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Parla con me

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A colloquio con lo psicologo e facilitatore Pino De Sario, per scoprire la comunicazione ecologica in occasione dell’uscita dei suoi tre ebook editi da Terra Nuova Edizioni.

Parla con me

Comunichiamo quello che siamo. Lo facciamo anche quando crediamo di non comunicar nulla, anche quando nel passaggio fra emittente e ricevente il messaggio perde il suo significato originario perché ciascuno ha il suo filtro per leggere e interpretare il mondo. Faccenda complessa, dunque. Sapere che non è possibile raggiungere la perfezione è in un certo senso liberatorio: ci permette di concentrarci sulle nostre possibilità reali e quindi di evolvere, diventare migliori nella relazione con noi stessi e con gli altri.
Per fare questo occorrono in ogni caso delle competenze di base, ed è qui che entra in gioco la comunicazione ecologica, che ci propone una serie di metodologie volte a facilitare la comprensione, il confronto e il dialogo nei gruppi di lavoro, nelle associazioni, in famiglia e nella coppia. Ne parliamo con Pino De Sario, psicologo sociale e uno dei maggiori esperti italiani di facilitazione, in occasione dell’uscita di una collana di ebook sull’argomento.
Pino, quale potrebbe essere un sinonimo di «comunicazione ecologica »?
Direi comunicazione integrata, nel senso di tenere conto della dualità: infatti mette insieme fattori razionali e irrazionali; il pensiero cosiddetto diurno, proteso al fare e al mostrarsi, e quello notturno, focalizzato sul rimuginare e fantasticare. Osservando le persone nei contesti più disparati si ha spesso l’impressione di un dialogo fra sordi.
Secondo te si ha davvero voglia di comunicare?
Per certi versi sì, sicuramente. Per quanto egocentrici, siamo fatti per stare in relazione e ne abbiamo bisogno sia dal punto di vista genetico che culturale. Tuttavia sul palcoscenico dell’interazione siamo troppo abituati al monologo. Da una parte quindi abbiamo questa propensione, dall’altra il ritiro e la diseducazione alla cultura di gruppo, all’alterità.
Comunicare a volte sembra davvero difficile. Ma le persone ne sono consapevoli?
Solitamente no. Ma la mancanza di consapevolezza è essenzialmente legata all’assenza di un metro migliorativo. E questo porta a un gioco che tende al ribasso, dentro un confine che ci autolimita, dove abbondano dicerie, luoghi comuni e concetti stereotipati.
Un primo passo per chi è a digiuno di comunicazione ecologica: da che parte incominciare?
A livello di principio, bisogna mettere subito in conto che in una relazione ci sono anche fattori che non vanno, incomprensioni fisiologiche che non possono essere negate. A livello pratico, invece, è necessario tenere conto della prospettiva dell’altro, in un’alternanza fra Io e Tu. Solitamente invece siamo concentrati troppo su noi stessi o troppo sull’altro. Il binomio Io-Tu è un’altra ecologia. Significa fare domande, in modo ponderato naturalmente, per prevenire fraintendimenti e stimolare il confronto, ed essere assertivi. Tutto questo non è certo automatico, ma qualcosa che possiamo imparare.
Se il comunicatore ecologico avesse una cassetta degli attrezzi, che cosa ci metterebbe?
Innanzitutto il pendolarismo fra Io e Tu, perché permette di considerare entrambi i punti di vista dando lo stesso valore a noi e al nostro interlocutore. Continuerebbe con l’apprezzamento, una dote che di solito ci manca, perché consideriamo in modo disattento quello che abbiamo, ci apprezziamo troppo poco e al contempo poniamo poca attenzione agli aspetti costruttivi del comportamento altrui. Un altro strumento per la nostra cassetta è la critica costruttiva, perché è importante criticare senza di struggere, ovvero criticare il comportamento della persona e non la persona stessa; la critica va quindi contestualizzata, mirata a una precisa mancanza, evitando l’uso di avverbi generici come «sempre» e «mai». Tra gli strumenti essenziali c’è poi l’ascolto pieno, perché è necessario considerare anche la negatività di cui la persona è portatrice. In ogni caso è bene precisare che non ci sono ricette e soluzioni immediate, ma piuttosto la volontà di concentrarsi sulla relazione per lasciare spazio al sentire dell’altro. A questo proposito è buona norma utilizzare «parole-chiave», riprendendo il punto saliente del discorso dell’altro. Così facendo, «restituendo» la parola stessa, si mostra accoglienza e comprensione e si fa spazio alla rielaborazione e alla condivisione.
