C’era una volta una notte di luna piena ed una gallina che se ne stava nella sua gabbietta. La gallina era evidentemente una gallina diversa della altre perché nonostante fosse notte fonda non dormiva come tutte le altre galline, le quali come è risaputo, si addormentano molto presto. La gallina della nostra storia se ne stava ad ammirare la luna, quella bella palla luminosa e dorata come un enorme chicco di mais, e pensava. Si perché ci sono della galline che pensano…a modo loro…ma pensano. Pensava a come sarebbe bello farsi una bella passeggiata nell’erba bagnata dalla luce della luna. Improvvisamente, senza nessun preavviso, sentì una vocina: “Buonasera”. Era una vocetta sconosciuta, ma di sicuro molto educata. Silenzio. “Non sembra anche a lei una bellissima serata signora gallina?”
Continuò la vocetta, per niente scoraggiata dal silenzio della gallina. “Sa, ho pensato che non c’è niente di più bello di due passi al chiaro di luna, anche se due passi mi piace farmeli anche all’alba, e pure al tramonto”. Nel buio la gallina riuscì a scorgere la sagoma da cui proveniva la vocetta: ma era un gatto!!
“Un gatto! Vuoi farmi del male!?” disse con voce terrorizzata la gallina, la quale non era particolarmente coraggiosa. “Ci mancherebbe!”. Esclamò dispiaciuto il gatto, anzi la gattina.
Guardando meglio infatti, la gallina si rese conto che davanti alla rete della sua gabbia c’era una graziosa gattina che sembrava possedere tutti i colori del mondo; aveva il manto rosso, bianco e nero, gli occhi verdi con delle meravigliose pagliuzze azzurre e il nasino tutto rosa.
“Se permette mi presento” disse in tono dolcemente rassicurante la gattina, “mi chiamo Stellina. E Lei?”. Improvvisamente la gallina si rese conto di non avere un nome. Quasi imbarazzata rispose. ”Io non mi chiamo in nessun modo, sono una gallina punto e basta”.
“Oh… allora continuerò a chiamarla Signora Gallina. Però non posso fare a meno di ammirare le sue candide piume bianche, bianche come le nuvole che galleggiano nella brezza delle belle giornate primaverili. Se un giorno deciderà di avere un nome, potrei permettermi di suggerirLe Nuvoletta? Penso che si troverebbe bene con questo nome”. Anche se alla gallina, in fondo al suo cuore, fece piacere che qualcuno si fosse preoccupato di trovarle un nome, decise di mantenere un tono burbero e distaccato, ovvero il tono delle creature che non sono abituate a ricevere gentilezze.
“Comunque io non le farei mai del male, io adoro le creature con le ali” continuò la micetta “pensi che io sono stata adottata da un pipistrello. Per essere precisa non solo da lui, ma anche da un salice, un girasole ed una lucciola.”
La gallina, la quale non avendole mai usate non si era neanche mai accorta di avere le ali, rispose sempre con il suo tono burbero: “pipistrello, salice, girasole e lucciola per giunta? Mai sentite tante stupidaggini”.
“Sì proprio così” rispose per niente infastidita la gattina “e se vuole, e se non ha altro da fare, le posso raccontare come è andata e del perché io mi chiamo Stellina”. “Io ho un sacco di cose da fare” bofonchiò la gallina, che in realtà non faceva altro che starsene sempre in gabbia a masticar mangime. “Però se proprio insisti ti dedicherò qualche minuto, al massimo un quarto d’ora”. Stellina, che in realtà non aveva insistito per niente, iniziò la sua storia.
“Prima di tutto, Signora Gallina, per raccontarle la mia storia avrò bisogno dell’attenzione del suo disegnatore.” “Di chi??”
“Vede, Signora Gallina, tutti abbiamo un disegnatore dentro di noi. E’ questo disegnatore che ci permette di immaginare e seguire le storie che ci raccontano. Con bravura e pazienza disegna tutto quello che stiamo pensando o immaginando e così possiamo vedere i nostri pensieri. Non le è mai successo di pensare di fare una passeggiata e vedere, come di incanto, intorno a lei l’erba, i fiori e le stelle nel cielo limpido?”
“Caspita,” pensò la gallina “ma questa gattina riesce a leggere nel pensiero?!”.
