Fare permacultura in un’azienda agricola
Non disturbare il suolo, creando orti non zappati e “stra-pacciamati”, potrà anche essere una soluzione attraente per il giardino di casa, ma difficilmente riusciamo a pensare di poter applicare questo tipo di progetto su scala aziendale.
E quando un’azienda copre decine e decine di ettari, come può mettere a frutto i principi della permacultura? Ha senso che lo faccia?
Stefano Soldati è un permacultore: oggi si dedica principalmente alla progettazione di edifici in balle di paglia e, più recentemente, al forest gardening, ma in passato, come agronomo, ha contribuito alla conversione in biologico di centinaia di ettari di aziende agricole, in particolare cerealicole, nelle pianure Venete come in Argentina.
Secondo l’agronomo veneto, due sono le ragioni per applicare su “grande scala” queste idee. Per prima cosa, si tratta di un’ulteriore applicazione del terzo principio della permacultura: fair shares, o “equa condivisione”. Dovrebbe significare anche un’equa condivisione delle conoscenze, e quindi ricordarci l’importanza di diffondere e mettere alla prova le idee presso tutti coloro che ne potrebbero beneficiare, inclusi i grandi produttori”. In secondo luogo, è una questione di logica, e di efficacia. “Finché esistono le città, continuerà ad esserci bisogno di grandi aziende”, e la produzione di cereali, di grano, orzo, mais e soia, è ben più difficile da gestire su scala domestica o di piccola comunità, rispetto magari alle orticole e alla frutta.
Aiutando le aziende ad adottare pratiche che lavorano con, e non contro, i processi naturali, si possono ottenere grandi risultati, influenzando il benessere di vaste aree di territorio. Il vantaggio energetico ed economico dei cambiamenti proposti deve essere visibile, evidente. “Spesso, il primo passo è quello di stilare un bilancio chiaro della contabilità aziendale, non solo in termini di entrate e uscite finanziarie, ma tenendo conto anche del vero capitale di un agricoltore: la fertilità del suolo”.
Investire nel migliorare la fertilità dei propri terreni ha sempre fatto parte della cultura contadina di tutta Italia, almeno fino all’avvento della chimica. Oggigiorno, restituire fertilità ai suoli danneggiati da 60 anni di pratiche scorrette può richiedere molto tempo. “Ma per fortuna” chiarisce Soldati “non è necessario fare tutto subito: si può procedere per gradi. Via via che la struttura del suolo migliora, si possono diminuire le lavorazioni, il numero di passaggi in campo, gli apporti esterni”. Senza sconvolgimenti drastici, la meccanizzazione può essere ridotta, fino ad arrivare, com’è successo all’azienda di Elisa Pillan a Portogruaro (Ve) a decidere di vendere i propri trattori perché risultava ormai più economico avvalersi dei servizi di un terzista, noleggiando i macchinari solo quando necessario.
E se il meccanico e il chimico sono poco per volta estromessi dai campi agricoli, il terreno chi lo lavora?
Si utilizza un “servizio biologico”, facendo fare il lavoro alle radici delle piante. Niente di rivoluzionario: si tratta semplicemente dell’antica pratica del sovescio. Ben noto agli agronomi fino a pochi decenni fa, il sovescio consiste nel seminare, nei momenti in cui il campo è “a riposo”, miscugli di erbe diverse, che poi vengono sfalciate e interrate per apportare materiale organico nel terreno, in alternativa le piante si possono lasciare decomporre sul terreno (diventando quindi pacciamatura verde).
Con il passaggio alla chimica, il sovescio è caduto in disuso. Tuttavia la chimica peggiora la qualità dei suoli, rendendo il coltivatore dipendente da… altra chimica.
Seminando erbai da sovescio tra un raccolto e l’altro, invece, il terreno non rimane mai nudo, e viene protetto dall’azione degli elementi: le radici lavorano in profondità e, una volta sfalciate, le piante in decomposizione lo arricchiscono. In questo modo, parametri come la quantità di sostanza organica, la fertilità e la struttura del suolo, l’attività dei microrganismi e degli insetti utili, migliorano con il passare degli anni, e la pressione delle infestanti si riduce.
Anche qui, la permacultura richiede grandi capacità, da parte dell’agricoltore, nel gestire un gran numero di informazioni e di elementi. Gli erbai vanno composti in modo diverso, con piante diverse, a seconda delle necessità del campo, della coltura precedente e di quella che verrà. “La cosa migliore è sempre puntare a una grande diversità, basandosi sul tipo di radice, sui nutrienti che le piante apporteranno, e su quanto tempo l’erbaio sarà lasciato in campo prima di essere sfalciato per dare spazio alla prossima coltivazione”. Una volta tagliato, l’erbaio resterà a pacciamare e proteggere il suolo.
