Iniziamo il nuovo anno con la riflessione di Mimmo Tringale nell’editoriale “La terra rubata”: l’Italia fra dissesto idrogeologico, emergenze ambientali e responsabilità.
La terra rubata
Secondo il «Rapporto generale sulle acque: obiettivo 2020» di Federutility, i danni causati dal dissesto idrogeologico tra il 1962 e il 2011 ammontano a 69,5 miliardi di euro. A questa cifra vanno poi aggiunti i costi sostenuti per affrontare le emergenze, pari a 1,4 miliardi l’anno. Ma non è finita qui: per mettere in sicurezza la penisola, il Ministero dell’ambiente stima una spesa di circa 40 miliardi.
Sommando le tre voci di spesa si arriva a una cifra da capogiro, superiore alle ultime tre finanziarie messe insieme. Un costo insostenibile non solo per le casse dello Stato, ma soprattutto per la perdita di vite umane e la distruzione del patrimonio artistico e di posti di lavoro.
Di chi è la responsabilità di questo disastro annunciato, che ogni anno si ripropone in regioni diverse, ma con identiche modalità? Gli imputati acclarati di questo delitto reiterato che condanna oltre il 10% del territorio italiano a vivere costantemente sotto l’incubo di alluvioni, frane e valanghe si conoscono per nome: si chiamano cementificazione, urbanizzazione selvaggia, abusivismo e così via. Ma la cura di questi mali non sarà mai sufficiente se non si prende a cuore il più efficace e capillare tutore del territorio: l’agricoltore, vero custode del paesaggio e della biodiversità.
Esiste un legame diretto e provato tra abbandono delle campagne e dissesto idrogeologico. Cemento e asfalto hanno fatto diminuire in soli 10 anni la superficie agricola nazionale dell’8% (vedi articolo di Gabriele Bindi a pag. 10). Nel periodo che va dal 1990 al 2005, sono stati cementificati 3 milioni di ettari; solo negli ultimi dieci anni sono scomparse ben 700 mila piccole aziende agricole (13.335 nel primo trimestre 2012), mentre sono aumentate del 23% le imprese con oltre 100 ettari.
Non si tratta di difendere il piccolo contro il grande, ma piuttosto l’agricoltura di qualità e rispettosa dell’ambiente (che in genere è legata a superfici ridotte), dalle grandi produzioni agroindustriali (che insistono su grandi superfici).
Ecco perché la difesa del territorio non può che andare a braccetto con il sostegno a chi la terra la vive e la coltiva, soprattutto nei territori più difficili e marginali. La più efficace prevenzione contro il dissesto del territorio è riportare i giovani in campagna e premiare chi coltiva la terra. Anche perché, come recita un vecchio adagio dei nativi americani: «Noi non ereditiamo la terra dai nostri avi, la prendiamo in prestito dai nostri figli. Nostro è il dovere di restituirgliela».
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