La Gattina proseguì: “Ora che ho l’attenzione del disegnatore posso continuare.
Le Presentazioni
“Era una bella notte di luna piena, proprio come questa. I grilli cantavano, e tra tutti questi grilli c’era anche Cri il cantastorie. A Cri piaceva cantare un po’ di tutto e spesso riportava, arrangiandole in musica, anche le notizie che raccoglieva in giro. Se uno faceva attenzione ed ascoltava Cri poteva apprendere cose molto utili. Quella notte in particolare, ad ascoltarlo c’era Sal, il salice. Sal, che era un salice piangente, non era mai, per sua natura, particolarmente allegro. Sicuramente era molto intelligente e pensava, pensava così tanto che qualche volta gli sembrava che i suoi rami andassero a fuoco. Cri cantava che presto, su quel pezzo di terreno a cui Sal era così fermamente ancorato con le sue radici, sarebbe sorto un parco giochi. In questo parco giochi non ci sarebbe stato posto per gli alberi veri, perché sarebbero stati sostituiti tutti da alberi di plastica. Grazie a questa idea, che agli ideatori del parco giochi sembrava di sicuro geniale, gli alberi sarebbero stati eterni, non avrebbero mai perso le foglie, e avrebbero avuto sempre la stessa dimensione, insomma, sarebbero stati facili da gestire. A Sal questa cosa sembrò spaventosa e tentò di avvertire gli alberi intorno ma non gli diedero ascolto perché secondo loro Sal era pessimista e catastrofico.
Per fortuna, lì vicino, era nato un girasole. Questo girasole, il cui nome era Sol, era invece sempre felice. Essendo un girasole, per sua natura, era davvero un tipo molto solare. Inoltre a Sol, che era abituato a girare la sua corolla di petali in ogni direzione, non sfuggiva mai niente ed a tutto cercava di trovare una soluzione. Lui, prestò attenzione alle parole di Sal e anzi gli disse che dovevano cercare un posto nel quale avrebbero potuto continuare a vivere il più felicemente possibile, era un loro diritto. Secondo Sal invece non c’era nulla da fare. Sal, che era molto scientifico nei suoi ragionamenti, asseriva che siccome non si erano mai visti un salice ed un girasole andarsene in giro per scegliere un posto dove vivere, era impossibile che questo potesse mai accadere. Tanto valeva accettare la realtà ed aspettare le ruspe che li avrebbero estirpati.
Sol, che invece era testardo e non si voleva arrendere subito, chiese consiglio al suo miglior amico che era una lucciola di nome Stellino. Stellino infatti illuminava Sol di notte, non facendogli sentire la mancanza del suo adorato sole. In cambio Sol cullava Stellino nei suoi morbidi petali. Era nata così una grande e sincera amicizia.
Stellino confidò a Sol che poteva chiedere alla luna un bacio di luce e l’energia che ne avrebbero ricavato avrebbe permesso a Sol e Sal di andarsene a cercare posto nuovo dove poter vivere in pace. Sol pregò subito la luna di baciarli con la sua luce e subito, per incanto, le radici di Sol e Sal si poterono staccare dal terreno e furono liberi di muoversi. Come in tutti gli incantesimi che si rispettino c’era però una condizione da rispettare: potevano muoversi solo di notte in modo da non creare scompiglio fra gli esseri umani. Gli esseri umani infatti la pensavano come Sal: se non si era mai visto, prima di allora, un salice andare a passeggio, e per giunta con un girasole, allora voleva dire che era una cosa impossibile e fuori da ogni logica.
Sol e Sal, ai quali non piaceva certo creare scompiglio, accettarono volentieri la condizione.
Appena si apprestarono a partire si aggiunsero altri due compagni di viaggio. Il primo era Stellino, che già conosciamo. Stellino infatti aveva intuito che le luci del parco giochi avrebbero soffocato la sua luce fino ad annullarla e quindi anche per lui era giunto il momento di partire.
Il secondo era Pip. Pip era un grazioso pipistrello che adorava riposarsi in una spaccatura nel tronco di Sal e quindi se Sal partiva lo avrebbe seguito senza esitazioni. Pip tra l’altro era un pipistrello molto sensibile: quando si emozionava, e succedeva piuttosto frequentemente, gli diventavano le orecchie tutte rosa e la sua silhouette diventava simile ad un cuoricino, tanto che più che un pipistrello sembrava un cuoricino nero con le orecchie rosa.
