Cosa amavamo fare quando eravamo bambini? Con chi giocavamo? Dove ci piaceva giocare? Quali erano i nostri giochi e giocattoli preferiti? Quali erano i nostri diritti? Chi ce li garantiva? È da queste semplici domande che nasce il Manifesto dei diritti naturali dei bambini e delle bambine, redatto nei primi anni Novanta in seguito ad una riflessione sulla Dichiarazione internazionale dei diritti del fanciullo ed ora tradotto in cinque lingue dopo essere stato rivisto e discusso dai bambini stessi.
Un’operazione di memoria
«Il manifesto, pur essendo rivolto al mondo dei piccoli, interroga soprattutto noi grandi» ci spiega l’autore Gianfranco Zavalloni, ex insegnante di scuola materna ed attualmente dirigente scolastico dell’istituto comprensivo di Sogliano al Rubicone (Fc), oltre che burattinaio per passione. «Siamo noi che dobbiamo prendere coscienza di ciò che rischiamo di non offrire all’infanzia, e quindi, indirettamente, di derubare ai bambini. Uso il termine ‘derubare’ proprio perché ritengo che il rischio del furto ci sia. È il furto di opportunità, di esperienze, di competenze, di occasioni che se non si vivono nei primi anni di vita si rischia di perdere per sempre». A partire da una riflessione personale basata su un’esperienza di più di vent’anni con i bambini, Zavalloni si è confrontato con centinaia di mamme, babbi, insegnanti, educatori ed animatori, cercando di semplificare le esigenze fondamentali dei bambini e delle bambine definendole «diritti naturali». Purtroppo oggi non del tutto scontati.
1. IL DIRITTO ALL’OZIO
Siamo nell’epoca in cui tutto è programmato, «curriculato», informatizzato. Ai bambini e alle bambine offriamo praticamente una settimana programmata nei minimi dettagli. Non c’è spazio per l’ozio, l’imprevisto, l’auto-organizzazione infantile. Anche gli stessi spazi di gioco sono pre-organizzati. Non c’è, da parte dei bambini e delle bambine, la possibilità di momenti autogestiti. È ingiusto pensare al tempo dei bambini e delle bambine esclusivamente come un tempo di preparazione a «quando saranno adulti, con un loro lavoro»? L’infanzia va vissuta anche in quanto tale e non solo come periodo di preparazione all’età matura. È indispensabile, per noi grandi, prendere coscienza che il tempo del gioco, il tempo dell’ozio, il tempo del «non far niente insieme agli amici» è importante. E tutto questo anche senza la presenza degli adulti. I bambini e le bambine hanno bisogno di scoprire da soli quelle che sono le regole dello stare insieme, del giocare nello stesso luogo. Solo così matureranno e faranno proprie le «regole fondamentali di convivenza». Saranno regole, a quel punto, acquisite naturalmente nella coscienza personale e non imposte dagli altri, dall’adulto, dall’alto.
2. IL DIRITTO A SPORCARSI
L’epoca attuale è quella del look, delle cartelle firmate, delle riviste di moda e dei negozi di abbigliamento per l’infanzia, dei bambini col cellulare. Ma il nostro è anche il tempo del «non ti sporcare», «stai attento», «ma cosa mi hai combinato?!». I bimbi e le bimbe hanno il sacrosanto diritto di giocare con i materiali naturali: la sabbia, la terra, l’erba, le foglie, i sassi, i rametti, la neve, l’acqua… Queste, a detta degli esperti, rischiano di essere attività poco igieniche. Nulla si dice sulla poca igienicità di una moquette, delle paste sintetiche ampiamente reclamizzate con cui giocano i bambini e le bambine soprattutto nelle scuole. È interessante scoprire che un bimbo o una bimba sono capaci di giocare per ore con le poche cose trovate per terra, le foglie d’erba, un po’ di sabbia, alcuni bastoncini o ciottoli. In questa semplicità emerge un grande messaggio educativo per il mondo di noi adulti: i bimbi e le bimbe ci insegnano che non hanno bisogno di giochi e giocattoli complicati ed elaborati, ma che si accontentano delle piccole e semplici cose che la natura offre, in un clima sereno e accogliente.
3. IL DIRITTO AGLI ODORI
Oggi il rischio è quello di mettere tutto «sotto vuoto». Nel percorrere le nostre città e i nostri paesi è difficile poter distinguere luoghi tipici, percettibili olfattivamente fino a pochi anni fa. Pensiamo alla bottega del fornaio, all’officina del meccanico delle biciclette, al calzolaio, al falegname, alla farmacia. Questi luoghi emanavano odori speciali, di cui si impregnavano i muri, le porte, le finestre. Oggi entrare in una scuola, in un ospedale, in un supermercato o in una chiesa spesso significa respirare ed annusare lo stesso odore di detergente. Abbiamo annullato le diversità di naso, o meglio le diversità olfattive. Eppure chi di noi non ama sentire il profumo di terra dopo un acquazzone e non prova un certo senso di benessere entrando in un bosco ed annusando il tipico odore di humus misto ad erbe selvatiche? Sono sensazioni che dal naso passano direttamente al cervello e spesso ci fanno fare salti di memoria, tornare alla nostra infanzia. Non possiamo derubare il mondo dell’infanzia di questa grande opportunità: il diritto al proprio naso.
