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Tornare a vivere in campagna

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Laura e Stefano, due giovani di Milano, ci raccontano la loro scelta di tornare a vivere in campagna, fra decrescita, cibo sano e convivialità.
Tornare a vivere in campagna
Continuando il mio viaggio, in Toscana ho incontrato Laura e Stefano, due ragazzi che vivono in campagna, autoproducendo e cercando di limitare al massimo il proprio impatto sul Pianeta.
Vengono da Milano e si sono trasferiti nella terra di origine di lei quando il loro primo figlio ha avuto qualche problema di salute. «Non guarirà mai» gli avevano spiegato. «Sarà per tutta la vita asmatico e ipersensibile». Inutile dirvi che dopo pochi mesi di vita nella campagna toscana questi problemi cronici sono svaniti e oggi il bimbo è uno splendido ragazzino che divora libri di Tolkien e mostra un’intelligenza fuori dal comune.
Ora i bimbi sono tre. Nessuno di loro va a scuola. Stefano lavorava in una pizzeria, ma l’ha chiusa e ora entrambi dedicano il loro tempo all’autoproduzione, lo scambio di eccedenze o di piccoli lavori di artigianato, l’educazione dei figli. Vivono in 5 con 500 euro
al mese, avendo però la casa di proprietà. Il chilometro zero, la decrescita, il saper fare, l’amore per gli animali e per la natura, la contestazione del sistema scolastico e monetario, le relazioni umane al centro e una diversa concezione della realizzazione del sé nel mondo sono quindi concetti intrinsechi a questa storica corrente di pensiero.
In Molise, infine, ho avuto il privilegio di trascorrere del tempo con Valerio Di Fonzo, 33 anni, una sorta di giovane filosofo che ha trasformato l’amore per la sua terra in una pratica meditativa che caratterizza ogni aspetto della sua vita e della sua quotidianità. Dopo qualche anno vissuto «fuori», infatti, Valerio è tornato nella terra nativa dedicandosi a un progetto di permacultura, la sua Roverella, per valorizzare la sua Regione e «fare un balzo nella nuova frontiera dell’agricoltura: quella rigenerativa e olistica».
Quando siamo andati a trovarlo, ci ha portato a vedere i «suoi» terreni. Ascoltandolo mi sono reso davvero conto di come un luogo mantenga in sé la sua storia, la sua memoria, le sue potenzialità. Valerio non si sta limitando a coltivare in modo sostenibile qualche
ettaro di terra. Sta reimparando la sua storia, fatta di uomini, piante e animali e sta interiorizzando il suo ciclo di stagioni, le sue fermentazioni, le sue ricchezze e si sta attivando per aiutare la Natura a riprendere il sopravvento.
Questo traspare da ogni suo gesto e dalla profonda consapevolezza che mostra della vita e dell’importanza di ogni albero, di ogni pianta o animale, così come delle proprietà nutritive ed energetiche di ogni prodotto alimentare. Valerio, Laura e Stefano, le molte coppie di giovani che ho incontrato in Abruzzo, in Umbria, nelle Marche, nel Lazio, in Sicilia stanno rinnovando l’approccio al pensiero bioregionale rendendolo forse un po’ meno ideologico e un po’ più «sostenibile».
Come mi ha spiegato Etain, infatti, c’è un’ondata di ragazzi giovani che iniziano a fare questa vita. «A differenza della mia generazione, loro non hanno bisogno dell’immagine di poveri e belli che ci spingeva a godere nell’essere estremi, nel sentirci diversi. Questi giovani mi sembrano in grado di costruire una vera alternativa, meno estrema e, anche per questo, più dirompente nella società».
Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Luglio-Agosto 2013.

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