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Eau de toxines

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Da Greenpeace, una nuova denuncia sui pericoli dei contaminanti industriali. Questa volta ad essere sotto accusa sono i profumi delle migliori marche, da Armani a Yves Saint Laurent.
I profumi potranno anche essere fonte di piacere, ma potremmo goderceli di più se fossimo certi che non contengano sostanze che si accumulano nell’ambiente e nei nostri corpi, e che potrebbero anche causare danni alla salute. Una volta i profumi erano composti semplicemente da alcol e oli essenziali. Con l’avvento della chimica industriale, questi ingredienti poi sono diventati alcol denaturato ed essenze sintetiche. I composti chimici pericolosi, o potenzialmente pericolosi, utilizzati di frequente nei profumi, sono proprio questi: gli esteri ftalici (noti comunemente come ftalati), solventi e denaturanti dell’alcol, e le essenze di sintesi, tra le quali attualmente nel mirino ci sono i sostituti del muschio naturale, i muschi sintetici, le cui tracce sono state rilevate persino nel latte materno. Cosa si può fare per evitare una così ampia contaminazione? Poco, perché raramente gli ingredienti sono riportati in etichetta.
Come conseguenza dell’uso massiccio queste sostanze, ritenute a rischio, si trovano oggi diffusamente sia nell’ambiente naturale che in quello urbano. Nello stesso tempo, detergenti, cosmetici e profumi costituiscono un veicolo diretto di esposizione ripetuta a dosi relativamente concentrate, che potrebbe contribuire in maniera sostanziale alla esposizione totale a questo nuovo gruppo di sostante tossiche. Fra il 2003 e il 2004, Greenpeace ha commissionato un’analisi quantitativa di una selezione casuale di trentasei marche di «eau de toilette» ed «eau de parfum». Le analisi sono state svolte dal laboratorio di ricerca indipendente olandese TNO Environment, Energy and Process Innovation (Peters, 2005). I risultati, pubblicati quest’anno nel rapporto «L’eau de toxines», dimostrano che gli ftalati e i muschi sintetici sono presenti praticamente in tutte le marche di profumi sottoposte ad analisi, anche se in quantità estremamente variabili.
Come si evince dalla tabella, livelli molto elevati di dietil ftalato (DEP) sono stati trovati in Eternità di Calvin Klein per donne (22.299 mg/kg, cioè 2,2% del peso totale) e in Le Mâle di Jean Paul Gaultier (9.884 mg/kg, appena al di sotto dell’1% in peso). Invece, Vanderbilt di Gloria Vanderbilt non contiene nessun livello riscontrabile degli ftalati testati.
Alte concentrazioni di nitromuschi e muschi policiclici sono stati riscontrati in Le Baiser Du Dragon di Cartier (45.048 mg/kg, o 4,5% in peso) e Muschio bianco del Body Shop (94.069 mg/kg, o 9,4% del peso totale). I livelli più bassi, invece, sono emersi in Puma Jamaica Man della Puma (0,1 mg/kg).
Le ragioni delle grandi differenze nelle concentrazioni rilevate non sono ancora note, mentre l’assenza di livelli riscontrabili di tali sostanze chimiche in alcune marche suggerisce che sia possibile produrre e commercializzare con successo profumi privi di queste sostanze sospettate di essere dannose per la salute.
Invece di trovare il modo per evitare l’impiego di tali sostanze nei cosmetici, l’Unipro, l’associazione italiana delle industrie cosmetiche, ha risposto al rapporto di Greenpeace minimizzando il problema: «Gli ftalati – si legge in un comunicato dell’associazione – sono meticolosamente studiati da più di 50 anni e i dati a disposizione attestano che l’esposizione dei consumatori a questi ingredienti, in seguito all’uso di cosmetici, è notevolmente inferiore ai livelli riconosciuti pericolosi per la salute umana». E aggiunge che, per quanto concerne il Diethylphthalate (DEP): «è stato ampiamente testato (dal Comitato Scientifico per i Prodotti destinati ai Consumatori, «Sccp», ndr) ed è considerato sicuro per l’uso nei cosmetici e nei prodotti per la cura personale». Infine per quanto riguarda i muschi sintetici: «i dati di sicurezza delle quattro molecole utilizzate come ingredienti delle fragranze (muschio chetone, muschi xilene, AHTN e HHCB) sono state di recente completamente esaminati dalla Sccp, che li ha giudicati sicuri per l’utilizzo nei cosmetici e profumi nelle attuali condizioni d’uso. Due ingredienti, muschio chetone e muschio xilene, sono tra l’altro specificamente regolamentati dalla Direttiva cosmetici. Una quantità molto piccola di muschi sintetici si può trovare nell’ambiente e studi recenti hanno dimostrato che queste sostanze non aumentano nel corso del tempo».
