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Minerali clandestini

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Coltan, tantalio, tungsteno e tanti altri: sono le materie prime con cui è fatta la nostra elettronica e che provengono dalle zone di guerra dove ad estrarle sono uomini, donne e bambini senza diritti e ridotti in schiavitù. Sostieni anche tu la campagna per la tracciabilità dei minerali…perché non siano più clandestini.
Aiutateci a fare pressione affinché si arrivi ad una legislazione internazionale che permetta al consumatore di essere informato e di poter boicottare l’elettronica insanguinata. È questo che Terra Nuova chiede ai propri lettori. Abbiamo deciso di aderire alla campagna Minerali Clandestini, ideata da Chiama l’Africa e da Cipsi, e di promuovere e sostenere la raccolta di firme avviata su Change che chiede norme chiare sulla tracciabilità dei minerali utilizzati per i prodotti elettronici, quelli informatici e per i cellulari. Nel dicembre scorso è arrivata una prima buona notizia: è stato approvato dalla Commissione Politiche della UE in Senato il parere sulla proposta di regolamento dell’Unione Europea sulla tracciabilità dei minerali provenienti da zone di guerra. Ma la strada è ancora lunga.
«È un primo passo comunque significativo» ha commentato la senatrice Silvana Amati che, insieme alle colleghe Fissore e Valentini, sostiene la campagna. «Il parere approvato riconosce la necessità di rendere obbligatoria la certificazione della catena di approvvigionamento dei minerali provenienti da zone di conflitto, di includere anche altre tipologie di risorse naturali e di estendere il campo di applicazione, coinvolgendo le imprese che commercializzano prodotti finiti. Il meccanismo identificato nella proposta di regolamento della Commissione europea è volontario e limitato alle imprese importatrici: troppo debole per poter rompere i legami tra sfruttamento illegale delle risorse naturali, conflitti e gravi violazioni dei diritti umani».
Per promuovere un consumo davvero responsabile è importante sapere da dove provengono quei minerali pressoché sconosciuti che troviamo nei chip e nei componenti dei cellulari: il coltan, la cassiterite, il tantalio, la wolframite. Tutti provenienti da aree del mondo dove si combattono guerre e da miniere dove lavorano, e spesso muoiono, bambini minatori. Un esempio è la regione del Kivu nella Repubblica democratica del Congo, che in vent’anni ha contato 8 milioni di vittime causate proprio dal traffico del coltan. Per non parlare delle durissime condizioni di vita e di lavoro dei minatori, molti dei quali bambini di pochi anni che scavano a mani nude in gallerie che sembrano gironi infernali: se non muoiono di frane o crolli, si ammalano di malattie linfatiche a causa della radioattività. «Nella cittadina di Rubaya, ad esempio, l’unica possibilità di sopravvivere è lavorare nella miniera sotto il controllo delle milizie che taglieggiano e terrorizzano la popolazione» spiegano i promotori della campagna. «Ogni carico di minerali è scortato da soldati armati per prevenire gli assalti. Le guerre sono volute e alimentate per permettere i traffici illegali di questi minerali. Il 60% del coltan proviene proprio dal Congo». Cipsi e Chiama l’Africa hanno dedicato a questo tema anche il calendario 2015, con foto di Erberto Zani dalla miniere del Kivu.
Il contrabbando
Questi minerali vengono definiti clandestini perché il loro traffico è gestito da compagnie senza scrupoli e da mafie internazionali. L’unica regola vigente è quella del contrabbando e il diventa così ignaro corresponsabile di sfruttamento dei lavoratori, violenza e conflitti. «Organizzandoci, cominciando a svolgere azioni di lobby positiva, possiamo trovare i canali per farci ascoltare, per cambiare il corso delle cose» dice Eugenio Melandri, coordinatore di Chiama l’Africa. «Ad esempio  chiedendo una normativa internazionale chiara per la tracciabilità dei minerali come il coltan, norme che mettano fine ai conflitti, agli interessi, alle violenze e alle guerre per la ricchezza».
Il boicottaggio
La campagna propone anche boicottaggio dei prodotti che propongono materiale insanguinato. Un modo per porre fine al traffico illegale di coltan è responsabilizzare le imprese che si trovano nella parte finale della filiera. Se le imprese fossero costrette a esporre pubblicamente tutti i passaggi seguiti dai loro minerali, dall’estrazione all’ingresso nei loro stabilimenti, di sicuro non userebbero più il coltan proveniente illegalmente dal Congo. Di conseguenza il traffico si esaurirebbe per mancanza di mercato. Tra le altre azioni suggerite ai consumatori: comprare telefonini e strumenti elettronici solo quando è necessario, riciclare l’usato, scegliere i prodotti il più possibile certificati, fare azioni di lobby presso produttori e politici.
Le regole UE