La Partenza
Una volta formata questa singolare compagnia di viaggio sorse la questione su quale fosse la direzione migliore da prendere. Stellino esclamò che secondo lui la miglior cosa era quella di seguire la via lattea, ovvero quella enorme scia luminosa che si staglia nel cielo notturno e che è formata da tante lucine simili alla sue. A Sal questa interpretazione così fantasiosa non andava molto a genio e ribatté che la Via Lattea in realtà era formata dalle stelle, ovvero da tante sfere di gas incandescente simili al nostro sole ma solo più lontane. Sol, a cui delle volte la pedanteria di Sal dava un po’ sui nervi, ribatté che Stellino poteva immaginarsela come più gli piaceva la via Lattea e dato che nessuno dei due era stato lassù tutte e due le interpretazioni andavano bene. Sal, che aveva assistito ad una lezione di astronomia di un professore che aveva portato i suoi studenti a fare osservazioni astronomiche in quella radura, si sentì offeso dall’osservazione di Sol e tenne il broncio per un bel po’. Iniziarono comunque a camminare seguendo la luccicante scia della via lattea.
Lo Strano Sogno di Pip
Anche Pip, dato che viveva nella spaccatura del tronco di Sal, aveva assistito alla stessa lezione di astronomia e all’alba, quando si fermarono per riposare in una radura, Pip fece un sogno strano e meraviglioso. Sognò che si trovava a cavallo di una luminosa stella cometa che lo portava a spasso lungo la via lattea. Poteva visitare qualsiasi stella, pianeta o satellite. C’era anche un grosso buco nero che risucchiava qualsiasi cosa avesse intorno, luce compresa! Da questo mostro cosmico preferì tenersi alla larga. Visitò pianeti nel cui cielo c’erano due o tre soli, pianeti fatti di gas denso e vorticoso, mondi freddissimi dove tutto era buio e desolato, oppure roventi ed inglobati in una luce accecante. Visitò anche un pianetino dove scorrevano fiumi di uno strano liquido puzzolente ed il cui cielo era giallo ed arancione. Si riposò su un pianeta rosso simile alla terra ma freddissimo e sferzato da tempeste di sabbia rossa. Infine, atterrò su un pianetino abitato da buffi esserini bianchi, estremamente puliti. Questi esserini sembravano impegnatissimi, tanto da non accorgersi neanche di Pip. Correvano da una parte all’altra con delle navette a forma di sfera ed aventi un lungo tubicino. Su queste navette trasportavano degli enormi parallelepipedi che poi abbandonavano in ogni spazio rimasto libero. Ogni tanto si fermavano, scendevano dalle navicelle-sfere e conficcavano il lungo tubo nel suolo. Evidentemente in questo modo estraevano del materiale del sottosuolo, perché nel punto nel quale avevano inserito il tubo si creava un avvallamento. A Pip sembrò il posto più assurdo dell’universo: un mondo popolato da esseri che stavano ricoprendo di parallelepipedi il suolo del pianeta che li ospitava, e per giunta lo stavano pure sgonfiando! Improvvisamente sentì una fitta di malinconia lacerargli il corpicino, quanta nostalgia per il suo rifugio nel tronco di Sal! Fu un viaggio affascinante e emozionante, ma che sollievo svegliarsi sulla nostra amata terra: il pianeta verde ed azzurro e, per quanto ne sappiamo, il più adatto ad ospitare noi essere viventi. Pip si convinse ancora di più di quanto fosse importante scovare un angolino sul nostro bellissimo pianeta dove potessero vivere serenamente tutti e quattro insieme.