Alla Unipro replica Vittoria Polidori, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace: «È sempre difficile, se non impossibile, quantificare i rischi esatti che una determinata sostanza può presentare per la salute dell’uomo, in quanto siamo esposti a varie fonti per ciascun composto chimico nella nostra vita quotidiana e per di più ad una miscela di sostanze. Tuttavia, i risultati delle analisi che abbiamo commissionato dimostrano che anche nelle formulazioni più leggere, i livelli di galaxolide (HHCB) possono eccedere la soglia di concentrazione stabilita dalla Sccp del 2,4% (in 5 dei 36 prodotti analizzati), mentre per il tonalide (AHTN) i valori sono stati superati in 2 dei 36 campioni analizzati. E soprattutto, lo stesso Comitato ha dichiarato di non considerare l’eventuale esposizione del consumatore attraverso una varietà di altre fonti. I cosmetici non sono l’unica fonte di esposizione ai muschi sintetici per l’uomo: si ritrovano, infatti, in deodoranti per ambienti, saponi e detersivi».
«Dieci anni fa la Unipro diceva la stessa cosa per quei prodotti muschiati che poi sono stati vietati» aggiunge Hubert Bosch, fondatore della Coconut, consorzio per la cosmesi naturale e titolare di Humus Remedia. «I profumi sintetici sono stati creati proprio perché durino nel tempo sulla nostra pelle. Si tratta di molecole molto stabili, ma che proprio per questo permangono a lungo sul nostro corpo, ma successivamente anche nel depuratore, nell’acqua, nell’ambiente… e poi ce li ritroviamo per esempio nel latte materno, così come nei fondi dei fiumi, che per questo principio di bioaccumulo ormai vengono quasi sempre considerati rifiuti speciali».
Una preoccupazione, quella di Hubert Bosch, che sembra confer- mata da recenti ricerche che mettono in evidenza che l’alterazione nel Dna delle cellule dello sperma sono più frequenti negli individui nella cui urina sono presenti livelli elevati di MEP, la forma monoestere in cui viene metabolizzato il DEP (Duty et al. 2003) e che esiste una possibile connessione fra l’esposizione a due metaboliti degli ftalati, vale a dire MEP e MBP (monobutilftalato), riscontrati nei campioni di urine, e una ridotta funzionalità polmonare negli uomini adulti (Hoppin et al. 2004).
I muschi sintetici possono accumularsi nei tessuti e quelli utilizzati nei profumi sono stati riscontrati come contaminanti nel sangue umano e nel latte materno (Rimkus and Wolf 1996, Peters 2004). Vi sono indicazioni crescenti che alcuni nitromuschi e muschi policiclici, inclusi quelli usati comunemente nei profumi, potrebbero interferire con i sistemi ormonali nei pesci (Schreurs et al. 2004), negli anfibi (Dietrich and Hitzfeld 2004) e nei mammiferi (Bitsch et al. 2002, Schreurs et al. 2002) e potrebbero aggravare gli effetti dell’esposizione ad altre sostanze chimiche nocive (Smital et al. 2004).
L’indagine di Greenpeace sui profumi, come quelle condotte in passato su altri beni di consumo, dimostra la necessità di una legislazione che promuova attivamente la sostituzione delle sostanze potenzialmente pericolose per l’uomo e per l’ambiente con alternative più sicure.
Spesso la valutazione dei rischi parte dal presupposto che un determinato livello di esposizione ad una sostanza chimica, anche laddove tale sostanza dimostri proprietà intrinsecamente nocive, è in fondo «accettabile» e gestibile. È urgente quindi un approccio alla valutazione e al controllo delle sostanze chimiche, che privilegi quindi il principio di precauzione e quello di sostituzione.
