Il dossier “Quanto è vivibile l’abbigliamento in Italia?” espone i risultati dell’indagine svolta fra l’aprile 2013 e l’agosto 2014 e che ha visto come protagonisti membri interni alla campagna e un team di ricercatori italiani nelle persone di Devi Sacchetto, Veronica Redini, Davide Bubbico.
Poiché la ricerca ha messo in evidenza che, almeno per alcune categorie, il problema di salario vivibile esiste, la Campagna Abiti Puliti ha poi organizzato un seminario di approfondimento al quale sono stati invitati esponenti sindacali, esponenti di impresa, esponenti di governo ed esponenti del mondo accademico per raccogliere esperienze e suggerimenti sulle vie da perseguire per giungere alla garanzia di un salario vivibile per tutti.
«Benché tutti abbiano riconosciuto il salario vivibile come una conquista irrinunciabile, non sono emerse indicazioni chiare sui modi per perseguirlo – dicono i promotori – Qualcuno si è soffermato sui rischi che l’ammontare sia definito per legge perché se troppo elevato può spingere verso il sommerso, se troppo basso può penalizzare i margini di contrattazione sindacale. Tutti però hanno riconosciuto che il salario vivibile avrà tanto più modo di affermarsi quanto più sussistono alcune condizioni politiche come la presenza di forti organizzazioni sindacali, l’esistenza di norme internazionali che responsabilizzano le imprese, una forte trasparenza delle filiere produttive».
Più in particolare sono state evidenziate le seguenti criticità e proposte:
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modificare le attuali leggi sull’immigrazione che favoriscono l’afflusso di manodopera dove si produce per rompere il meccanismo che oggi lega la clandestinità al lavoro nero e quindi allo sfruttamento e alle condizioni inumane;
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calcolare la soglia di salario minimo vivibile tenendo conto del livello di servizi gratuiti offerti dalla struttura pubblica e del carico fiscale. Non va dimenticato che i servizi pubblici sono un modo per garantire reddito indiretto a tutti, mentre la politica fiscale è un meccanismo fondamentale di lotta alle iniquità tramite la redistribuzione del reddito;
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attivare dei meccanismi che modulino il salario vivibile in base alle situazioni reali delle famiglie. Oltre al carico familiare è necessario tenere conto del numero di adulti che lavorano;
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mantenere un buon equilibrio fra intervento legislativo sui salari e contrattazione sindacale. Oltre ad una protezione minima per tutti è irrinunciabile l’intervento del sindacato per ciò che attiene alla contrattazione del salario indiretto e agli aspetti particolari legati ai singoli settori e alle singole aziende;
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promuovere l’introduzione di un salario minimo a livello europeo per avviare il processo di superamento dei differenziali salariali che oggi danno una forte possibilità alle imprese di adottare la strategia del divide et impera;
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costituire un gruppo di osservazione multistakeholder sul salario. Ormai si tratta di una proposta matura e necessaria su cui lavorare, puntando ad alleanze trasversali;
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lavorare insieme per una grande battaglia sulla trasparenza e tracciabilità sociale;
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porre particolare attenzione alle regole internazionali e ai trattati di liberalizzazione commerciale che minano alla radice la possibilità di difendere leggi e sistemi di protezione sociale avanzati;
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aggredire i processi di impoverimento e di precarizzazione che alimentano forme di consumo al ribasso a loro volta sostenitrici di forme di produzione che utilizzano lavoro altamente sfruttato. L’estensione del salario vivibile a tutti, come modalità per aumentare i redditi familiari, può essere una strada per spezzare questo circolo vizioso;
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attivare meccanismi che stimolino le imprese committenti a definire prezzi di commessa che diano ai fornitori margini sufficienti a garantire il rispetto della legalità e il pagamento di salari vivibili. Attivare meccanismi di verifica sull’applicazione di questa prassi.
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