Per comunicare occorre essere in due. Almeno in due. Ma che cosa succede quando uno si sintonizza sulla comunicazione ecologica e l’altro no?
Chi usa la comunicazione ecologica ha la possibilità di modulare la propria apertura mentale e linguistica. A volte questo può portare anche alla decisione di lasciare il campo, perché non c’è spazio per proseguire o non è opportuno farlo. Comunicare in modo efficace significa, infatti, non solo aprirsi all’altro, ma anche sapersi proteggere. La positività non va preconizzata. Jerome Liss, psichiatra e fondatore della biosistemica, di cui sono stato allievo, diceva che è necessario lavorare sul ruolo della negatività, perché investire sulle risorse della convivenza significa lavorare sulla consapevolezza che il conflitto esiste e non si può eliminare, ma solo gestire, anche proteggendosi se serve.
E in gruppo tutto questo come si realizza?
È importante la presenza del facilitatore, estraneo alle dinamiche interne, potenzialmente o apertamente conflittuali, e capace di guidare il gruppo all’interno della loro trasformazione verso atteggiamenti costruttivi. In qualunque contesto ci troviamo, portiamo tutti nel mondo le nostre disfunzionalità, dissonanze e criticità, ognuno con propri atteggiamenti specifici; dobbiamo fare i conti con automatismi eccessivi, schematici e inadeguati se calati in semplici contrasti nel lavoro o a casa. Non si lavora dunque sul conflitto quanto sulla possibilità di trasformarlo.
Noi italiani siamo dei grandi gesticolatori. La gestualità aiuta o è d’impiccio?
Esistono due tipi di gestualità: quella involontaria e irrinunciabile, e un’altra che potremmo definire intenzionale. È bene essere consapevoli della prima e conoscere la seconda, perché gesticolare significa dare corpo ai pensieri. Tuttavia è importante non invadere lo spazio dell’altro, non infastidirlo con una gestualità che potrebbe risultare eccessiva.
La parola è espressione del pensiero. Per usare bene le parole, occorre allora lavorare sui pensieri?
Il pensiero è frutto della mente, che è individuale e relazionale. Dobbiamo quindi considerare il conflitto personale interiore fra ragione ed emozioni e allo stesso tempo le sollecitazioni dovute all’interazione con gli altri. È infatti la relazione che conforma i pensieri. Per migliorare la comunicazione è importante imparare a governare la mente in modo che non ci tenga in scacco, bisogna essere capaci di contenerla, ad esempio attraverso tecniche di concentrazione e respiro che favoriscano il contatto con se stessi qui e ora.
Fino a che punto si può essere ecologici nella comunicazione?
Non esiste un piano di perfezione, né una canonicità assoluta e rigorosa. La negatività è fisiologica, non si può eliminare ma anzi può diventare una risorsa, materia feconda, manifestazione più vitale rispetto alla positività, che a volte appiattisce gli scambi. Jerome Liss affermava che nel comportamento negativo c’è il germe del positivo. Quello che conta è imparare a integrare e unire, consapevoli delle forze che ci dividono e senza la pretesa di raggiungere un livello di perfezionismo impossibile che ci condurrebbe verso una rigidità o una caoticità eccessive, e a loro volta problematiche.

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L’autore si concentra su tre risorse fondamentali per superare le problematiche comunicative: accogliere, contenere e trasformare
di Pino De Sario – ePub senza DRM – cod. EB002 – € 5,00
Comunicazione Ecologica/3: STRUMENTI PER MIGLIORARE LA COMUNICAZIONE
18 strumenti per superare le problematiche comunicative e acquisire nuove abilità. Guida pratica con video sul linguaggio del corpo
di Pino De Sario – ePub senza DRM – cod. EB003 – € 5,00

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