La comodità, la facile reperibilità e il prezzo abbordabile hanno fatto del tonno inscatolato, al naturale o sott’olio, un prodotto diffuso in tutto il mondo. Del resto, molti nutrizionisti sostengono l’indubbio valore alimentare di questo pesce ricco di proteine, poco grasso (benché questo dipenda molto dal taglio e dalla specie), ma ben provvisto di preziosi omega 3, acidi grassi essenziali per il nostro organismo. Come se non bastasse è poco calorico e pronto all’uso. Ma scendendo un po’ nel dettaglio ci rendiamo conto che non è tutto oro ciò che luccica.
Non basta dire tonno
Con questo nome vengono chiamate varie specie, ognuna con caratteristiche organolettiche diverse. Il Thunnus thynnus è il pregiato tonno rosso (o bluefin), in pericolo di estinzione. elle scatolette viene per lo più sostituito dal Neothunnus albacora, il ben noto pinna gialla (o yellowfin), un prodotto di media qualità la cui fama è dovuta al tam-tam pubblicitario più che alla bontà delle sue carni. A questi si aggiungono altri tipi come Euthynnus pelamis, con carni scure e di gusto amarognolo, quindi ben poco pregiate, o come Parathunnus obesus, anche questo di qualità inferiore. Bene, scatoletta alla mano vediamo di cosa si tratta!…
L’articolo prosegue con i risultati della campagna “Rompiscatole” di Greenpeace; con ulteriori consigli utili circa la scelta del corretto prodotto inscatolato, dal punto di vista del benessere alimentare e ambientale. Vengono analizzate quindi le ripercussioni in termini ambientali dell’intera filiera del tonno in scatole; e a corredo dell’articolo pubblichiamo un box informativo inerente la storia dello sfruttamento del tonno.
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