Come tutta la pubblicità, anche quella per le vacanze ci invita a soddisfare ogni nostro desiderio, sia esso divertimento, relax, sport o cultura. Al centro del messaggio ci siamo sempre noi, la nostra famiglia, il gruppo di amici.
Ovviamente questo è un approccio più che giustificato, tuttavia sento sempre qualcosa che stona nelle loro promesse di felicità: sarà che ho sempre avuto un problema con tutte quelle situazioni in cui la prerogativa è il divertimento – festività e compleanni compresi. Come col verbo amare, credo che anche il verbo «divertirsi» non regga l’imperativo ma anzi, a volte tende a provocare una reazione testarda: «per dispetto, non mi diverto». A voi è mai capitato…?
È stato a partire da questa buffa permalosità dell’anima nei confronti delle vacanze «normali» che mi sono avvicinato al mondo di quelle associazioni di volontariato che da anni organizzano e promuovono non solo delle vacanze «alternative» (termine antipatico, ma tanto per capirsi), ma anche un modo diverso di concepire il tempo libero. Un tempo che si invita a dedicare «al prossimo».
È facile in questi casi cadere nella trappola moralistica: l’idea di «sacrificare» la propria libertà per aiutare chi è meno fortunato di noi. In realtà, i giorni di vacanza appaiono «sprecati» solo nell’ottica offerta dalla pubblicità, mentre invece chi decide di partecipare a quelli che vengono definiti «campi di solidarietà», torna sempre a casa con un patrimonio di ricordi, esperienze, affetti, molto più consistente delle giornate di lavoro che ha sudato.
Uno dei punti di riferimento in Italia per questo tipo di vacanza è l’associazione Lunaria, che offre una scelta di 1500 campi in 40 paesi diversi. Il principio è semplice: mettere insieme persone di diversa provenienza che uniscono le forze per portare avanti un progetto di solidarietà. Si va dal recupero ambientale all’assistenza ai disabili, dall’organizzazione di feste paesane alla manutenzione delle strutture di valore artistico. Si possono quindi svolgere attività di animazione con i bambini in Perù, aiutare le popolazioni dello Tsunami in Thailandia oppure partecipare agli scavi archeologici di un’antica colonia greca in Ucraina.
Dal Marocco alla Mongolia, dal Perù alla Turchia, dall’Estonia agli Stati Uniti, i campi di volontariato internazionale permettono ogni anno a centinaia di giovani di girare il mondo, incontrare nuovi amici, trasformare la «solita» vacanza in un’esperienza umana e sociale irripetibile.
«Purtroppo questo tipo di esperienza, pur suscitando molto interesse, non trova ancora in Italia il riscontro che merita» ci spiega Filippo Sciacovelli, responsabile campi d’Italia di Lunaria. «Se da una parte viene riconosciuto dallo Stato, dalle istituzioni non proviene alcun aiuto significativo per la promozione, e le varie associazioni non hanno i soldi per delle campagne pubblicitarie importanti: anche quelle come la nostra che esistono da 10-15 anni, riescono a mandare circa 500 ragazzi ogni anno, ma potenzialmente potrebbero essere molti di più. I giovani sono portati a pensare più agli obiettivi accademici e al massimo possono provare l’Erasmus, ma spesso non hanno l’opportunità nemmeno per quello e ottengono un titolo di studio senza aver fatto alcuna esperienza interculturale. Non è neanche una questione di scelta: in media partecipano sempre di più i giovani del centro-nord e di ceto medio alto; non si riesce a cogliere dove ce ne sarebbe più bisogno.»
In effetti, appare evidente che un campo di solidarietà potrebbe dare un’alternativa anche molto meno costosa per i genitori, che invece di indebitarsi con dei costosi corsi di inglese, potrebbero investire in un’esperienza di alto valore educativo. Comunque non si parla soltanto di giovani, ma anche di adulti e soprattutto di anziani: una straordinaria risorsa che potrebbe trarre molto da questo tipo di esperienza.
