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Decrescita: contro il lavoro

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In tempi di disoccupazione parlare contro il lavoro può sembrare radical chic… o forse può indicare una possibile via che mette in discussione il nostro modo di vivere.
Il lavoro in cambio di uno stipendio all’interno di un meccanismo creato per produrre denaro? È alienante. Diventa «il» modo per identificarci, assegna all’individuo un «loculo» nel mondo e lì lo ingabbia, limitandone lo sviluppo delle relazioni e incasellandolo in uno Stato di polizia che impedisce di coltivare la ragione e il desiderio di indipendenza.
È questa la tesi di Philippe Godard, scrittore e pensatore francese fuggito da Parigi per rifugiarsi nel Giura, dove da 18 anni coltiva da sé un orto di settecento metri quadri che, con l’aggiunta di poco altro, gli dà di che sostenersi. Libero di pensiero e di azione, Godard ha diretto collane per ragazzi per varie case editrici ed è autore del libro Contro il lavoro (Elèuthera, 2011), nel quale ha messo a punto il suo manifesto contro quello che ritiene «lo strumento funzionale ai meccanismi della società dei consumi e dei desideri indotti». Trovando il suo pensiero molto stimolante, lo abbiamo incontrato per voi.
Philippe, ci puoi spiegare meglio su cosa si concentra la tua critica al lavoro?
Il lavoro impedisce l’invenzione e la sperimentazione di rapporti più ricchi e articolati, ci priva della gioia del saper fare tante attività diverse, e di farle non perché dobbiamo, ma perché ci sembra giusto e necessario per la nostra comunità. La maggior parte degli uomini non si è dedicata spontaneamente al lavoro inteso come produzione di beni destinati a mercati anonimi e sconosciuti, destinati cioè ad alimentare l’economia monetaria. È stato con l’avvento degli Stati moderni e del capitalismo che gli esseri umani sono stati trasformati nella materia prima destinata a una macchina che trasforma il lavoro in denaro.
A chi giova, dunque, una società fondata sul lavoro?
L’esaltazione del lavoro presenta, per chi detiene il potere, l’enorme vantaggio ideologico di riunire sotto lo stesso vessillo sfruttatori e sfruttati. Si finisce così per considerare il lavoro come un valore; ma se così è, allora significa che questa società considera anche il processo di produzione-consumo un valore fondamentale, prospettiva di per sé agghiacciante. Peraltro è un giochino che permette di schiacciare le libertà, che si riducono solo a quelle necessarie al valore lavoro: poter produrre e consumare liberamente. Il lavoro, dunque, è divenuto un modello di società all’interno della quale non ci resta che il consumo. Il sindacalismo per i diritti dei lavoratori? Non libera dal lavoro, vuole semplicemente sostituire il lavoro per i padroni con un lavoro collettivo per la comunità in senso astratto. Tutti quanti, nessuno escluso, negano invece la possibilità di una cooperazione spontanea, umana e pacifica; il sistema capitalista si adopera per renderla sempre meno realizzabile, per poter poi arrivare a concludere che è necessaria un’organizzazione coercitiva della produzione per ovviare alla presunta assenza di cooperazione spontanea….
La versione completa dell’articolo “Contro il lavoro” è pubblicata nel numero cartaceo del mensile Terra Nuova Luglio-Agosto 2012 disponibile anche come eBook
Terra Nuova Edizioni consiglia la lettura dei seguenti titoli:

 

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