Fitodepurazione: la natura che ripulisce per noi
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La zona umida è un habitat altamente biodiversificato in cui trovano rifugio molte specie animali. Sono zone umide le paludi, gli acquitrini, le torbe oppure i bacini naturali o artificiali, permanenti o temporanei, con acqua stagnante o corrente, dolce, salmastra, o salata, e si riconoscono dalla diffusione delle piante acquatiche, che è favorita da condizioni prevalenti di acqua bassa. Con il termine stagno, invece, si indica in genere uno specchio di acqua libera, naturale o artificiale, in cui le piante acquatiche crescono sulle sue sponde. Oggi, le aree umide rimaste sono quasi sempre oggetto di protezione ambientale e sempre più spesso si tende a «ricostruirle».
Fitodepurazione è il termine con il quale in italiano vengono indicate le constructed wetland, letteralmente «aree umide costruite». In effetti si tratta di sistemi ingegnerizzati, progettati e costruiti per riprodurre gli stessi processi autodepurativi delle zone umide naturali. Le aree umide artificiali offrono, rispetto a quelle naturali, un maggior grado di controllo. I sistemi di fitodepurazione a flusso libero sono quelli che emulano meglio ciò che accade in natura. Ma i sistemi maggiormente usati per la depurazione delle acque sono quelli a flusso sommerso, orizzontale o verticale, veri e propri reattori biologici al cui interno si svolgono processi depurativi di tipo chimico, fisico e biologico, che permettono di trasformare e degradare gli inquinanti contenuti nelle acque reflue, rendendoli meno impattanti sull’ambiente.
Le piante, contrariamente a quello che può suggerire il termine italiano «fitodepurazione», non concorrono direttamente alla depurazione delle acque, in quanto assimilano solo una piccolissima percentuale degli inquinanti contenuti nelle acque reflue. Sono però fondamentali nel mantenere puliti i filtri nel corso degli anni, con il loro lavorio.
Gli impianti di fitodepurazione rappresentano una delle tecniche più utilizzate nel mondo per depurare le acque reflue domestiche e non solo. Le «classiche» fognature, lunghi tratti di condutture per convogliare gli scarichi di centri urbani a volte anche molto distanti tra loro ad un unico impianto di depurazione, hanno causato seri squilibri nel ciclo delle acque perché prelevano acque da un bacino per poi restituirle in un altro. I grossi impianti di depurazione tecnologici hanno un impatto non trascurabile sul territorio sia in termini di inserimento ambientale, sia per i consumi energetici, per l’alta produzione di fanghi di supero e per l’utilizzo di prodotti chimici. Inoltre, i volumi enormi di acque di scarico, seppur così depurate, portano sempre una quantità considerevole di elementi inquinanti ai fiumi, a volte maggiore di quanto possano sopportare, soprattutto in estate quando la scarsità d’acqua li rende molto più sensibili.
Sì, realizzare piccoli impianti delocalizzati sul territorio, minimizzando le reti fognarie, in molti casi può essere conveniente sia in termini economici che ambientali perché il costo di costruzione e gestione delle fognature può superare il risparmio ottenuto dalle economie di scala dei grossi depuratori.
Il termine «finto depurazione» è nato da una battuta che facevamo tra colleghi e poi a corsi e incontri di formazione per indicare quei sistemi messi sul mercato che poco hanno a vedere con ciò che, a livello internazionale, viene riconosciuto come constructed wetland. Non è detto che non possano funzionare, comunque non rientrano tra quanto è stato testato nel corso degli anni dalla comunità scientifica internazionale. Spesso poi mostrano errori piuttosto grossolani nella scelta delle piante e dei mezzi filtranti o nei dimensionamenti; questo è un problema, perché purtroppo i sistemi di fitodepurazione non hanno una grossa capacità di regolazione, dato che funzionano in maniera pressoché naturale.
Uno fra tutti: il maggiore impianto italiano di fitodepurazione per il trattamento completo degli scarichi, realizzato a Dicomano, in provincia di Firenze, per 3500 abitanti. Fu creato nel 2001 grazie a un finanziamento della Comunità europea in quanto impianto sperimentale. L’impianto si è trasformato in un’oasi per l’avvistamento degli uccelli, richiamando specie che non si vedevano più da molto tempo e ospita alle volte importanti eventi ornitologici.
Certo! Spesso devono dotarsi di un sistema di depurazione per legge, e se si hanno sufficienti spazi a disposizione, la fitodepurazione rappresenta un’ottima soluzione. L’importante è avere un buon progetto per la sua realizzazione, per la quale non sono necessarie particolari competenze, ma solo dimestichezza in semplici lavori edili e idraulici.
I costi variano a seconda del tipo e della grandezza dell’impianto, della zona, della morfologia del terreno, degli obiettivi depurativi: tra 200 e 600 euro circa per abitante. In ogni caso, i costi d’investimento sono pressoché paragonabili a quelli di altri sistemi di trattamento delle acque, ma poi i costi di gestione sono da 5 a 10 volte inferiori.
La fitodepurazione rappresenta un tassello importante di un sistema integrato di gestione sostenibile delle acque, che comprende la conservazione e la protezione delle risorse idriche e il recupero delle acque reflue e meteoriche, in modo da cercare il più possibile di «chiudere» il ciclo delle acque e limitare gli sprechi. Questa filosofia è ormai alla base di moltissimi programmi di sviluppo internazionali, sia per gli interventi sull’esistente, sia, soprattutto, per ciò che sta nascendo di nuovo. Nuove città vengono pensate non solo autosufficienti per quanto riguarda i consumi energetici, ma anche per il minor dispendio di acqua e il minimo impatto sull’ambiente idrico.
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