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La sharing economy cambierà il mondo?

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La proposta di Altroconsumo per regolamentare la sharing economy, da Uber a Airbnb, un approccio diverso al mercato che trova molti entusiasmi insieme alle resistenze delle categorie professionali. Meglio condividere che possedere. Uno share economy act in Parlamento?
La crisi del welfare ha lasciato posto all’autorganizzazione dei cittadini. Viaggiare, dormire, utilizzare strumentazioni e prodotti, ormai la “Sharing Economy”, letteralmente economia della condivisione, rappresenta un nuovo modello economico destinato a cambiare il mercato. Nata per sopperire alle difficoltá del welfare in seguito alla crisi, la Sharing Economy ha promosso una forma di consumo consapevole, basato sul riuso piuttosto che sull’acquisto. Le battaglie contro Uber, AirBnB e altri servizi di sharing che si stanno pian piano diffondendo anche nel nostro Paese hanno attirato l’attenzione anche delle associazione di consumatori italiane.
“Vogliamo che gli attori della Share Economy si dotino di codici di autodisciplina con i quali applicare standard di sicurezza, efficienza e tutela per i consumatori”. Questi, in sintesi, i motivi recita il comunicato di Altroconsumo, che si è dichiarata pronta a sostenere il progetto dello Share Economy Act, una legge vera e propria che disciplini il nuovo mercato.
Sono ormai in molti, nel mondo e anche in Italia, che utilizzano servizi di questo tipo e nuovi modelli di business saranno destinati a prendere piede. Considerando infatti che la Sharing Economy é strettamente legata alla diffusione di Internet e delle piattaforme che permettono lo scambio di dati, é facile immaginare che sará difficile ostacolare uno sviluppo verso questa direzione del mercato. “Impedire tutto questo”, puntualizzano da Altroconsumo, “vuol dire perdere una sfida importante con il futuro. I diritti dei consumatori non devono diventare uno strumento protezionistico in mano a fornitori di servizi cristallizzati e incapaci di portare avanti il cambiamento. Né si possono lasciare in mano agli iter giudiziari e ai tribunali le decisioni sullo sviluppo e la crescita che sono invece questioni che riguardano il Governo di un Paese”.
Che la Sharing Economy si stai diffondendo sotto i nostri occhi é evidente da alcuni dati di una ricerca Pwc USConsumer Intelligence: a titolo esemplificativo, per il 57% degli americani la condivisione é una nuova forma di proprietá, mentre tre quinti considerano piú conveniente affittare piuttosto che possedere un bene. I costi bassi e l’idea di appartenere ad una comunitá rendono il tutto particolarmente allettante. Di esempi di business incentrati su questo modello ne esitono ormai moltissimi, alcuni dei quali balzati anche agli “onori” della cronaca italiana: il caso Uber su tutti. La app che permette di mettere in contatto guidatori e chi ha bisogno di spostarsi é diffusa in 45 paesi e circa 200 cittá.
Cosa voglia significare l’avanzare della Sharing Economy nel sistema di mercato, lo spiega Sergio Boccadutri, coordinatore area innovazione del Pd: “Basandosi sui pagamenti elettronici, si potrá pensare di avere una maggiore trasparenza generale del sistema e, di conseguenza, migliorare gli interventi di correzione di cui esso necessita. Ci sará poi maggiore disponibilitá di dati e informazioni che potranno essere utilizzati come moltiplicatore di valore aggiunto per accrescere la ricchezza del sistema. Infine bisognerá ripensare il modo di fare concorrenza nel mercato”. Non potendo bloccare il cambiamento in atto, quindi, l’ordinamento é tenuto ad adeguarsi ad esso.
Fonte: Altroconsumo

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