Era davanti a quella porta ormai da qualche minuto ma non si decideva a bussare. Elenio, il capo delle guardie reali, aveva il compito di informare il re della situazione del regno e sempre, quando doveva riferire di un qualche problema, indugiava.
“Vieni avanti Elenio”, era la voce del re. L’enorme guerriero, stupito, entrò, teneva la testa bassa e la schiena incurvata. “Buon giorno sire”, disse con un filo di voce.
“Cosa è successo di grave?” chiese il re.
La sorpresa animò gli occhi del guerriero, “sire, voi avete il dono della preveggenza! Prima mi dite di entrare senza che io abbia bussato, poi mi chiedete di riferire su ciò che non va senza che vi abbia ancora detto niente”. Era stupito, ma anche sollevato per non aver dovuto né bussare né esordire con una cattiva notizia.
“La preveggenza lasciamola ai maghi, so soltanto che ogni mattina, alle nove in punto, bussi alla mia porta per riferirmi sulla condizione del regno e, quando qualcosa non va, indugi a bussare e ritardi, come quando dovevi informarmi dell’alluvione che aveva spazzato via gran parte del raccolto al sud, o quando i nostri vicini ci avevano formalmente dichiarato guerra, nemmeno fosse colpa tua, dico io. Sentiamo, oggi qual è la catastrofe?”. Non sembrava particolarmente di cattivo umore e questo tranquillizzò Elenio.
“La Provincia del Sud-Ovest sire… sa quella dei fiori e dei buoni raccolti…”
Il re si stava spazientendo, “so qual è la provincia del Sud Ovest Elenio, dimmi subito cosa sta succedendo o ti faccio sbattere in carcere per una settimana intera!”. Il suo tono rimaneva sempre lo stesso, non alzava mai la voce, non si faceva mai prendere dalla collera, pareva che certe minacce fossero la naturale conseguenza di certi comportamenti.
“Mi scusi sire, il fatto è che l’intera provincia è in rivolta”. disse Elenio a cui era tornata improvvisamente la capacità di sintesi.
“E dov’è il problema? Ormai lo sai, certe emergenze le affronti anche da solo, mandi una guarnigione dell’esercito e tutto si sistema”.
Il re ha sempre la soluzione pronta, non c’è che dire, pensò Elenio.
“Però sire, questa volta non è così semplice. Non hanno imbracciato né forconi né falci, non si lamentano delle condizioni di lavoro o della parte di raccolto che tocca loro…” spiegò il soldato.
“E contro cosa si rivoltano allora? Su, non farti togliere le parole di bocca con la forza, Elenio”.
“Non vogliono rispettare le nuove leggi sull’agricoltura, sire”. Ancora una volta si stava guardando i piedi.
“Ne sei sicuro? Quelle sono norme che avvantaggiano anche loro, sono mirate a un utilizzo più metodico dei campi, ne guadagnerà il raccolto e non ho aumentato la percentuale che mi devono consegnare. Sono impazziti forse nel Sud-Ovest?”, il re era stupito; ormai non capitava da qualche anno.
“Forse sono impazziti veramente, ma non me la sono sentita di mandare l’esercito, molti soldati vengono da quella regione, avremmo rischiato una pericolosa frattura nelle milizie”.
“Devo dire che hai scelto bene, ma come proponi di muoversi?”.
Elenio aveva l’aria soddisfatta per aver scelto bene, “i ribelli chiedono di parlare con lei”.
“Allora portatemi il capo della rivolta, mi sembra ovvio”. Il re adesso era risoluto e desiderava una soluzione veloce.
Elenio riprese a guardare in terra, “in realtà hanno l’ardire di chiedere che siate voi a recarvi sul posto…”. Così dicendo, il soldato pensava di esser riuscito a far infuriare il re, ma vide, alzando lo sguardo, che il sovrano stava guardando fuori dalla finestra e col solito tono, figlio legittimo della tranquillità, il re rispose: “E’ una bella stagione e non ho mai visto la regione del Sud-Ovest, il fatto non ha precedenti e mi incuriosisce, cosa rara devo dire…prepara tutto, partiremo domani”.
