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L’omeopatia a un bivio

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La medicina omeopatica approda negli ospedali pubblici, malgrado la comunità medica convenzionale più arroccata e arrogante si ostini ancora a voler vincere una battaglia di potere che non ha senso di esistere. Sta prendendo sempre più piede, dunque, l’approccio integrato, sul quale gli stessi omeopati vigilano «affinché – dicono – non trasformi l’omeopatia in una medicina gregaria».
All’ospedale di Pitigliano, in provincia di Grosseto, è attivo da quattro anni il Centro di medicina integrata diretto dalla dottoressa Simonetta Bernardini; a Roma, all’ospedale San Pietro Fatebenefratelli, è attivo un ambulatorio di medicina integrata (antiaging, omeopatia e agopuntura) diretto dal dottor Osvaldo Sponzilli. L’ulteriore novità è rappresentata senza dubbio dall’ambulatorio che è stato attivato alcuni mesi fa all’ospedale Sacco di Milano e che prescrive rimedi omeopatici ai malati di cancro per alleviare gli effetti collaterali di chemio e radioterapia. «Il movimento della medicina integrata è ormai un fenomeno culturale di dimensione mondiale» spiega la dottoressa Bernardini. «Basti pensare, solo per fare un esempio, alla recentissima modifica della sigla dell’undicesimo Dipartimento statale americano per la salute, che da NCCAM, National center for complementary and alternative medicine, è diventato NCCIH, National center for complementary and integrative health: è sparita la parola “alternativo” per far spazio alla parola “integrato”. Oggi in tutto il mondo sono sempre di più i medici che integrano nella loro pratica clinica strumenti di cura definiti in passato alternativi o non convenzionali». 
Non mancano però i professionisti che intravedono qualche rischio nell’impostazione del processo di integrazione delle medicine così come è stato finora portato avanti. «Il rischio è che l’omeopatia e le terapie non convenzionali siano inglobate dal sistema per essere relegate nell’angolino dei gregari, dove stanno i rimedi per alleviare il mal di gola, la nausea, la dermatite e poco altro, o per essere magari additate e messe all’angolo come i palliativi dall’effetto placebo» interviene il dottor Massimo Mangialavori, omeopata, già membro del direttivo Fiamo (Federazione italiana associazioni e medici omeopati) e fondatore di Ulmus, associazione per la ricerca e lo studio della medicina omeopatica. «Se pensiamo che l’omeopatia debba essere usata per patologie collaterali, non degne di nota o che spariscono da sole, ci stiamo sbagliando, perché i dati ci dicono che i pazienti vi ricorrono anche per patologie gravi e croniche» aggiunge Mangialavori.

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