L’Apparenza Inganna
Era quasi buio e si apprestavano a partire, quando le orecchie di Pip divennero tutte rosa. Si stava avvicinando una bambina con le trecce e sul vestito aveva disegnato un grande cuore! Anche Pip assunse subito la forma di un cuoricino, indubbiamente la sua preferita! Decise che sarebbe rimasto lì per giocare con la bimba con il grande cuore disegnato sul vestito. Per spiegare una decisione tanto improvvisa bisogna sapere che Pip era un pipistrellino molto sensibile, capace di provare grandi sentimenti, davvero tanto grandi per un corpicino così minuscolo. Non so se tutti i pipistrelli si commuovono, ma è certo che a Pip succedesse almeno 4 volte al giorno. Bastava che sentisse l’odore di un mughetto o vedesse Sirio, una delle stelle più luminose del nostro cielo, e gli occhi gli si inumidivano e si formava una lacrima, piccola e luccicante come una goccia di rugiada nel sole del mattino. Le emozioni che Pip provava erano totali e travolgenti come un fiume in piena ed il suo cuoricino doveva assecondarne la corrente per evitare di rimanere senza respiro. E la vista del cuoricino disegnato sul vestitino della bimba lo aveva sicuramente emozionato. Che creatura buona e sensibile doveva essere per andarsene in giro con il suo cuore così in bella vista! Comunicò agli altri che aveva capito che quello sarebbe diventato il suo angolino di paradiso. Sal, prudente come sempre, gli ricordò che spesso l’apparenza inganna, che bisogna saper aspettare per capire come sono esattamente le creature che ci circondano e che un il cuore sul vestito della bambina era solo un disegno e non un cuore vero. Insomma, i soliti discorsi da Sal. Sol invece, dato che non era mai d’accordo con Sal, disse a Pip che faceva bene a fare quello che gli suggeriva il suo cuore e che anche se avesse sbagliato gli sarebbe servito per crescere. Stellino, dato che ormai era buio, iniziò a mandare i suoi splendidi bagliori intermittenti. Pip, considerando l’incanto della luce di Stellino di buon auspicio, fece per dirigersi verso la bimba quando la vide tirare fuori un retino e catturare Stellino. Ma come? A Pip sembrò di non avere più la forza di volare. Con la sicurezza di chi è abituato a fare certe cose, la bimba tirò fuori un barattolo e ci chiuse dentro Stellino, la cui luce sembrava sempre più flebile. Pip non poteva rimanersene con le ali nelle ali e volò seguendo la bambina. Quando la ragazzina entrò nella casa dove abitava con i suoi genitori, Pip, senza farsi vedere, si introdusse furtivo da una finestra sul retro della casa. Non fu difficile trovare il povero stellino.
Le qualità di ognuno
Il barattolo contenente Stellino era stato messo su un tavolino nell’ingresso. La povera lucciola non volava neanche più, la sua luce diventava ogni minuto più fioca mentre se ne stava nel fondo del barattolo con le alucce appassite. Pip, che si era nascosto dietro la tenda, aspettò che le luci nella casa si spegnessero. Quando tutto fu buio Pip si avvicinò al carcere di vetro di Stellino. Bisogna sapere che Pip, anche se era un pipistrello molto sensibile, era comunque un pipistrello ed alcune cose, come ad esempio muoversi agevolmente nel buio, che per i non-pipistrelli sono molto difficili, gli venivano naturali. Per fortuna si ricordò di essere un pipistrello e si ricordò quindi che poteva emettere degli ultrasuoni molto potenti, tanto da poter spaccare il vetro di un bicchiere…e così fece, seguì il suo istinto e Stellino fu libero.
Il rumore del vetro del bicchiere che andava in frantumi svegliò il padre della bimba, che era una specie di armadio. Ancora in pigiama corse nel corridoio di ingresso e lì vide il povero Pip, che nel frattempo aveva già messo in salvo Stellino facendolo uscire dalla finestra aperta sul retro. Appena vide Pip iniziò ad urlare neanche avesse visto un mostro! Un pipistrello! Un vampiro, in casa mia! Prese la scopa ed iniziò ad inseguire il povero pipistrellino che scappava sbattendo da una parete all’altra. Pip sentiva dolore nel corpo, dato che stava sbattendo su ogni mobile per scappare alla scopa impazzita, ma soprattutto gli faceva male il cuoricino…come? Lui un vampiro? Ma se aveva sempre mangiato solo frutta ed insetti, e da quando aveva conosciuto Stellino mangiava solo frutta? Ma chi le aveva messe quelle brutte voci in giro? Lui non aveva mai e poi mai succhiato il sangue di nessuno, perché lo stavano accusando ingiustamente e perché gli volevano far del male quando lui aveva sempre provato affetto verso ogni creatura? Perché quell’omaccione urlante non gli dava un po’ di tregua, sarebbe tranquillamente uscito da solo senza bisogno della scopa. Figurati se Pip, un pipistrello con tanta dignità, sarebbe rimasto in un posto dove non era gradito e soprattutto in un posto dove c’era puzza di cinghiale fritto.
