La signora asserisce che rispettare la natura vuol dire mangiare carne, formaggio, uova e pesce solo quando serve, senza abusarne. Intanto vorrei capire quand’è che “serve”…quando ne viene voglia? Quando non si trova altro?
Ad ogni modo il “non-abuso” sarebbe già qualcosa, un primo passo senza dubbio. Se si riuscisse a istillare l’idea del limitare questi alimenti su scala mondiale nei paesi industrializzati, i benefici, in termini di sofferenza e salute ambientale, sarebbero enormi. Quindi ben venga almeno il “non-abuso”, o, meglio, la limitazione dei consumi (più complesso sarebbe analizzare davvero cosa voglia dire “non-abuso”, di certo vegani e onnivori ne avrebbero un concetto diverso).
Passiamo alle galline: l’allevamento all’aperto è certamente sempre meglio che quello in gabbia, anche se non ho ben capito a che tipo di allenamento si riferisca la lettera: “galline vissute all’aperto e che si nutrono di ciò che trovano”…quindi solo quelle di qualche contadino che le tiene per sè, libere nel campo e vende le uova sporadicamente ai vicini che gliele chiedono.
Sorvoliamo sul fatto che ad ogni modo quando la produzione cala le galline finiscono nel brodo, è ovvio che a un onnivoro questo non interessa, e rimaniamo sulle uova. Il miglioramento per le galline è fuori discussione: se stanno libere in un campo per lo meno finchè campano, campano bene e, ribadisco, sarebbe già un enorme passo avanti. Ma analizziamo più in dettaglio questa situazione spesso tirata in ballo da molti onnivori.
Significa: -comprare le uova da un contadino che abbia un allevamento di questo tipo -comprarle solo quando ci sono (le galline hanno periodi in cui non depongono o depongono molto poco, ad esempio d’inverno) -evitare tutti gli alimenti già confezionati (pasta all’uovo, torte, biscotti, maionese, salse, piatti al ristorante…) che non garantiscano che le uova provengano da tale situazione.
In pratica ovviamente nessuna industria o laboratorio può produrre, tra l’altro tutto l’anno, andando a cercare le uova del nostro amico contadino. Al massimo le aziende più attente (…o più furbe) possono garantire “uova da allevamento di galline allevarte all’aperto” o “a terra” che ormai, si sa (se si vuol sapere), non vuol dire un bel nulla, solo che le galline “vedono il cielo”, nel senso che sopra di loro non c’è un tetto (e per le allevate a terra non è detto neanche quello) ma nessun’altra garanzia di benessere, non sono certo libere di razzolare in spazi adeguati, anzi, spesso sono terribilmente ammassate.
In conclusione quindi, vuol dire non mangiare mai nulla di contente uova al di fuori di quello che esce dalla nostra cucina.
Non metto in dubbio che un tale onnivoro coerente, che auspichi l’uso di uova suggerito dalla signora Vittoria e poi lo applichi davvero, esista…ce ne sarà qualcuno! Io per ora non ne ho mai incontrati, ma magari l’amica Vittoria è davvero uno di questi, non me ne voglia quindi per il mio scetticismo.
Passiamo ora alla questione dell’aumento incontrollato degli animali non contenuto da una popolazione di vegani. Anche qui non ho ben chiara la domanda: a quali animali si fa riferimento? Ai selvatici? A quelli da allevamento? In entrambi i casi l’ingenuità della questione mi pare evidente. In un mondo vegan non esisterebbero allevamenti intensivi, in questo senso quindi non ci sarebbe molto da contenere, tutt’al più il problema sarebbe inverso: decidere se e come mantenere le specie “domestiche”. Se invece il riferimento è ai selvatici, beh, c’è poco da dire: siamo diventati più di 8 miliardi e siamo in crescita…se c’è una specie che ha proliferato in maniera incontrollabile, assolutamente, totalmente al di fuori della catena alimentare, quelli siamo noi! E tutti gli squilibri ecologici esistenti ad oggi, sia specie in numero eccessivo o, al contrario, estinte o sull’orlo dell’ estinzione, sono dovuti a noi! Direi quindi che, se per un mondo vegan esiste almeno il beneficio del dubbio, il sistema “onnivoro” in quanto a equilibri ecologici e demografici ha decisamente fallito.
L’uomo si è elevato al di sopra della catena alimentare da qualche migliaio di anni e ne è così al di fuori da poter scegliere, scientemente, cosa essere: onnivoro, vegetariano, vegano. Tutt’e 3 queste condizioni sono compatibili, ad oggi, con la vita umana e il mantenimento della specie, per cui di scelta si tratta, non tiriamo fuori presunti “istinti” o “quello che è sempre stato fatto”. L’uomo è l’unica specie che evolve (…o involve) anche dal punto di vista culturale e spirituale e quello che poteva essere accettabile nel medioevo forse oggi non lo è più…
La strada per salvare pianeta e umanità dal tracollo è una e sono una, lo dicono scienziati e dati scientifici inattaccabili, tanto da mettere d’accordo tutti, onnivori attenti all’ecologia come Vittoria, vegetariani e vegani: il consumo di alimenti di origine animale va drasticamente ridotto e tutt’al più riportato su scala locale e di mera sussistenza/sopravvivenza.
