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La terra rubata

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Cementificazione selvaggia, grandi opere, vendita dei terreni demaniali sono solo alcuni dei fattori che favoriscono il land grabbing in Italia. Leggi l’articolo “La terra rubata“…
In Italia, negli ultimi 10 anni hanno chiuso 700 mila piccole aziende agricole e oltre 3 milioni di ettari sono stati cementificati. Nell’articolo “La terra rubata“, dopo un’approfondita analisi della situazione nel Bel Paese vengono elencate le prime iniziative controcorrente per favorire l’accesso alla terra. Ecco una breve anticipazione…
Nel Sud del mondo è definito nuovo colonialismo, dalle nostre parti ci accontentiamo di chiamarla «speculazione». È il cosiddetto «land grabbing» delle multinazionali, che in Africa, Asia o America Latina acquistano terreni per la produzione di biocarburanti o derrate agricole destinate all’Occidente, minacciando così la sussistenza di milioni di persone. Ma è anche l’accaparramento di terre all’italiana, con l’azione di gruppi finanziari che, in nome del progresso, impediscono ai contadini di accedere alla terra e accrescono il nostro deficit alimentare. Le differenze tra Nord e Sud ci sono, ma il fenomeno ha un denominatore comune: le terre coltivabili vengono sottratte alle comunità locali da parte di grosse realtà finanziarie.
Urbanizzazione, fabbriche e altri usi lucrativi dei terreni, in Italia, hanno fatto diminuire in soli 10 anni la superficie agricola totale dell’8% (SAT). Secondo i dati del censimento Istat, dal 2000 al 2010 sono state decimate le piccole aziende, con la scomparsa di 700 mila unità. I piccoli agricoltori lasciano spazio alle grosse società terriere e a un tipo di produzione più industrializzata. Le società che dispongono di una superficie agricola superiore ai 100 ettari sono infatti aumentate addirittura del 23%, con il risultato che ormai l’1% delle aziende controlla quasi un terzo delle terre agricole nazionali, mentre, nel decennio di riferimento, le società di capitali hanno aumentato la loro quota di superficie agricola del 123,5%.
Dopo il boom economico e l’era del condono facile, è subentrata l’era dei palazzinari con la complicità delle amministrazioni comunali, che hanno arricchito i bilanci grazie agli oneri di urbanizzazione.
Con la benedizione della politica, ogni giorno nel nostro paese si divorano 75 ettari di paesaggio, uno spazio sottratto non solo alla natura, ma anche all’agricoltura e, in misura ultima, al nostro pane quotidiano. Con la rapida scomparsa dei contadini si cancellano i paesaggi rurali, i terrazzamenti, i canali di scolo, il cibo locale. Il rischio è che un’intera civiltà finisca per essere progressivamente inghiottita dal cemento o dall’erosione.
Certo, a determinare la progressiva concentrazione di terra nelle mani di pochi concorrono anche altri fenomeni: la politica agricola comunitaria, l’industrializzazione, la perdita di un’identità culturale. Ma dalla nostra indagine emerge un elemento tutto italiano. «Il problema è che in Italia il terreno costa troppo» spiega Valentina Moiso, ricercatrice del Cnr e autrice del rapporto sul land grabbing e il consumo di suolo. «Il prezzo della terra coltivabile in Italia è molto più elevato rispetto agli altri paesi europei, fino a 10-15 volte superiore rispetto a quello della Francia. Mediamente siamo sui 18 mila euro per ettaro, con punte di 35-45 mila euro nella pianura padana». Tornare alla terra è necessario, ma anche difficile.
Mentre il possesso dei terreni agricoli si concentra nelle mani di pochi, aumentano le iniziative dal basso per promuovere nuove modalità di accesso alla terra… nell’articolo, dopo un’approfondita analisi della situazione italiana vengono elencate anche le buone pratiche e le iniziative per riappropriarsi del diritto alla terra.
La versione completa dell’articolo “Terra Rubata” è disponibile nel numero di Gennaio 2013 del mensile Terra Nuova, anche come eBook.

 

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