GEK e la forza della resistenza
Ormai pensando di essere senza scampo, Pip si appese ad una tenda, aspettando immobile la fine. Per fortuna, l’omaccione, anche se pensava di essere la creatura più furba del mondo, in realtà non vedeva al di là del suo naso. Siccome Pip era appeso ad una tenda che si trovava proprio un po’ più in là del suo naso, l’omaccione non vide il pipistellino impaurito e continuò a correre urlante per la casa con la pancia tremolante come un budino. Pip non ce la faceva più a rimanere fermo, aveva paura e spesso è la paura che ci spinge verso i pericoli peggiori. Stava per riprendere il volo quando ebbe la sensazione di essere osservato. Si girò di scatto e vide un tipo che somigliava ad una lucertola, solo con la testa più grossa, attaccato saldamente al muro con tutte e quattro le zampine. Era aderente al muro come una ventosa. La lucertola-ventosa rivolgendosi a Pip disse: “Fossi in te me ne starei buono buono ancora per un po’”.
“ Ma io ho l’ansia di essere scoperto, non riesco a sopportare questa attesa”. “Male” replicò la lucertola-ventosa”le decisioni suggerite dall’ansia e dalla paura non portano mai niente di buono”. “E cosa dovrei fare? Aspettare la mia fine senza fare niente?” rispose con voce agitata Pip.
“Certo che no! Ma devi agire al momento giusto! E questo non è il momento giusto”. “Ma come faccio a sapere quando è il momento giusto?”
“Prenditi il tempo per pensare ed improvvisamente il momento giusto arriverà. Se esci allo scoperto ora, quel violento del padrone di casa ti prenderà. Tra un po’ di tempo tutto questo movimento gli farà venire una gran fame ed andrà in cucina a mangiarsi mezza spalla di prosciutto, a quel punto tu potrai scappare da quella finestra” suggerì la lucertola-ventosa.
Pip che scambiando due parole si era un po’ calmato si mise zitto e fermo come faceva Sal di giorno. Stando immobile la sua capacità di osservazione aumentò molto. Guardando intorno vide qualcosa di lontanamente familiare. In tutta la stanza erano depositati parallelepipedi: alcuni erano piccoli e lucidi, altri neri e grandi con delle lucine rosse lampeggianti (ma sicuramente neanche lontanamente belle come la lucina di Pip). Si ricordò allora il suo strano sogno. Chissà se anche l’omaccione andava in giro prendendo ed abbandonando questi parallelepipedi e per farlo usava strani veicoli che piano piano stavano sgonfiando il pianeta. Mentre questi pensieri gli attraversavano la mente, notò che l’omaccione era sparito in un’altra stanza.
Capì che era quello il momento di andarsene ma prima di farlo si rivolse alla lucertola-ventosa per ringraziarla del suo prezioso consiglio: “Grazie mille, mi hai salvato. A proposito, io mi chiamo Pip”.
“Figurati, è stato un piacere! Io sono Gek il geco. Ricordati sempre che il saper resistere con pazienza è un grande valore, a me lo ha insegnato Gaman, un mio caro amico giapponese”
Pip riuscì a raggiungere la finestra da cui era entrato e finalmente uscì nella fresca aria notturna pensando di essere finalmente in salvo.
L’unione fa la forza
Mentre usciva, Pip aveva urtato inavvertitamente il vetro ed il padrone di casa, sentendo il rumore, si era affacciato dalla cucina con una fetta di prosciutto penzoloni alla bocca e lo aveva visto! Nonostante Pip avesse ormai abbandonato la casa l’omaccione continuò ad inseguirlo nel giardino, come se il pipistrellino avesse fatto qualcosa di terribile, tanto terribile da esser inseguito fino in cima al mondo. Per fortuna, oltre alle ingiustizie, a questo mondo esistono anche gli amici e Pip per fortuna ne aveva due davvero sinceri. Sal e Sol, che per aiutare Pip si erano trovati finalmente d’accordo, gridarono a Pip di dirigersi verso di loro e quando anche l’omaccione passò davanti a loro unirono le loro radici e lo fecero inciampare e cadde con la faccia in una pozza di fango. Si alzò furente, pronto a prendersela con il povero Sal.