Il giorno dopo tutto era pronto, la carovana partì alle otto in punto. Con una scorta di venti cavalieri ed Elenio vicino a lui, il re si sentiva sicuro. Avrebbe alloggiato in una residenza di sua proprietà dove non era mai stato. Suo padre amava la provincia del Sud-Ovest, ci passava gran parte della primavera, per questo fece costruire la villa in cima a una collina. Il re aveva disposto che fosse curata e aveva mandato ad amministrarla un suo lontano cugino, soltanto perché era stato il desiderio di suo padre, ma non l’aveva mai visitata. Il viaggio non fu breve, la carovana attraversò molte province e il re fu incantato di vedere messa in pratica la sua riforma. L’agricoltura era stata riorganizzata. I campi adesso erano figure geometriche che si incastravano perfettamente, rettangoli, quadrati, trapezi, che non lasciavano spazio agli sprechi, nessuna parte incolta avrebbe più sottratto risorse al raccolto. La semina era stata organizzata in modo da avere sempre una direzione rettilinea per poter irrigare più facilmente e per poter raccogliere le sementi più velocemente, e infine i fiori di ogni prodotto coltivato sarebbero stati tagliati per non far perdere nutrimento alla parte commestibile. Tutto questo avrebbe portato un aumento dei raccolti, l’intero regno si sarebbe arricchito e i contadini avrebbero mangiato di più.
“Elenio, guarda la bellezza del pensiero umano, guarda a cosa porta la conoscenza”, il re era molto soddisfatto.
“Ha ragione sire, tutto questo è ammirevole e porterà soltanto benessere”.
Il secondo giorno di viaggio la carovana si trovò ad affrontare una collina. “Una volta valicato saremo finalmente nella provincia” disse Elenio. “Per fortuna”, disse il re “mi sono stancato di viaggiare”. Ma una volta in cima il re pretese di fermarsi, ciò che aveva davanti agli occhi non l’aveva mai visto, il primo incontro con la provincia del Sud-Ovest fu come entrare in un nuovo mondo fino ad allora neanche immaginato.
“Fermate la carrozza!”, gridò il re dal finestrino. Scese e raggiunse un belvedere naturale che si affacciava sulla valle. Si stupì nel vedere con quale armonia i campi si susseguivano ai boschi, fu affascinato dai colori dei fiori. Figure di ogni tipo erano disegnate dal perimetro dei campi e non si scorgeva un solo rettangolo. L’intera valle sembrava un enorme tappeto dell’est con i suoi disegni armoniosi e i colori brillanti: le coltivazioni non erano rettilinee, ma creavano splendidi arabeschi. I fiori venivano utilizzati come tempere su di una tela, veri e propri dipinti, persone a lavoro nei campi, falchi in volo nel cielo, oppure opere astratte, nate dai sogni e dalle passioni di chi le aveva realizzate, belle per come riuscivano a far correre l’osservatore incontro a pensieri mai conosciuti. Era un piacere guardare la valle e anche il re, con tutto il suo controllo, ne fu travolto. Quando si voltò per tornare alla carrozza, vide che anche i suoi soldati si erano fatti catturare da quello spettacolo.
“Su sfaticati, dobbiamo raggiungere la villa!”. E dopo tre ore giunsero al castello fatto costruire da suo padre.
Il re si svegliò la mattina successiva riposato e tranquillo. Aveva sognato, come ogni notte naturalmente, ma quella mattina si ricordava e non gli accadeva da tempo. Era in mezzo ai campi, senza niente, ma circondato da molte persone. Era vestito con ciò che avrebbe definito miseri stracci, ma quelle vesti non permettevano che avesse freddo e neanche lo facevano sudare, si poteva muovere comodamente senza sentirsi ingombrato come gli accadeva con i suoi abiti. Non aveva né gioielli né titoli, ma le persone intorno lo salutavano come se lo conoscessero da una vita; si sentiva stimato, apprezzato per la sola idea di esistere, neanche i suoi genitori gli avevano mostrato quella pace, la gioia della compiutezza. “I sogni sono infidi, si travestono da realtà facendoci provare ciò che in vita non abbiamo mai conosciuto e, quando sei certo di poter vivere così un’esistenza intera, svaniscono e ti lasciano in bocca soltanto l’amara certezza di ciò che non potrà mai essere.” Questo pensò appena sveglio, provò anche a riprender sonno per poter sognare ancora, ma non servì, dopo anni non ammise più neanche con se stesso di aver fatto un tentativo simile. Si vestì e si preparò per l’incontro di quella mattina col capo della rivolta.
