività microbica, la diversità delle piante e la risposta delle piante.
Inoltre, la disponibilità di fonti di fosforo e potassio resta un altro punto importante per le aziende biologiche a causa del bisogno di usare risorse scarsamente solubili di questi nutrienti essenziali.
I requisiti di certificazione definiscono le fonti di nutrienti permesse all’uso nei sistemi di coltivazione biologica e includono forme scarsamente solubili di minerali, tra cui la roccia di fosfato, la dolomite, il tiglio e le rocce di silicio zigrinate (‘polvere di roccia’) così come una varietà di fonti di materia organica che include il compost. Per avere la certificazione biologia è necessario limitare l’utilizzo della maggior parte delle forme solubili di fosforo e potassio: per questo motivo bisognerebbe trovare fonti alternative da usare (Manning, 2008)