Produce il 4% del pil, assorbe il 12% della spesa delle famiglie, assicura allo Stato 8 dei 195 miliardi di euro delle imposte dirette… si chiama industria dell’azzardo.
Non si vince da soli
A leggere questi numeri verrebbe quasi da dire che l’industria dell’azzardo, la terza per fatturato, svolge una funzione economica insostituibile, soprattutto oggi in tempi di crisi economica. In realtà, analizzando il fenomeno in profondità si scopre una verità assai scomoda.
Negli ultimi dieci anni il gioco d’azzardo, prima confinato a pochi casinò, ha subito una radicale trasformazione e una crescita impressionante: grazie a una legislazione sempre più permissiva e allo sviluppo tecnologico, gratta e vinci, slot machine, video lottery, videopoker, bingo e win for life hanno conquistato gradualmente bar, tabaccai, circolini, esercizi commerciali di ogni genere, per poi infiltrarsi persino tra le mura di casa con i giochi online.
Purtroppo oggi per tante persone non è più una scelta, ma una dipendenza che fa trascurare rapporti umani, studio e lavoro. La ludopatia è una vera e propria malattia, riconosciuta dal Sistema sanitario nazionale, sempre più diffusa soprattutto tra i giovani. Un’epidemia resa ancora più virulenta dal fatto che a diffonderne il virus è lo Stato, che cede autorizzazioni e permessi in cambio di una concessione.
Le regine del gioco sono le diffusissime macchinette mangiasoldi, che da sole fanno il 55% dell’intera industria. Se ne contano ben 400.000 dislocate in 6181 locali. Sono queste le «fabbriche al contrario», dove non si va per guadagnare ma per svuotarsi le tasche. Mediamente, ogni giocatore vi spende circa 1800 euro l’anno, ma il gioco compulsivo può portare via stipendi e patrimoni interi, come è già accaduto a molti degli 800.000 ludodipendenti e come può accadere a qualcuno dei 3 milioni di giocatori censiti «a rischio patologico».
L’azzardo non conosce crisi o stagnazioni, anzi cresce e fiorisce ancor di più nei periodi di instabilità sociale e precarietà economica. L’assenza di una prospettiva sociale certa e di un impegno comune per migliorare lo stato delle cose spinge verso soluzione salvifiche e individuali: si diffonde così l’etica del win for life, il gratta e vinci che mette in palio 3000 euro al mese per 20 anni.
Ma il gioco d’azzardo è un gioco a perdere anche per lo Stato che lo promuove. A fronte degli 8 miliardi incassati dai concessionari, spende circa 6 miliardi di euro l’anno per far fronte ai costi sociali e sanitari delle ludopatie, a cui vanno aggiunti i costi «indiretti»: infiltrazioni mafiose, usura, sussidi per le persone rovinate.
Ben vengano dunque le iniziative e le proposte di legge per una drastica regolamentazione del settore. Ma la fuga verso l’azzardo si può vincere solo culturalmente, sostituendo l’etica del colpo di fortuna con l’idea che nei momenti di profonda crisi individuale e sociale non si vince da soli, ma tutti insieme.
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