Considerando il fatto che l’organismo umano è in genere esposto non a singole, ma a una miscela di sostanze chimiche, e che per ciascun composto chimico esistono fonti di contaminazione diverse, è evidente che i metodi ristretti tradizionali di valutazione dei rischi sono poco adatti a fornire una protezione adeguata.
È possibile aderire alla campagna di Greenpeace per chiedere un Reach più restrittivo. Su questa pagina web potete aderire anche voi.
La legislazione attuale dell’Unione europea fornisce una protezione solo parziale dalle sostanze chimiche utilizzate nei cosmetici, inclusi i profumi. La Direttiva Ue sui Cosmetici (76/768/Cee) limita l’uso nei prodotti cosmetici di quelle sostanze chimiche classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per il sistema riproduttivo (Cmr). In tale limitazione ricade già almeno uno dei nitromuschi, il muschio ambretta. Tuttavia, la Direttiva:
• non impedisce l’uso di sostanze chimiche considerate altrettanto nocive, quali quelle tossiche per il sistema endocrino;
• non affronta il problema dell’esposizione attraverso la diffusione nell’ambiente dei composti chimici utilizzati nella produzione dei prodotti cosmetici o l’uso e lo smaltimento di questi prodotti;
• non comporta alcuna procedura d’autorizzazione che richieda ai cautelative o ricercare soluzion i sistematiche per l’eliminazione e la sostituzione dei composti chimici ritenuti dannosi.
La regolamentazione delle sostanze ha dimostrato la sua inefficienza ed impossibilità di quantificare l’esposizione umana e ambientale a questi composti e di conseguenza di determinare i «rischi» ed il livello di esposizione accettabile. «Nei profumi – aggiunge la Polidori–l’esposizione è spesso ripetuta anche più volte al giorno, al mese, all’anno e può esse- re amplificata dalla presenza di composti indesiderati presenti in altri prodotti di largo consumo testati da Greenpeace in altre indagini, come vestiti, prodotti elettronici, scarpe da ginnastica e giocattoli».
L’alternativa a questi profumi c’è, a partire dagli ingredienti di una volta: alcol non denaturato ed oli essenziali. Tuttavia chi produce essenze naturali è costretto a scontrarsi con due contraddizioni. La prima è di carattere fiscale: «L’alcol denaturato – spiega Bosch – costa 50 centesimi al litro, mentre quello naturale, anche all’ingrosso costa 8 euro». Ma non fi- nisce qui: «Guarda caso – continua Bosch – le sostanze allergeniche che la legge impone di riportare in etichetta sono tutte d’origine naturale, mentre non c’è nessun obbligo per le sostanze allergeniche sintetiche. È assurdo, per esempio, che si debba indicare come prodotto allergenico il «limonene» (un olio essenziale contenuto nella buccia del limone, ndr): sarebbe come obbligare i fruttivendoli a contrassegnare i limoni con un cartello che dica ‘attenzione contiene limonene’. Di contro, i profumi chimici sono indicati con la scritta generica «parfum», senza specificare la loro origine e composizione. Mi pare evidente che siamo di fronte a norme che invece di informare, confondono il consumatore».
Sembra dunque evidente che da una parte l’attuale normativa consente la produzione e la vendita di profumi contenenti sostanze ritenute sospette per la salute dell’uomo e l’ambiente naturale, mentre dall’altra penalizza le poche alternative naturali esistenti.
Nell’attesa di una legislazione più sensibile alla salute della popolazione (vedi «Difendiamo i bambini dalla chimica», su Aam Terra Nuova, maggio 2005), in grado di promuovere un approccio cautelativo in materia di sostanze chimiche e stimolare la graduale eliminazione dei composti che destano preoccupazioni in termini di tossicità, l’unica soluzione possibile è quella di rivolgersi ai semplici e salubri profumi naturali a base di oli essenziali. Certo sono poco persistenti, meno intensi e di gamma più limitata rispetto ai profumi sintetici, ma chi ha detto che bisogna mascherare pesantemente il nostro «odore»? Non fa parte anch’esso della nostra identità? Perché celarlo a tutti i costi?

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