Dal punto di vista ecologico ci potremmo fermare qui e ognuno contribuirebbe a modo suo: l’onnivoro limitando frequenza e provenienza dei prodotti animali, il vegetariano idem, il vegano eliminandoli del tutto. E probabilmente così ce la potremmo anche fare…ecologicamente.
Rimane solo una questione: perchè il vegano dice di no a tutto? La risposta è semplicissima quanto fastidiosa per i più: la scelta diventa puramente etica. Ecologia, salute, diventano corollari, per quanto di importanza fondamentale.
L’alimentazione, ovviamente non legata alla pura sopravvivenza (quindi evitiamo di tirar fuori situazioni estreme che esulano da questo contesto) non è un motivo sufficiente per un vegano per uccidere un altro animale, o sottoporlo a sofferenze o privazioni, come succede negli allevamenti intensivi o meno. ” O meno” in quanto per un vegano non è sufficiente che la gallina o la mucca stiano bene finchè campano (che, ripeto, è già qualcosa) ma non vogliono nemmeno che vengano macellate quando non servono più o quando sono in esubero (ad es. il pulcino maschio o il vitello). Se posso evitare questo non mangiando qualcosa, ne faccio a meno, punto.
Non è una scelta nè logica, nè economica: è etica e l’etica, si sa, è un campo molto personale. L’idea è cercare di creare meno sofferenze possibili, pur sopravvivendo noi stessi. E devo essere sincera: sopravviamo molto bene e con gusto…altro che insalata!
Ecco toccato l’ultimo punto dolente, cavallo di battaglia di molti onnivori: l’insalata che soffre e l’agricoltura che uccide gli insetti (di nuovo, non me ne voglia la gentile Vittoria, la sua lettera è stata solo lo spunto per una riflessione, non ce l’ho con lei personalmente).
Per quanto riguarda l’impatto agricolo su insetti e, a volte, piccoli animali, il principio è alquanto semplice: si sceglie il male minore, a meno di non volersi lasciare morire per inedia. Ad ogni modo la scelta vegan continua ad essere la più coerente, visto che per lo meno si limita il danno alle coltivazioni. Per onnivori e vegetariani invece abbiamo il danno agricolo (che esiste ugualmente, per nutrire gli animali allevati, ed è anche l’agricoltura della peggior specie, monocolture intensive e spesso OGM) a cui si aggiunge la morte finale dell’animale stesso. Quindi, il danno minore in termini di numero di morti, si ha con la scelta vegan.
Ed eccoci infine alla storia delle sofferenze delle verdure. Non importa essere un fisiologo vegetale e animale per capire la differenza tra un animale e un vegetale, basta aprire un libro per bambini. I vegetali non hanno sistema nervoso, nè centrale, nè periferico e senza questo non possono esistere recettori del dolore, nè tantomeno amore o almeno cure più o meno istintive e complesse per la prole. Questo non significa certo che non comunichino col mondo esterno, nessun essere vivente sopravviverebbe se non avesse un certo grado di adattabilità e soprattutto di reazione all’ambiente. Ci sono reazioni chimiche e cellule specializzate ad hoc per questo: le foglie possono aumentare o diminuire la dispersione d’acqua in funzione di temperatura e umidità, la produzione di clorofilla aumenta o diminuisce in base all’insolazione e così si potrebbero fare milioni di altri esempi. La cosa certa è che la pianta non ha gli strumenti (nè, evolutivamente, le servono) per avere coscienza di sè o provare sentimenti o dolore. I vegetali hanno semplicemente seguito una strategia evolutiva di sopravvivenza diversa. Ci sono addirittura piante che affidano la loro diffusione proprio a specie animali che ne mangino alcune parti per distribuire poi i semi, eliminati con le deiezioni, in posti lontani.
Quindi per favore, non scherziamo, non raccontiamo che raccogliere un pomodoro è la stessa cosa che macellare un agnello! E’ semplicemente una sciocchezza che serve forse a tacitare le coscienze, non so… Se a qualcuno basta questo ben per lui, non sta certo a me, nè a nessun altro, giudicare.
Devo essere sincera, apprezzo immensamente di più chi dice senza problemi che tirare il collo a un pollo non gli sembra affatto una cosa così sbagliata o terribile, chi onestamente ammette che proprio a quel bel ragù o al salame non può rinunciare, nè ne vede la necessità…almeno è salva l’onestà intellettuale!
Buon appetito a tutti, ognuno dia nella scelta il meglio di sè!
Monia Colinelli