Una volta arrivato il messaggio (quello più efficace resta sempre il classico passaparola) e superate le prime comprensibili diffidenze nei confronti di una vacanza «controcorrente», ce n’è davvero per tutti i gusti e per tutte le tasche. Ci sono l’Aias Milano, che porta in vacanza le persone disabili; l’Aifo, che si mobilita nella lotta contro la lebbra in India; Arché, che si occupa di sieropositività in ambito pediatrico; Adt Quarto Mondo, che si propone di raggiungere le famiglie più afflitte dalla miseria e fornire loro opportunità di formazione con università popolari e laboratori di condivisione dei saperi; l’Associazione tempo libero handicappati (Altha) che opera in Italia, Austria e Stati Uniti; Bambini in Romania che lotta contro la dura realtà dei bambini abbandonati nei distretti di Vulcea, Braila e Tulcea; Cooperazione paesi emergenti, nato in Sicilia nell’83 e che promuove progetti in campo sanitario, agricolo e sociale per favorire l’autosviluppo delle popolazioni tunisine; Emmaus che organizza campi di raccolta, selezione e vendita di materiale usato; Il Granello di Senape, che propone la condivisione della vita di villaggio nella Costa d’Avorio, Ruanda, Congo, Kivu del Nord; Saraj, che in turco antico significa «posto tappa», il luogo dove le rotte carovaniere si incrociano, punto d’incontro e di scambio in Chiapas, Romania, Bosnia e Kosovo; l’Associazione italiana soci costruttori, che opera nell’ambito della ristrutturazione in Italia e all’estero; Operazione Mato Grosso, che propone lavori nel campo dell’agricoltura in Italia per finanziare progetti in Brasile, Bolivia, Ecuador e Perù; il Movimento internazionale della riconciliazione (Mir), con campi estivi improntati al lavoro manuale, alla formazione spirituale e culturale e alla convivialità; i Ragazzi dell’olivo con settimane di animazione per i bambini palestinesi, Terra Patria, che offre un sostegno concreto a popoli colpiti da carestie, guerre e catastrofi naturali; e infine il Gruppo Yoda, un folto numero di ex-studenti di un corso di cooperazione internazionale che organizza gli «intercampi», ovvero campi di reciproca conoscenza per favorire i rapporti tra il Nord e il Sud.
D’ispirazione religiosa ci sono i Beati Costruttori di Pace, che quest’anno operano in Bosnia; l’Agimi che dal ’91 si occupa di scambi interculturali tra Italia e Albania; Celim, una Ong milanese che gestisce progetti di cooperazione in Zambia e Albania, Kosovo, Romania, Bulgaria, Serbia e Bosnia; la Comunità di Capodarco che assiste le persone portatrici di handicap in Italia; l’Associazione italiana soci costruttori, che promuove solidarietà e condivisione in Italia, Romania e paesi del Sud del Mondo; Vides, che interviene in particolare sulle condizioni della donna e dei bambini; Visba, con lo scopo di salvaguardare le culture locali sviluppando il settore dell’istruzione tecnica ed artigianale; Workcamp Romania che lavora con i bambini di Bucarest e Slatina; La nostra famiglia, nata nel ’45 per assistere i bambini disabili e offrire un sostegno concreto alle loro famiglie; Pax Christi, che propone campi di educazione alla pace.
«Questo tipo di esperienze sono un modo per vedere il mondo alla rovescia: donare senza chiedere niente» ci dice Mario Ciman, professore dell’Università di Padova, che nel ’66 ha fondato l’associazione Universitari Costruttori che ogni anno contribuisce alla costruzione, ristrutturazione e mantenimento di strutture per comunità di assistenza.
«È bello vedere un tipo di volontariato allo stato puro – continua Ciman – che pur non promettendo alcun ‘divertimento’, offre uno spazio per ‘dimenticare’ noi stessi. E questo è il premio più grande che ci si possa concedere».