Pip adotta stellina
Finalmente Pip si rese conto che la scopa cattiva del padre della bambina non lo stava più inseguendo. Per fortuna, se si ha la forza di resistere, c’è un momento in cui, anche le cose più brutte, spariscono come incubi notturni nell’alba di un nuovo giorno.
Pip vide dall’alto una cestina rovesciata e pensò che fosse il posto ideale dove riprendere fiato prima di ritornare dai suoi tre amici. Disegnando ampie traiettorie (ed anche in questo i pipistrelli sono bravissimi) planò delicatamente quando, da sotto la cestina, sorpresa delle sorprese vide spuntare un musetto…era io!. Pip capì subito che era così piccolina che non potevo rimanere lì tutta sola. Per prima cosa doveva trovare il modo di portarmi con sé per poter tornare dai suoi amici, ma come fare? Pensa e ripensa gli venne in mente che anche se i pipistrelli sono mammiferi hanno le ali come gli uccelli e quindi magari poteva imparare ad intrecciare rametti e foglie come fanno i suoi cugini alati per costruirsi il nido. Lì vicino c’era un gufo ed educatamente gli chiese se poteva insegnargli a costruire una specie di zainetto dove mettermi.
Il gufo era un vecchio artigiano che amava il suo lavoro tanto da considerare il guadagno che ne scaturiva secondario rispetto alla soddisfazione di costruire dei bei nidi confortevoli, accoglienti e sicuri. Dato che Pip era desideroso di imparare ed aveva tanta buona volontà, il gufo fu ben lieto di aiutarlo svelandogli alcuni segreti della sua arte. In meno che non si dica Pip ebbe uno zainetto comodo e sicuro per trasportarmi in volo.
Risolto il problema del trasporto ne sorse un altro: io avevo decisamente fame, mi ero messa infatti a succhiare insistentemente un’ala di Pip.
Chi cerca trova (quasi sempre)
Guardandosi attorno Pip ebbe un altro colpo di genio. Poco più in là c’era un recinto con all’interno una capra molto elegante. Aveva infatti il collo adornato da un lucidissimo campanello tintinnante ed il pelo ben curato. Pip si avvicinò, ed educatamente (come era solito comportarsi) chiese alla capretta se mi poteva dare un po’ del suo latte. La Capra, che era una capra discendente da una nobile dinastia di capre, guardò Pip dall’alto verso il basso ed ignorando la sua richiesta gli chiese che ci facesse un pipistrello con un gatto in uno zaino fatto di ramoscelli e foglie. Pip spiegò che aveva mi trovato in una cestina abbandonata e che non sentendosela di lasciarmi lì tutta sola, così piccolina, aveva deciso di adottarmi. La Capra mettendo su un risolino piuttosto irritante replicò che una cosa così, ovvero che un pipistrello (per giunta con evidenti sfumature di rosa) adottasse un gatto, non si era mai vista e che quindi non era naturale ed allora doveva per forza essere una cosa sbagliata e che offendeva il senso della morale. Pip, che non aveva proprio capito il ragionamento, chiese che cosa fosse il senso della morale. La Capra, sempre più inorridita, rispose che il senso della morale era l’insieme di regole alle quali bisognava obbedire per essere stimati. Pip, che non continuava a capire, ma gli interessava la questione, chiese chi decideva queste regole. La Capra sbarrò gli occhi e con voce offesa rispose stizzita: “Noi Capre, ovviamente!” e gli ricordò che lei in particolare era addirittura la contessa Bebe de Capris. “Che bel nome” rispose Pip. La Capra, un po’ più gentilmente dopo il complimento ricevuto, aggiunse: “è un’antica casata che deve il suo prestigio al fatto che abbiamo le corna più lunghe di tutte le altre famiglie di capre” e mentre lo diceva si mise di profilo per sfoggiare il suo meraviglioso paio di corna.