Giunse con la carrozza fino alla fine della strada, poi Elenio, che era a cassetta col cocchiere, si affacciò all’interno della cabina: “da adesso in poi dovremo procedere a piedi, sire”. Il re scese e si incamminò seguito da Elenio. Non volle scorta, soltanto la compagnia di Elenio. Sapeva di non correre nessun pericolo per quella particolare rivolta. Elenio camminava davanti a lui facendo strada e il re procedeva a braccia larghe, carezzando con i palmi delle mani quegli splendidi fiori. Per brevi istanti chiuse gli occhi assaporando a fondo quella complessità di aromi, i profumi delle diverse coltivazioni si mescolavano tra loro, amalgamandosi e a tratti stridendo in contrasti di acuti aromi e dolci fragranze. Il tragitto, non seguendo una linea retta, ma tante e spezzate linee curve, era lungo, ma allo stesso tempo pizzicava il senso dell’equilibrio portando lo spirito del re a galleggiare sopra la realtà, ricreando la sensazione del sogno in maniera più lieve, più controllata, una chiara perdita di contatto col mondo sensibile. A richiamarlo al vero fu la voce di Elenio: “siamo arrivati sire, là c’è l’accampamento dei ribelli”, lo informò il soldato.
Il re aprì gli occhi e vide molte persone immerse nei colori a lavorare. Appena lo videro si strinsero attorno a lui e lo salutarono come avrebbero fatto con un viaggiatore qualsiasi.
“Vorrei parlare col vostro capo”, disse il re. Si aprì un varco tra le persone e venne avanti un vecchio. “Buona giornata sire, sono felice che siate venuto”, disse sincero.
“Andremo là a parlare”, e indico una piccola collina con sopra un albero, “nessuno ci disturberà.” A quelle ultime parole, pronunciate nel silenzio più totale, accompagnate dal rumore del vento che correva sui campi, le persone si dispersero e ripresero i propri compiti. Il vecchio sapeva di non dover forzare l’orgoglio del re, se c’era una possibilità di fargli cambiare idea era parlargli senza un pubblico davanti al quale dovesse comportarsi da re. I due raggiunsero l’albero ed Elenio rimase a osservare il suo sovrano ai piedi della collina.
Il vecchio si mise a sedere con l’albero di fianco, “sedetevi pure”, disse quasi fosse il padrone di casa. Il re lo guardò con l’aria di chi non ha dovuto aspettare il permesso di nessuno ormai da molti anni e si sedette con la schiena appoggiata al tronco, era abituato al trono e a poltrone tanto comode da poterci dormire, la corteccia dura e il terreno umido della mattina erano una novità per lui. “Quindi sei tu il capo della rivolta?”, chiese un po’ stupito.
“Non credo di comandare niente, penso invece di essere soltanto il portavoce di tutte quelle persone là infondo”, e indicò i campi in cui la vita si stava svolgendo come fosse un giorno normale, “ma vi vedo stupito.”
“In effetti mi immaginavo il capo, il portavoce, come una persona più giovane, ma in fondo non è importante, la saggezza è una virtù che ammiro, ed è più facile trovarla nei vecchi,” si interruppe, poi continuò pungente, “anche se i più in realtà muoiono senza conoscerla.”
Con tono stupito soggiunse, “mi chiedo il perché di questa rivolta, lo sai che le nuove leggi porteranno vantaggi anche a voi? Ci sarà più cibo e lo vostra vita migliorerà”.
“Vi posso fare io una domanda, sire?”, il vecchio cercò gli occhi del re e poi continuò, “cosa è per te la pioggia?” chiese.
