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Largo all’autocostruzione!

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Costruire o ristrutturare un edificio con amici e familiari: in Italia si può fare. Ecco la storia di chi l’ha già fatto.
Da millenni gli esseri umani si costruiscono da soli il proprio nido, come tutti gli altri animali. Il diritto alla casa rientra nei diritti fondamentali della persona ma rimane spesso disatteso, e si trasforma quasi automaticamente in un dovere: quello di arrangiarsi o, per i più fortunati, di passare all’acquisto. A suon di grattacapi e sacrifici economici.
Chi vuole costruirsi un’abitazione, un ufficio, una capanna, avendone le competenze e rispettando le norme vigenti, può sicuramente farlo. Ma avrà bisogno di aiuto, e nel momento in cui si rivolge a un amico o un parente, ecco che le cose si complicano. Per i nostri nonni era normale: la casa se la costruivano con le proprie mani, aguzzando l’ingegno e facendosi aiutare da altre braccia, o da chi ne sapeva di più. L’autocostruzione oggi in Italia rischia invece di diventare appannaggio esclusivo di chi ha gli agganci giusti e la forza economica adeguata. Nella prassi diventa un terreno fertile per cooperative solide e ben strutturate, che sono lontane dalle istanze di molte piccole realtà, armate di buon senso e di valori solidali. L’autocostruzione, d’altra parte, riguarda sempre più persone, famiglie, gruppi sociali, interessati a rimboccarsi le maniche e a diventare un po’ più protagonisti della propria vita. Nell’immediato futuro potrebbe diventare un tassello importante di quell’economia conviviale basata sullo scambio e sull’aiuto reciproco, vicina al mondo del cohousing e degli ecovillaggi, ma anche a una nuova sensibilità diffusa in tutti gli strati della società. Se in paesi come la Francia rappresenta una pratica abituale, perché dunque non farla affermare anche in Italia?
L’autocostruzione in Italia
Sulla carta in Italia siamo armati di buone intenzioni. Basta sbirciare un po’ su internet per accorgersi che molte amministrazioni hanno inserito termini come autocostruzione o
cohousing all’interno di bandi sull’edilizia sociale. Non parliamo quindi di una novità. «Di fatto, in Italia, l’autocostruzione coordinata e assistita viene già da tempo praticata dalle cooperative edilizie» spiega Laura Pommella, architetto socio di A.r.i.a. Familiare, federazione di associazioni per la realizzazione di progetti di autocostruzione. «Con la nostra associazione abbiamo cercato di individuare un’altra via che rispondesse in modo più adeguato ai inclusività di altri soggetti, come famiglie e piccoli nuclei». Per dirla in altri termini, è molto improbabile che una famiglia o un gruppo di amici che intende autocostruire la propria casa possa ricorrere alla forma organizzativa della cooperativa edilizia, perché comporta un dispendio economico e gestionale proprio dei grandi numeri, del tutto sproporzionato rispetto agli scopi dell’autocostruzione familiare. «Noi siamo partiti da un’idea molto semplice: chiunque ha diritto ad avere una casa» continua Laura. «Nella storia dell’umanità farsi la casa è sempre stato un bisogno naturale come bere e mangiare. E nessuna normativa poteva negare questo diritto».
La legge italiana non dice esplicitamente che l’autocostruzione debba essere intrapresa dalle cooperative, ma nella pratica è quello che succede. Il testo unico sulla sicurezza, infatti, impedisce l’ingresso in cantiere a coloro che non sono adeguatamente informati, formati e addestrati, e che non abbiano uno specifico inquadramento secondo la giurisdizione del lavoro. «Il cantiere rimane infatti un luogo di lavoro ad alto rischio per la salute e la sicurezza di chi vi opera, indipendentemente dalla tecnica utilizzata» spiega Laura. «La nostra associazione riconosce questo principio. La sicurezza e la legalità per noi sono valori imprescindibili. Ci siamo semplicemente impegnati per rendere possibile l’inquadramento della figura dell’autocostruttore nel contesto della normativa sulla sicurezza e permettere alle persone che vogliono contribuire alla costruzione, ristrutturazione o manutenzione della propria casa di poter percorrere questa strada».
Paglia, legno e aiuto reciproco
Maria Angela Pucci, socio di A.r.i.a. Familiare, ingegnere e presidente dell’associazione Edilpaglia, da cui è nata A.r.i.a Familiare, si occupa da diversi anni di autocostruzione.
«Edilizia naturale e autocostruzione sono stati sempre legati» afferma. «Noi lo sappiamo molto bene: da parte dei committenti di questi edifici veniva spesso chiesto di autocostruire. Allo stesso tempo molto spesso chi si muove con queste istanze sociali tende a preferire la bioedilizia, che impiega materiali leggeri e facili come il legno o la paglia». Dal 2009 Edilpaglia promuove le costruzioni con materiali naturali, come la paglia, la calce, la terra cruda, il legno, ma ha sempre avuto questa vocazione alla solidarietà
e alla responsabilità comunitaria. Maria Angela ci parla di diversi cantieri sul piede di partenza, ma non ci nasconde le difficoltà. «Non abbiamo bisogno di nuove leggi, ce ne sono anche troppe» commenta. «Il problema, semmai, è di ordine burocratico. Avendo a che fare con dei cantieri che non vengono affidati a un’impresa, gli uffici competenti di Asl e pubbliche amministrazioni cadono dalle nuvole. E tutte le volte dobbiamo cominciare da capo, presentando documenti, circolari, mettendoci a discutere. Chiariamoci su un aspetto: non vogliamo andare in deroga alle normative: il sistema organizzativo dei cantieri in autocostruzione della rete di A.r.i.a. Familiare, prevede addirittura l’innalzamento dei livelli di sicurezza rispetto a quanto richiesto, proprio in virtù di un principio di precauzione». Insomma, l’autocostruzione non deve essere concepita solo per i grandi numeri delle cooperative, e non deve lasciare campo aperto a illeciti e abusi edilizi. I cantieri di A.r.i.a. Familiare si inseriscono a pieno titolo nel quadro della legislazione vigente in tema di sicurezza. «Chiunque condivida i principi etici che stanno alla base dell’associazione può aprire un cantiere in autocostruzione» spiega Maria Angela. «Di fatto però si tratta di can-
tieri innovativi, anomali rispetto a quelli convenzionali, e succede così che gli uffici che debbono verificare la loro conformità spesso si trovino in difficoltà. Su questo punto stiamo condividendo un percorso, insieme alla Regione Toscana, che a breve potrebbe davvero cambiare le cose. Per noi è importante rimanere nella legalità: non vogliamo che si possa mascherare il lavoro nero dietro la facciata del volontariato».
Articolo tratto dal mensile Terra Nuova di Novembre 2014. Per la versione integrale cliccare qui.

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