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L’Islanda ha fatto bene a non pagare il debito

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Le autorità islandesi rivendicano con orgoglio la scelta di far fallire le banche e di non caricare il peso del debito sui cittadini. La corte dell’Efta ha riconosciuto la legittimità di questa operazione
L’Islanda viene spesso ricordata da tutti i sostenitori della finanza etica come un caso felice. E in effetti così: di fronte alla crisi finanziaria e alla morsa del debito pubblico il governo d’Islanda decise di lasciar fallire le banche e salvaguardare il potere d’acquisto dei cittadini e l’economia reale. Il principio era che il paese non doveva far pagare ai propri cittadini le conseguenze del crac finanziario delle banche.
All’ultimo Forum Economico Mondiale tenutosi a Davos il presidente islandese Olafur Ragnar Grimsson ha usato parole forti per rinforzare il motivo di questa scelta. “Non capisco perché si continui a trattare le banche come le sacre chiese dell’economia moderna. Perché non si permette alle banche, come alle compagnie aeree, di dichiarare bancarotta, quando sono amministrate in modo irresponsabile? La teoria che le banche siano da salvare, in realtà nasconde la teoria che giustifica i profitti dei banchieri, e che poi fa pagare il fallimento della loro condotta ai cittadini. Ma i cittadini di una democrazia moderna illuminata non accetteranno ancora a lungo questa ingiustizia”.
La politica islandese è stata recentemente riconosciuta legittima anche dall’Associazione Europea di libero scambio, la Corte dell’EFTA. I giudici hanno sancito che l’Islanda non deve risarcire i risparmiatori britannici e olandesi che avevano investito nei conti Icesave andati in fumo dopo il tracollo nel 2008 di alcuni istituti di credito dell’isola, tra cui la Landsbanki e la Glitnir Bank. A pagare per il debito dell’Islanda restano i rispettivi Paesi che hanno dovuto rimborsare i correntisti per alcuni miliardi di euro.

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