Stamani, mentre chiudevo meccanicamente la porta di casa, improvvisamente sono stato attraversato da una sensazione di profondo estraniamento. Quante volte ho compiuto questo gesto?
Quante volte, mi sono chiesto, ho ripetuto quell’azione senza osservare quello che in quel preciso istante stava accadendo dentro e fuori di me?
È stata come una brevissima sospensione. Una bolla spazio-temporale di qualche secondo in cui mi sono sentito decisamente «scomodo». Ho avuto la precisa percezione di stare perdendo qualcosa di importante, di prezioso.
Dove stavo correndo?
Perché quella fretta?
Cosa stavo facendo?
Dopo qualche secondo di smarrimento, la mente razionale e operativa ha ripreso il controllo della situazione e il sopravvento delle mie azioni. Chiusa la porta, mi sono recato a lavoro come tutti i giorni, ma quella sensazione di «scomodità» mi è rimasta dentro.
Non siamo abituati a fermarci e a soffermarci sulle nostre sensazioni. Oggi ancora di più, con lo spettro della «crisi globale» che aleggia nell’aria, il fermarsi a riflettere sembra un lusso che non ci si può più permettere. L’industria della paura, quella delle pandemie, del terrorismo islamico e degli extracomunitari ha piazzato sul mercato, con grande successo, il suo nuovo prodotto: «C’è la crisi».
Offerto in confezioni formato famiglia e ampiamente reclamizzato da tutti i media. Nessuno vuole negare i numeri e la dimensione della crisi economica, ma è anche vero che lo stesso giorno in cui la Confcommercio denunciava per il primo trimestre del 2013 una diminuzione dei consumi del 3,4% in più rispetto all’anno precedente e l’Istat segnalava l’incremento del tasso di disoccupazione all’11,9% (+1,2 punti percentuali rispetto al 2012), Wall Street chiudeva positivamente e lo spread Btp-Bund scendeva a 255 punti. Insomma, la crisi non è uguale per tutti e c’è chi dalla crisi trova giovamento e lucro.
La paura è un efficace strumento di controllo, da sempre la migliore arma per generare consenso. Un tempo era esercitata apertamente, con misure dirette e violente. Oggi è praticata con modalità più sofisticate, utilizzando ricerche di mercato e meccanismi di marketing. È stata la paura di presunte armi chimiche a giustificare la guerra in Iraq; ed è stato il timore della bancarotta a motivare tagli senza precedenti all’istruzione e allo stato sociale.
Ecco perché è importante imparare a riconoscere i venditori di paura. Chi smercia, amplifica, diffonde e alimenta paura è quasi sempre un manipolatore e un potenziale despota. Il suo obiettivo è quello di espropriarci della libertà di scegliere il nostro futuro, di cercare il senso del quotidiano e, con esso, il profumo del «qui e ora».
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