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Traslocare l’anima: l’eversione del vivere rom

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Bisogna cambiare realtà e anche tempo per incontrare persone che del trasloco hanno fatto il loro habitat naturale. Dobbiamo avere il coraggio di incrociare i nomadi e i loro sguardi per farlo.
Proprio loro: i più svalutati sul mercato delle merci umane, di cui siamo oggetti riposti sugli scaffali. Oggi i nomadi sono gli zingari, quelli che mendicano agli incroci, i ladri che entrano nelle case e, per i più allucinati tra di noi, quelli che rubano i bambini nei supermercati. Abbiamo fatto con il popolo Rom quello che gli statunitensi hanno fatto con i pellerossa e i nazisti con gli ebrei. Non li abbiamo solo sterminati facendoli passare per i camini delle camere a gas, ma gli abbiamo rubato l’anima, illudendoci di recuperare la nostra, ormai dimenticata in fondo a un pozzo della storia.
I nomadi e gli zingari, è vero, sono incompatibili con il nostro mondo. Un mondo fatto di cartellini, di orari da rispettare e di ruoli. Un mondo che è un perfetto orologio svizzero finché un ingranaggio smette di funzionare e tutto si blocca. È sufficiente che una pompa qualsiasi faccia le bizze tra le centinaia necessarie per l’estrazione del petrolio, affinché i pescatori perdano il lavoro, i pesci
perdano la vita e i giornalisti abbiano qualche bistecca in più con cui ingrassare i loro stanchi ventri con notizie eclatanti.
La bestemmia più grande che i Rom pronunciano ogni volta che respirano è che la vita non è un ingranaggio del sistema economico, del Capitale. Lo fanno per quello che sono oggi: sopravvissuti in un mondo dove i camini dell’economia continuano a bruciare i tempi preziosi delle nostre vite. «I Rom non lavorano!»: questo è l’urlo che ci arriva potente nelle orecchie quando veniamo sfiorati dalla
loro presenza. Noi, con le nostre piccole vite affannate a rincorrere questo e quello, affamati di uno sprazzo di passione che raramente ci concediamo, non possiamo sopportare la presenza fisica di chi è fuori da ciò che chiamiamo Capitale. Li annichiliamo perché essi sono la possibilità già viva di un altro mondo. Un mondo in cui l’esigenza primaria, ancor prima di «vivere» è «sopravvivere». Senza ammennicoli come il lavoro da mille euro al mese, la parrucchiera o il calcio di fronte alla televisione. Per questo li sterminiamo e li allontaniamo da noi.
Il Capitale non ha paura di scioperi, democrazie elettorali o filosofi. Non ha nemmeno paura di rivoluzioni. Ormai le conosce e sa come vincerle. Teme i nomadi, invece, di quelli sì che ha paura. Perché sul fondo dell’ultima bottiglia che svanisce tra le mani di un ubriacone rom resta l’eredità viva di quello che è stato un popolo libero, come lo eravamo anche noi prima che la Storia incominciasse.
Dal nostro punto di vista i nomadi sono in trasloco perenne. Dal loro punto di vista invece no. Non solo non hanno bisogno di una casa come noi; vivono uno spazio in cui le muraesterne non servono, le uniche radici vere sono quelle che portano con sé.
L’immagine della tenda nel deserto o del fuoco sotto la luna è così forte che l’abbiamo memorizzata nei nostri geni. Solo i nomadi si muovono portando con sé il proprio io interiore, nella sua densità totale. Sono costretti a farlo perché non dispongono di stampelle esterne, di mura e di abitudini civili cui aggrapparsi per non impazzire di dolore per la rinuncia alla propria umanità. Solo un trasloco, ormai, è in grado di riaccendere i geni del nostro nomadismo; è l’opportunità che abbiamo di spostare le nostre radici su un altro terreno: nuovi vicini, nuovi bar, nuovi percorsi per andare al lavoro e tornare verso casa. Nuove porte da aprire e da chiudere. E nuovi incontri. Traslochiamo le cose che ci sono esterne: gli oggetti, a volte le persone della famiglia, ma non traslochiamo mai da noi stessi. Traslocare da noi stessi è impensabile come separarsi dalla nostra ombra: ci resta appiccicata tra i piedi anche nel sole di mezzogiorno, magari piccola piccola, ma inestirpabile. Come l’anima.
La nostra ombra ci ricorda chi siamo, ci accompagna fino a quando scivoliamo via con lei.
Testo tratto dal libro «Elogio dell’ebook»
L’articolo è stato pubblicato sul mensile Terra Nuova Giugno 2012 disponibile su www.terranuovalibri.it sezione arretrati in vendita.

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