La pressione internazionale è tanta e l’Unione europea ha pensato ad una normativa che prevede di istituire un sistema di autocertificazione per gli importatori comunitari di stagno, tantalio, tungsteno e oro. Ma il testo proposto nel marzo 2014 non soddisfa le associazioni perché, appunto, le imprese europee non sarebbero obbligate a non comprare i minerali insanguinati, ma solo invitate a farlo. Inoltre la richiesta di autocertificazione riguarda solo gli importatori e non tutte le imprese interessate da questo mercato a rischio».
Ecco il testo della lettera e le richieste che la campagna Minerali Clandestini destina ai parlamentari europei e alla Commissione UE:
LETTERA A
Parlamento Europeo Parlamentari europei
Commissione Europea Commissione Europea
Il legame tra risorse naturali e conflitti è presente circa nel 20% dei quasi 400 conflitti in corso nel mondo e in Africa almeno 33 conflitti hanno origine nel commercio delle risorse minerarie.
Si tratta, in particolare, di 4 minerali, oro, tungsteno, stagno e coltan, utilizzati in una vasta gamma di settori industriali e commerciali, tra cui quelli dell’elettronica e dell’aerospaziale.
Secondo l’Organizzazione per lo Sviluppo Industriale delle Nazioni Unite, le entrate delle esportazioni minerarie rappresentano il 24% del PIL dell’Africa che, da sola, possiede il 30% delle riserve minerarie del mondo e una percentuale ancora maggiore di giacimenti di oro, platino, diamanti e manganese. L’esportazione dei minerali dai paesi africani, così come è organizzata, provoca impoverimento sociale e del territorio, danni ambientali, e spesso insicurezza e guerre (anche di bassa intensità, come nella Regione dei Grandi Laghi africani). La comunità internazionale ha grosse responsabilità perché, pur conoscendo-le, diffonde scarse notizie sui conflitti che hanno come causa l’estrazione ed il commercio dei minerali, in particolare quelli necessari per le produzioni tecnologiche; tale commercio presenta spesso zone oscure in cui i minerali sono scambiati illegalmente, senza alcun rispetto dei diritti dei lavoratori, quando non in cambio di armi, per continuare a produrre guerra, insicurezza e poter agire indisturbati nel commercio.
In questo momento storico in cui l’economia mondiale presta particolare attenzione al continente africano, come riserva di materie prime e forza lavoro ma anche come possibile mercato per il futuro e per uscire dalla crisi, l’Unione Europea, attraverso l’allora alto rappresentante per gli affari esteri e per la politica di sicurezza, Catherine Ashton, e l’allora commissario per il Commercio, Karel De Gucht, lo scorso 5 marzo 2014 ha elaborato una proposta di regolamentazione per il commercio di minerali provenienti da zone di conflitto. La proposta si basa su due principi fondamentali: agevolare le aziende che desiderano procurarsi i minerali in modo responsabile e incoraggiare il commercio lecito, presentando un progetto di regolamento che istituisca un meccanismo di auto-certificazione per gli importatori europei che, su base volontaria, potranno rendere conto dell’applicazione del dovere di diligenza alla loro filiera di approvvigionamento in minerali. Il dovere di diligenza è l’insieme dei provvedimenti presi per individuare, prevenire ed evitare il rischio che il commercio dei minerali contribuisca a finanziare le attività di qualsiasi gruppo armato.
Apprezziamo la volontà della Commissione Europea di voler varare un regolamento europeo sull’importazione di minerali provenienti da zone di conflitto, ma ci pare insufficiente.
Sosteniamo la richiesta di EurAc, una rete di 39 organizzazioni europee che si occupano di Africa centrale (Burundi, Rwanda, RD Congo) ai parlamentari europei ed ai governi degli Stati membri dell’UE di proporre emendamenti al Regolamento presentato dalla Commissione, per rendere obbligatoria l’applicazione della Guida dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) da parte di tutte le industrie che si approvvigionano di minerali provenienti dall’Africa Centrale. Solo tale proposta, accompagnata da misure volte a rafforzare la capacità e la volontà degli Stati dell’Africa Centrale di controllare la produzione e il commercio dei minerali, permetterà di ridurre i rischi di finanziamento di conflitti a partire dal mercato europeo. 
PETIZIONE
Ai Parlamentari europei ed ai membri della Commissione europea
In riferimento al regolamento per l’importazione responsabile di stagno, tantalio, tungsteno e oro ed i rispettivi minerali grezzi, provenienti da aree in conflitto o ad alto rischio, chiediamo:
• di modificare il progetto di regolamento in modo da sostituire lo schema di auto-certificazione volontaria con un regime obbligatorio per le imprese, affinché rendano pubblicamente conto di ciò che hanno fatto circa l’applicazione del dovere di diligenza alle loro catene di approvvigionamento, in conformità con la Guida OCSE;
• di ampliare il campo d’applicazione delle imprese coperte dal progetto, finora limitato agli importatori, alle fonderie e alle raffinerie, per potervi includere le principali società che commercializzano in Europa i 3T e l’oro sotto forma di prodotti finiti (end-users).
• di approvare e rendere operativo il regolamento nei tempi più rapidi possibili. 
 
Scarica il poster dall’allegato Pdf 

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