4. IL DIRITTO A PRENDERE LA PAROLA
Dobbiamo constatare sempre di più la triste realtà di un sistema di comunicazione e di informazione «unidirezionale». Da una parte la tv, i giornali, i mass media, dall’altra gli ascoltatori, i telespettatori che subiscono passivamente. Siamo al monologo. Un tempo si poteva entrare tranquillamente nelle case e si poteva chiacchierare al caldo del camino o della stufa. Oggi al centro non c’è più il fuoco, ma la televisione e, possibilmente, sempre in funzione. Un calcolo matematico ci dice che se un bambino o una bambina seguono la tv per 2 ore al giorno, moltiplicato per circa 360 giorni all’anno raggiunge un totale di 720 ore, cioè un mese ininterrotto (24 ore al dì) di televisione all’anno. E questo non è certo dialogo. Con la televisione non si «prende la parola». Cosa diversa è raccontare fiabe, narrare leggende, vicende e storie, fare uno spettacolo di burattini. In questi casi anche lo spettatore ascoltatore può prendere la parola, interloquire, dialogare.
5. IL DIRITTO A SAPER USARE LE MANI
La tendenza del mercato è quella di offrire tutto preconfezionato. Nel mondo infantile i giocattoli industriali usa-e-getta sono talmente perfetti e finiti che non necessitano dell’apporto creativo della manualità del bambino o della bambina. Ci si abitua sempre di più al video-gioco, mentre nel contempo mancano le occasioni per sviluppare le abilità manuali ed in particolare la manualità fine. Non è facile trovare bambini e bambine che sappiano piantare chiodi, segare, raspare, scartavetrare, incollare… Quello dell’uso delle mani è uno dei diritti più disattesi nella nostra società postindustriale e rischiamo di avere bambini e bambine capaci di stare ore davanti ad un computer, ma incapaci di usare un martello o un paio di pinze.
6. IL DIRITTO AD UN BUON INIZIO
L’acqua non è più pura come cantava San Francesco: è intrisa di sostanze d’ogni genere. Non meravigliamoci, perciò, dell’esplosione delle allergie, che colpiscono oggigiorno una buona percentuale di popolazione. La terra è fecondata dalla chimica di sintesi. Si dice sia il frutto non desiderato dello sviluppo e del progresso. Eppure in quel «tornare indietro» che molti di noi hanno vissuto fra il 1973 e il 1974, con la famosa «austerity», abbiamo ritrovato il gusto della città, lo stare insieme in maniera conviviale, divertente, spensierata, senza l’assillo dell’automobile e del tempo. È questo che spesso i bimbi e le bimbe ci chiedono. Da qui l’importanza dell’attenzione a quello che fin da piccoli si mangia, si beve e si respira.
7. IL DIRITTO ALLA STRADA
La strada è per eccellenza il luogo per mettere in contatto. La strada e la piazza dovrebbero permettere l’incontro. Oggi sempre più le piazze sono dei parcheggi e le strade sono invivibili per chi non ha un mezzo motorizzato. Piazze e strade sono divenute paradossalmente luoghi di allontanamento. Dobbiamo renderci conto che, come ogni luogo della comunità, la strada e la piazza sono di tutti, così come ancora è in qualche nostro piccolo paesino di montagna o in molte città del Sud del mondo.
8. IL DIRITTO AL SELVAGGIO
Anche nel cosiddetto tempo libero tutto è preorganizzato. Siamo nell’epoca dei «divertimentifici»: gli esempi più eclatanti sono Eurodisney, Gardaland, Mirabilandia… parchi gioco programmati nei dettagli. E così è nel piccolo, nei parchi pubblici e nel verde delle città, compreso l’arredo urbano. Certo, nulla da eccepire riguardo l’aspetto estetico. Ma dov’è la possibilità di costruire un luogo di rifugio gioco, una capanna di legno, dove sono i canneti e i boschetti in cui nascondersi, dove sono gli alberi su cui arrampicarsi? Il mondo è fatto di luoghi modificati dall’uomo, ma è importante che questi si compenetrino con luoghi selvaggi, lasciati allo stato naturale. Anche per l’infanzia.
9. IL DIRITTO AD ASCOLTARE IL SILENZIO
I nostri occhi possono socchiudersi e così riposare, ma le orecchie sono sempre aperte. Così sono sottoposte continuamente alle sollecitazioni esterne. C’è una tale abitudine al rumore, alla situazione rumorosa, al punto da temere il silenzio. Sempre più spesso è facile partecipare a feste di compleanno di bimbi e bimbe accompagnate da musiche assordanti. E così accade anche a scuola. L’immagine emblematica di tutto ciò è data da coloro che si spostano alle periferie delle città e a piedi o in bicicletta si portano nella natura, per una bella passeggiata, con le cuffie del registratore portatile ben inserite nelle orecchie. Perdiamo occasioni uniche: il soffio del vento, il canto degli uccelli, il gorgogliare dell’acqua…
10. IL DIRITTO A PERCEPIRE LE SFUMATURE
La città ci abitua alla luce, anche quando in natura luce non c’è. Nelle nostre case l’elettricità ha permesso e permette di vivere di notte come fosse giorno. E così spesso non si percepisce il passaggio dall’una all’altra situazione. Quel che più è grave è che poche persone, pochi bambini o bambine, riescono a vedere l’aurora o il tramonto. Non si percepiscono più le sfumature. Il pericolo che qualcuno paventa è che vedendo solo nero o bianco si rischi davvero l’integralismo. In una società in cui le diversità aumentano anziché diminuire, quest’atteggiamento può risultare realmente pericoloso. È una riflessione che ci interpella tutti.
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a cura di Nicholas Bawtree