Diffuso il rapporto dell’International Food Policy Research Institute sull’Indice Globale della Fame nel mondo: due gli scenari possibili, uno insostenibile dove la terra non basterà, e l’altro sostenibile, se ci si decide a cambiare registro.
L’Indice Globale della Fame (Global Hunger Index – GHI) è uno dei due rapporti internazionali che illustra ogni anno la situazione della fame e della denutrizione nel mondo. Il rapporto 2012, giunto alla quinta edizione italiana, è stato presentato a Milano. Il rapporto analizza ogni anno la situazione in oltre 120 Paesi e approfondisce un aspetto della fame in un focus tematico specifico. I rapporti precedenti si sono focalizzati sulla denutrizione infantile, la fame e le tematiche di genere, oltre alla dinamica dei prezzi dei beni alimentari e alla loro volatilità. Il rapporto 2012 si occupa di scarsità delle risorse destinate alla produzione di cibo: terra, acqua ed energia. Il rapporto GHI 2012 si incentra in particolare su come conseguire la sicurezza alimentare in modo sostenibile in un contesto di stress idrico, agricolo ed energetico. I cambiamenti demografici, l’aumento dei redditi e deimodelli di consumo associati, e il cambiamento climatico, congiuntamente alla persistente povertà e all’inadeguatezza di politiche e istituzioni, sono tutti fattori che stanno aumentando la pressione sulle risorse naturali. In questo rapporto, IFPRI mette in evidenza la scarsità di terra, acqua ed energia nei Paesi in via di sviluppo e propone due scenari per il futuro sistema alimentare globale – uno scenario insostenibile, dove proseguiranno le attuali tendenze per quanto riguarda l’uso delle risorse; e uno sostenibile, in cui migliorerà significativamente l’accesso al cibo, a fonti di energia moderne e all’acqua potabile, e il degrado ambientale sarà fermato e verrà innescato un processo di rafforzamento degli ecosistemi. Concern Worldwide e Welthungerhilfe ci offrono due prospettive dal campo sul problema della proprietà fondiaria e della registrazione dei relativi diritti, così come sull’impatto della scarsità di terra, acqua ed energia sui poveri in Sierra Leone e Tanzania, e ci descrivono il lavoro delle rispettive organizzazioni per tentare di mitigare tali effetti
Il suolo coltivabile è diventato un bene così prezioso che – anche laddove non è di ottima qualità – viene affittato, specie in Africa, per produrre beni destinati all’esportazione. È il cosiddetto land grabbing, l’accaparramento delle terre che negli ultimi dieci anni ha interessato una superficie pari a sette volte quella dell’Italia. La maggior parte delle acquisizioni è avvenuta nei Paesi con alti livelli di malnutrizione, dove la popolazione e il reddito nazionale dipendono dall’agricoltura. Il 55% dei suoli affittati viene destinato a colture per biocarburanti, sottraendo terra alla produzione di cibo. Tuttavia il rapporto GHI 2012 aiuta a comprendere come la prospettiva di un mondo sempre più affamato non sia affatto ineluttabile. Sono già ampiamente disponibili strategie in grado di conciliare produttività e consumo sostenibile delle risorse anche in un contesto di cambiamento climatico. Tali strategie richiedono però una migliore governance delle risorse naturali e degli investimenti in agricoltura, una riduzione dell’ineguaglianza e una maggiore inclusione dei gruppi marginalizzati.
Il rapporto è stato diffuso in contemporanea in una decina di Paesi, tra cui Italia, Francia, Germania, Usa, Irlanda, Belgio, India, Zimbabwe, Kenya, grazie alla collaborazione di Alliance2015, un network europeo di 7 ONG tra cui Cesvi.