Pip pensò che non per tutti gli esseri della terra fosse un vanto avere le corna più lunghe di tutti, ma essendo un pipistrello molto rispettoso e non volendo offendere la mentalità capresca rimase zitto.
Nel frattempo io mi era messa a miagolare, avevo proprio fame. Pip tornò alla carica: “sarebbe così gentile da darmi un po’ del suo latte?”. “E come faccio a dartelo, dove lo metto? Non posso certo allattare direttamente quella gattina, ha la bocca troppo piccola per la mia mammella” replicò la capra. Pip dovette ammettere che aveva ragione. “Se trovi un contenitore adatto ti darò un po’ del mio latte”. Pip non perse la speranza e si mise a cercare…e vicino ad un cestino della spazzatura trovò una tazzina senza manico. Ma una tazzina può essere usata anche senza manico, anzi, non avendo le mani, Pip del manico non avrebbe saputo comunque cosa farsene. Tornò dalla capra, la quale, credendo di essersi liberata di quel buffo pipistrello nero e rosa con tanto di gatto nello zainetto, rimase interdetta. Pip, al quale non importava che la capra lo giudicasse buffo, sorrise e le porse la sua bella tazzina senza manico. La capra non poté fare a meno che dargli un po’ del suo latte.
Non c’è più tempo
Una volta che mi ebbe dato da mangiare, Pip si rese conto di una cosa terribile per un pipistrello: il sole ormai era alto in cielo e lui rischiava di bruciarsi. Svelto, si caricò Stellina sul dorso e prese il volo nella speranza di ritrovare i suoi amici: Sol, Sal e Stellino.
Volava a fatica, la luce del sole stava diventando insopportabilmente abbagliante ed il troppo calore gli stava facendo perdere la rotta.
Piccioni civili
Pip, che era proprio in difficoltà, si sentì alleviato quando vide dirigersi verso di lui un gruppetto di piccioni. Sperava proprio che lo avrebbero aiutato. “Scusate gentili signori piccioni, potreste farmi la cortesia di aiutarmi a proseguire il volo? La luce del sole a quest’ora è troppo forte per me, mi sta bruciando e rischio di precipitare”
Il piccione in testa al gruppo, che doveva essere il capo, rispose: “ Oh povero pipistrellino disgraziato, come mi dispiace per la tua sorte! Vorrei tanto poterti aiutare, ma vedi, noi siamo troppo occupati a rendere questo mondo un mondo civile e non abbiamo tempo da perdere. Ti prometto però, che se precipiti e muori, ti faremo piccione onorario”. Le orecchie pipistrellesche di Pip non avevano mai sentito una tal sequenza di stupidaggini…non volle perder tempo a rispondere.
Quando tutto sembrava perduto, Pip si sentì dire:” Stai attento, proprio davanti a te c’è una grossa roccia!”. Pip riuscì a schivarla per un pelo. Passato l’imminente pericolo Pip si rese conto che io avevo già imparato a comunicare. Era successo quell’eterno miracolo per cui una creaturina piccola piccola ed indifesa inizia, di punto in bianco, a comunicare con il mondo. E’ un miracolo perché succede improvvisamente e provoca un immenso senso di meraviglia in chi assiste. Insomma…puff!! Io, che fino ad allora aveva emesso suoni indecifrabili avevo detto le mie prime parole a Pip e addirittura lo avevo avvertito di un pericolo. Per il resto del viaggio fui io quindi a guidare Pip che ormai volava alla cieca. Ad un certo punto il pipistrellino mi descrisse i suoi tre amici e mi pregò di avvertirlo non appena li avessi scorti. Cosa che feci appena vidi Sal, Sol e Stellino. “Ecco Pip, proprio sotto di noi ci sono i tuoi amici” ma subito aggiunsi impaurita: “ O no! c’è un omone che sta cercando di bruciare i tuoi amici!”. Il padre della bambina, che considerava ogni avvenimento della vita, che non combaciasse con quanto da lui pianificato, come un affronto terribile verso la sua persona, voleva vendicarsi con Sal e Sol per aver inciampato nelle loro radici mentre inseguiva con la scopa il povero Pip. E siccome per l’omone la vendetta era una cosa molto seria, voleva addirittura appiccare il fuoco a Sal e Sol con la scusa di ripulire l’ambiente dalla “sterpaglia”, (NOTO DEL DISEGNATORE: IL DISEGNATORE SI RIFIUTA DI DISEGNARE QUESTA SCENA PERCHE’ E’ BRUTTA E TRISTE. AVVISA INOLTRE CHE NEL CASO FOSSE COSTRETTO A DISEGNARLA SI RIVOLGERA’ AL SINDACATO DEI DISEGNATORI).