Semplici calcoli possono servire a cogliere l’economicità di questi sistemi. “Possiamo andare a calcolare quanto azoto viene fissato da una copertura, per esempio, di trifoglio e, considerando il costo della semente, andarlo a paragonare con il costo del fertilizzante azotato necessario per concimare lo stesso campo. Se i semi costano di meno, il vantaggio è evidente. Se poi aggiungiamo l’aumento di fertilità, lo è ancora di più”.
Tra i molti metodi sperimentati da Soldati per la coltivazione dei cereali, il sovescio è quello che ha dato risultati migliori. Una variante è la bulatura, o trasemina, che consiste nel coltivare contemporaneamente, sullo stesso campo, colture di cereali e altre piante. “In generale parliamo di combinazioni di grano e trifoglio o erba medica. Prima si semina il cereale poi, quando è a fine accestimento, ovvero ha finito di sviluppare i germogli, si passa in campo con una seminatrice a sodo, senza rivoltare il terreno, e si semina il trifoglio, che non competerà con il grano ma andrà a formare una copertura verde che fissa l’azoto, protegge il terreno e, in particolare, permette di risparmiare tantissima acqua”.
Applicando poi l’idea permaculturale secondo cui i rifiuti di un ciclo di produzione possono diventare le risorse che danno l’avvio ad un altro, si scopre per esempio che i semi della veccia (una leguminosa utile per gli erbai da sovescio) sono materiale di scarto per i molini, che usano una macchina apposita, la “svecciatrice”, per separare i semi dai chicchi dei cereali. “Si possono trovare anche altre soluzioni per procurarsi i semi a basso prezzo, inclusa l’auto-produzione”.
La permacultura suggerisce anche di ritornare ad una gestione integrata di allevamenti e coltivazioni, lasciando magari pascolare gli animali nei campi a fine coltura, dove possono ripulire il terreno, nutrirsi di ciò che rimane in campo e apportare utile letame. “Questo purtroppo in Italia è più difficile” sostiene Soldati “sia per le leggi che ne limitano la possibilità, sia perché culturalmente ci siamo allontanati moltissimo dall’idea di avere animali nei campi e non negli allevamenti.
Quando qui in Veneto abbiamo fatto delle prove, liberando i maiali nei campi di grano dopo la raccolta, a livello tecnico ha funzionato benissimo, ma non sono mancati i problemi con i vicini. E tantissima gente ha telefonato per avvertirci che i nostri maiali erano ‘scappati’ ed erano finiti… all’aperto, in pieno campo!”.
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Permacultura per tutti
, di Patrick Whitefield pubblicato da Terra Nuova Edizioni, si propone come piccolo e utile vademecum per curare la Terra e guarire il Pianeta.
La permacultura nasce intorno al 1978 per opera di Bill Mollison e David Hilmgren e si afferma con grande rapidità negli anni seguenti in tutto il mondo anglosassone.
Il punto di forza della permacultura è la sua capacità di andare oltre l’agricoltura sostenibile per proporsi come sistema per progettare insediamenti umani modellati sugli ecosistemi naturali, allo scopo di creare sistemi produttivi durevoli e sostenibili, ovvero in grado di automantenersi e rinnovarsi con un basso input di energia.
Di carattere essenzialmente pratico, la permacultura si può applicare a un balcone, a un piccolo orto, a una grande azienda agricola o a intere zone naturali, così come ad abitazioni isolate, ecovillaggi e insediamenti urbani.
Il libro, pubblicato nel Regno Unito con il titolo di Permaculture in a Nutshell, e già tradotto nelle principali lingue, è uno dei testi di maggior successo sui principi ispiratori e le pratiche della permacultura.
Ad arricchire la versione italiana sono le schede di Deborah Rim Moiso riguardanti le esperienze attive in diverse regioni, con le voci e le storie di chi sta già applicando i suggerimenti della permacultura in Italia.
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Leggi online alcune pagine del libro:
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ALTRI LIBRI SULLA PERMACULTURA:
Scritto a quattro mani da Reny Mia Slay e Bill Mollison, Introduzione alla Permacultura ha fatto conoscere in tutto il mondo l’arte di coniugare i saperi di discipline diverse (agricoltura naturale, orto sinergico, bioarchitettura, climatologia, economia, botanica, selvicoltura, ecologia) per progettare in armonia con la natura.
Insieme alla filosofia di vita, sistema di progettazione e proposta di soluzioni pratiche per un mondo ecosostenibile, la permacultura si fonda sui principi messi a punto dall’autore dopo lunghe, accurate e approfondite osservazioni della natura e dei suoi cicli. Al centro di questa nuova disciplina, decisamente non dogmatica, troviamo una sola regola: “assumersi la responsabilità delle proprie scelte”.
La permacultura può essere presentata anche come l’arte di tessere relazioni utili ed esaltare sinergie esistenti tra gli elementi naturali, risorse e attività umane con l’intento di contribuire alla creazione di una società ecosostenibile in grado di apprendere dalla natura a valorizzare la biodiversità.