Il re fu preso un po’ alla sprovvista, ma naturalmente mantenne il controllo e rispose sereno, “la pioggia è acqua… acqua che cade dal cielo, è una domanda di cui non capisco il senso”, gli sfuggì soltanto una punta di fastidio, “ma forse il vecchio non lo noterà”, pensò.
“Mio nonno mi raccontava, come già aveva fatto suo nonno con lui e il nonno di suo nonno prima ancora, di un grande e maestoso uccello che nasce sulla superficie del mare, sopra i laghi o dai fiumi, un uccello enorme le cui ali sono formate da piume d’acqua. E’ tanto grande da coprire con l’ombra delle sue ali l’intera regione, il suo occhio è così attento da notare un insetto su di un fiore e vola alto a tal punto da poter scorgere il vostro castello pur planando sopra le nostre teste. Il suo manto è quasi trasparente e molto lucido, brilla se un raggio di sole lo sfiora. Questa magnifica creatura alata nascendo dal mare raggiunge il cielo con un battito d’ali e vola verso la terra ferma.
Una volta raggiunti i nostri campi inizia a perdere il suo piumaggio e le nostre coltivazioni cominciano a fiorire. I colori lo affascinano e i disegni lo incuriosiscono, pieno di gioia continua a volare e la campagna diventa sempre più bella grazie alle sue piume. Vede la vita che rinasce, gli insetti volano da fiore in fiore, le lepri si addormentano tranquille nascoste dal manto colorato e gli uomini e le donne cantano per la benedizione del suo passaggio. Non può andare via, sa di essere arrivato dove doveva, continua a volare e il suo manto inevitabilmente lo lascia per raggiungere la terra, continua a volare finché non cade l’ultima piuma a baciare i nostri fiori e un raggio di sole la attraversa durante il tragitto mostrandoci l’arcobaleno della sua coscienza, la gioia contenuta nei suoi occhi. Dà la sua vita per la vita della terra, sapendo che tutto ciò lo giustifica, lo completa, fino alla stagione successiva quando rinascerà e riprenderà il suo viaggio.”
“E questa sarebbe la pioggia per voi? Per questo non volete osservare le mie leggi?” alzò il tono della voce, erano anni che non accadeva.
Il vecchio con pazienza riprese a parlare: “ogni anno facciamo una festa per onorare il passaggio della pioggia, ogni anno pensiamo a come arare i campi, a come seminare, quali fiori o quali ortaggi devono stare vicini, quali lontani, pensiamo a quali figure rappresentare, a come ritrarle. Questo ci fa vivere, per questo siamo diversi dalla zappa, dalla vanga e da tutti gli attrezzi che utilizziamo. Proviamo piacere e interesse, non siamo indifferenti al nostro lavoro, alla nostra vita. Non sono soltanto il cibo e l’acqua a tenerci in vita, anche la nostra coscienza, o se vuoi la nostra anima, deve essere nutrita e il nutrimento viene da ciò che siamo con gli altri, viene dalla gioia di esprimersi nei campi e dalla pace che ci dà il vedere poi il nostro lavoro. Per questo non vogliamo rispettare le tue leggi.”
Il re guardò quell’uomo negli occhi, quel vecchio che non aveva mai studiato, le sue rughe e quelle pupille scure come terra umida e fertile rendevano il suo sguardo penetrante e sincero, ma lui era comunque il re e un re decide sempre per il profitto. Si alzò, scese dalla collina e senza dire una parola si avviò verso la carrozza. Il vecchio rimase sulla collina a guardare i campi, prese un filo d’erba, lo sistemò fra i palmi e intonò una melodia vecchia come lui, chiuse gli occhi e una lacrima inumidì quelle rughe seccate dal vento e dal sole.
Il re non si fermò un giorno di più nella regione del Sud-Ovest, ripartì la sera stessa. Il giorno dopo i fiori furono tagliati e il raccolto fu abbondante e ricco, ma triste come una giornata di lutto. Nel suo castello il re fece piantare ogni sorta di fiore, fece curare i suoi giardini dai migliori architetti del regno, ma non riprovò mai quella pace e quella gioia che aveva assaporato nella provincia del Sud-Ovest. L’anno successivo il grande uccello non volò sui cieli della regione, ci fu soltanto la pioggia.