Pip decise di affrontare il pericolo insieme ai suoi amici perché, tra amici, le sventure di uno sono le sventure di tutti. Prima però mi lasciò al sicuro dentro un cespuglio. Mentre, ormai con estrema fatica, stava volando verso Sal e Sol successe una cosa che ebbe dell’incredibile.
Ogni universo è possibile: basta scegliere
Sal, vedendo l’omone che stava appiccando il fuoco a lui e Sol, fece quello che può fare un salice piangente quando vede se stesso ed i suoi amici senza scampo: iniziò a piangere. Fu un pianto disperato, di quelli che vengono dal cuore. Fu uno di quei pianti che ti fanno sussultare di singhiozzi e che non ti fanno quasi respirare, quei pianti che non ammettono indugi che ti travolgono come un acquazzone. Fin qui nulla di eccezionale…se non fosse successo che le lacrime di Sal fossero così grandi e numerose da spegnere il fuoco e formare una pozza di acqua limpidissima sul terreno. Acqua che rimase poco in forma liquida perché iniziò ad evaporare a causa del calore del terreno bruciato dal fuoco. Si formò allora una nebbiolina che avvolse tutto, e quando iniziò a diradarsi successe una cosa meravigliosa. Stellino era diventato luminosissimo, come fosse davvero una stella del cielo, e la sua luce, propagandosi nelle goccioline d’acqua rimaste sospese intorno a loro, aveva formato un meraviglioso arcobaleno e Stellino, si dissolse in quell’arcobaleno, Era diventato pura luce, come aveva sempre desiderato. Pip, rinfrescato dalle lacrime di Sal, poté ritornare a prendermi e volare con me verso quell’arcobaleno da fiaba. Anche Sal e Sol si incamminarono seguendo l’arcobaleno. Arrivarono infine in una radura nella quale sorgevano delle capanne abitate da esseri umani. I nostri cinque amici avevano il timore di essere scacciati ancora. Invece, si resero presto conto che queste persone erano diverse da quelle incontrate precedentemente: apprezzavano la fresca ombra verde che faceva Sal durante le ore calde del giorno, il giallo splendente ed allegro di Sol, le sfumature rosa di Pip e la mia tenerezza di cucciolina. La mattina c’era sempre qualcuno che annaffiava Sol e che mi portava qualcosa da mangiare. Sol, che era per natura sempre felice, ma ora lo era decisamente di più, decise di affidare un messaggio al vento in modo che altre creature si unissero a loro in quella radura di pace. Arrivarono i peschi ed i meli selvatici, i rovi carichi di more, i castagni, i cespugli di lamponi e mirtilli e tante altre piante generose . Arrivarono le farfalle, le coccinelle ed un firmamento di lucciole…Non solo, ora che è cresciuta, la bimba che aveva catturato Stellino è venuta ad abitare nella radura e ci difende con tutta se stessa, perché vedi, cara Nuvoletta, le persone possono diventare migliori.
E che dire…da allora viviamo tutti felici e contenti.
A proposito, Sol, Sal e Pip mi hanno fatto il regalo più grande, mi hanno chiamata Stellina, come il nostro Stellino che con la sua luce ci ha donato la libertà.
“IL DISEGNATORE LASCIA LA LIBERTA’ AD OGNUNO DI RAFFIGURARSI LA PROPRIA RADURA FELICE”
Epilogo
“E questa è la storia di come sono stata adottata da un pipistrello, una lucciola, un salice ed un girasole” concluse Stellina.
Nuvoletta, che era rimasta a becco aperto per tutto il racconto, disse: “Quanto mi piacerebbe vivere nella radura felice”.
“Allora vieni con me!” esclamò Stellina.
La gabbia di nuvoletta ora era aperta