Nel nostro paese c’è un grave deficit politico e culturale: con il risparmio energetico si potrebbe garantire più competitività. Le installazioni si ripagano da sole
La competitività dell’industria passa attraverso l’efficienza energetica, più che con misure di flessibilità. Forse dovremmo seguire l’esempio tedesco, o guardare semplicemente a cosa ci dicono gli studiosi. Il secondo Energy Efficiency Report, presentato ieri mattina al campus della Bovisa spiega come nel nostro Paese ci sarebbe il potenziale per dimezzare la bolletta energetica dell’industria, tagliandola per quel che riguarda la sola elettricità di 64 TWh entro il 2020. Risultato che potrebbe essere ottenuto, secondo quanto stabilito dai ricercatori del Politecnico, con le tecnologie già esistenti attraverso investimenti capaci di ripagarsi in un arco di 3-7 anni, tempi non molto più lunghi di quelli solitamente presi in considerazione dalle imprese.
Se si guarda alla convenienza “assoluta”, ovvero alla differenza fra il costo del kWh risparmiato con un intervento di efficientamento e quello di acquisto dello stesso kWh da fonte tradizionale, c’è un ampio ventaglio di tecnologie per l’efficientamento energetico (dagli inverter agli interventi sul sistema ad aria compressa, dai sistemi per il controllo dinamico della pressione in un impianto di refrigerazione alla cogenerazione) che risulta economicamente sostenibile anche in assenza di incentivazione. Altre tecnologie più costose come i motori elettrici ad alta efficienza richiedono invece un sostegno economico, ma stanno comunque facendo segnare una tendenza alla riduzione di costi che lascia prevedere incentivi limitati nel tempo.
Purtroppo il dossier del Politecnico prevede uno scenario decisamente più triste per via del deficit culturale italiano e dell’atavico ritardo con cui la nostra legislazione percepisce le normative fissate dall’UE.
Nei prossimi anni si prevede un taglio di soli 16 TWh tagliati al 2020, pari al 25% delle possibilità. Tra quelle che non sono costrette a farlo in base a precisi obblighi di legge, poco meno del 17% delle imprese censite dalla ricerca dispone di un energy manager. Solo il 22% adotta un approccio strutturato alla “gestione dell’energia”, contro un 69% di operatori che sceglie approcci di misura e controllo dei consumi energetici “rudimentali”. Un altro 15% invece non ha attivato neppure questi strumenti elementari.
Fonte: Repubblica.it