L e mura di cinta delle antiche città tendiamo ad associarle solamente al loro scopo difensivo contro gli eserciti invasori. Esse avevano tuttavia un’altra funzione importante: quella di creare un confine ben preciso tra la città e la campagna. Con la scomparsa delle mura di cinta, questo confine si è fatto sempre più indistinto.
È ironico che si parli di urbanizzazione selvaggia, quando «urbano» e «selvaggio» sono estremi opposti. È anche vero però che siamo passati dal rifugiarci in città per proteggerci da una campagna imprevedibile e pericolosa, al rifugiarci in campagna per proteggerci dalle nostre città, sempre più simili a foreste intricate, popolate da predatori affamati – selvagge, appunto.
È da questo labirinto che la nostra anima vuole fuggire, alla ricerca di un archetipo che l’industrializzazione non è riuscita a strapparci: la casetta, l’alberello, il sole, il fiume, l’idea di natura che disegniamo da piccoli. È questa naturale inclinazione che ci spinge fuori dalla città, spesso armati soltanto dei nostri stipendi. È da questa esigenza semplice ed antica quanto il mondo che sono nati gli agriturismi. Possiamo immaginarci quelli nati quasi per caso, da un desiderio di scoprire le proprie radici, di vedere con i propri occhi «da dove viene il latte che beviamo».
A cogliere quest’opportunità sono stati in diversi, dai contadini ai nobili, ma anche molti stranieri che per poche vecchie Lire hanno acquistato coloniche in disuso. Tutte persone che hanno trovato nel turismo rurale un modo per far quadrare i conti di una vita in campagna, la cui economia è sempre più ostaggio del globalismo.
Negli anni ‘60-’70, poi, non c’era il pensiero di dover chiedere «la licenza» e molti dei primi agriturismi – solo negli anni ‘80 si è iniziato a chiamarli così – sono nati e cresciuti in modo del tutto spontaneo e quindi autentico. La riscoperta era quella di una convivialità perduta sulla la strada dell’industrializzazione, con una straordinaria opportunità di scambio culturale tra la città e la campagna, sia per chi ospitava che per chi veniva ospitato.
Poi, sono arrivate definizioni, leggi, tasse. L’agriturista oggi deve dimostrare la prevalenza dell’attività agricola su quella ricettiva. In apparenza, tale obbligo dovrebbe garantire una maggiore genuinità delle proposte agrituristiche, in realtà a trarne vantaggio sono state soprattutto le grandi aziende agricole, mentre la maggioranza dei piccoli agricoltori sono stati costretti a trovare soluzioni di ripiego come per esempio quella di diventare «affitta camere» o «case per ferie».
Nessuno comunque è potuto sfuggire ai Sacerdoti dell’Igiene, che hanno obbligato tutti a sostituire i vecchi acquai in pietra serena con orripilanti vasche inox, mobili in legno di fattura artigianale con truciolati lavabili di serie. Inesorabilmente, l’agriturismo è diventato un business, inserendosi nel «sistema» di burocrazia e spersonalizzazione.
Agriturismo è diventata una parola chiave per aprire i forzieri del cittadino bisognoso di idilli agresti, di Mulini Bianchi…
Così, negli ultimi anni molti agriturismi sono diventati alberghi in campagna, dove si affittano appartamenti con piscina. Talmente igienici, da diventare asettici. Spesso il proprietario non lo si incontra neanche, figuriamoci mangiarci assieme. Di animali da cortile neanche l’ombra. Naturalmente questo non è che un riflesso di una cliente la sempre più estesa, che vuole sempre più comodità e sempre meno scambi spontanei.
Questo non vuol dire che non ci siano più «veri agriturismi». È solo più difficile trovarne, tra quelli sopravvissuti all’assalto della messa a norma (a volte diventata una sorta di requiem) e tra quelli nuovi che hanno scelto un approccio coerente al turismo rurale.
Come si riconosce un agriturismo autentico? Un po’ possono aiutare le «certificazioni», ma fondamentale rimane il «fattore umano», una qualità difficile da certificare perché passa solo attraverso il filo diretto delle relazioni. Per esempio, un aspetto fondamentale è il pasto collettivo. È questo, infatti, il fulcro di quello scambio prezioso tra il mondo urbano e il mondo rurale, tra due diversi tipi di ricchezza culturale. A tavola si mette in pratica la convivialità, senza la quale non ci può essere che uno scambio puramente monetario, un paesaggio in affitto. A tavola si scambiano i sapori della terra e si conversa con i geni del luogo, con chi questa terra la coltiva, la conosce e la ama. A tavola si imparano nomi, si incrociano sguardi, si tessono legami.
Pane ed ecovillaggi Durante e dopo la tavola si può imparare anche altro. La vacanza in agriturismo può essere un’occasione per scoprire le proprie capacità manuali: sono numerose le aziende dove si può imparare a fare il pane a lievitazione acida (Aldo e Teresa, tel 075.9410949; Francesco e Luisa, tel 0578.298181,
podere@cimbolello.it) assistere alla preparazione dei formaggi (Cascina degli Ulivi, tel 0143.744598); costruire pannelli solari e preparare cosmetici naturali (Cascina di Santa Brera, tel 02.9838752 –
info@terraeacqua.it); frequentare corsi di massaggio o pittura (La Casa Gialla, tel 0577.799063,
cetine@cetine.com; Sole e Terra, tel. 079.659773,
soleeterra@yahoo.it); yoga o qui gong (Faldone, tel 340.6774560) o di cucina naturale (Poggio Aurora, tel 0187.68732,
poggioaurora@virgilio.it). Per vivere il paesaggio da un altro punto di vista, c’è chi ha unito l’ospitalità con l’equitazione (Rendola Riding, tel 055.9707045 –
info@rendolariding.it) e chi organizza trekking a piedi (La Bernadiere, tel 0165.710887 –
labernadiere@tiscali.it) o escursioni in mountain bike (Agriturismo Vinchereto, tel 055.8319797 –
vinchereto@virgilio.it) per conoscere, senza fare uso di auto, il territorio circostante.
Chi è interessato a conoscere la realtà degli ecovillaggi, può utilizzare le vacanze estive per visitare le realtà più significative in Italia (
www.aamterranuova.it/rive) o all’estero (
www.gaia.org), ma bisogna fare attenzione a non confondere le comunità ecologiche con i villaggi turistici. Prima di muoversi è consigliabile prendere contatti e verificare la disponibilità: in Italia infatti solo alcuni ecovillaggi sono attrezzati per l’ospitalità, tra questi il Villaggio Verde (tel 0163.80447,
info@villaggioverde.org) che ospita anche corsi di agricoltura biodinamica e respirazione olotropica e Torri Superiore (tel 0184.215504,
info@torri-superiore.org), dove è possibile frequentare corsi di creazione e gestione ecovillaggi, permacultura e ceramica.
Spesso basta una breve chiacchierata al telefono per intuire se il posto che intendiamo visitare risponderà alle nostre aspettative. Io, per esempio, chiedo subito se si mangia tutti insieme, se ci sono prodotti della fattoria e/o locali, quali animali ci sono attorno casa, quanti sono i posti letto complessivi, se ci sono alternative alla piscina clorata (laghi, ruscelli o piscine naturali). Si può capire molto anche chiedendo brevemente com’è nato l’agriturismo e con quali finalità. Come sempre, ci si può fidare molto di più di un passaparola, piuttosto che di una fotografia su una rivista patinata.
Dopo il grande boom di questo tipo di struttura ricettiva, l’offerta si è moltiplicata a dismisura e allora sta a noi districarci nelle nostre selve pubblicitarie, per individuare quei posti che quando chiedi «Com’era?», chi c’è stato alza lo sguardo, ripensando ai giorni passati lì con aria sognante, per poi rispondere con un semplice: «Era vero».