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Cari vegan, proviamo a contaminarci

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“Vi scrivo con molta rabbia dentro, dopo aver visto il numero di aprile 2012 di Terra Nuova con quella terribile pubblicità in terza di copertina. Un vero pugno allo stomaco”… Le lettere di Roberto e Anna.
Pubblicità rosso sangue
Sapevamo di accettare una grande sfida pubblicando la «pubblicità antispecista» riportata nella terza di copertina del numero di Aprile 2012. Dopo pochi giorni dall’uscita del numero, infatti, in redazione sono arrivate diverse telefonate e lettere di protesta. Ovviamente non era nostra intenzione ferire la sensibilità di alcuno, nétantomeno colpevolizzare chi lavoracon gli animali mettendo in primo piano il loro rispetto e la qualità deiprodotti ottenuti. Ci piace considerare Terra Nuova uno spazio aperto aquello che accade nel mondo reale.
Per questo ospitiamo pareri e pensieridiversi, spesso anche scomodi, ma cheriteniamo stimolanti per metterci indiscussione e aprire i nostri orizzonti mentali. Qui a lato, riportiamo due delle lettere più significative arrivate sull’argomento.
La lettera di Roberto
Soprattutto per chi, come me, da oltre dieci anni ha dedicato la propria vita per creare una fattoria dove, oltre a produrre latte biologico, da sempre gli animali hanno trovato condizioni di alimentazione sana, possibilità di pascolo e cure naturali. Sento molta rabbia verso quelle persone vegan che si rapportano a chi vegan non è con supponenza e disprezzo, dimenticandosi che senza letame non ci sarebbe agricoltura biologica e senza il nostro latte forse non avrebbero trovato di che alimentarsi da neonati. Per non parlare della funzione che soprattutto in montagna svolgono gli allevatori evitando che quei terreni ormai abbandonati da tutti e buoni solo per farci piste da sci rovinino la valle con le prime piogge.
Sono deluso anche della redazione di Terra Nuova, che ha accettato di pubblicare quella pubblicità che fa di ogni erba un fascio, senza distinguere chi alleva gli animali con amore e chi lo fa a livello industriale infischiandosene della qualità del latte e delle condizioni degli animali.
Mi piacerebbe che ci fosse più rispetto. La realtà è molto più ricca di sfumature. Continuare con le categorie semplicistiche dei «buoni» e dei «cattivi» serve solo a nutrire il proprio ego e a non fare i conti con le proprie responsabilità. Spesso mi chiedo se sia giusto allevare animali, modificare il loro ritmi di vita e le loro abitudini per i nostri bisogni. E ogni volta mi do risposte diverse. Dieci anni fa ho lasciato il mio lavoro in banca perché non ero d’accordo con l’istituto in cui lavoravo, che utilizzava parte dei risparmi della gente per investire nel commercio internazionale di armi. Forse, se avessi continuato a lavorare in banca, oggi nessun vegan avrebbe avuto da ridire sul mio lavoro.
Ma non vi sembra miope tutto questo? E quanti di coloro che si scagliano contro chi alleva gli animali possono dichiarare di svolgere un lavoro valido dal punto di vista etico? Io sono contentissimo della mia scelta e mi dispiace sentire tanto livore da chi si fa paladino dell’ideologia vegan, dimenticandosi che l’amore per gli animali affonda le radici nell’amore per la vita e quindi anche nel rispetto di chi la pensa diversamente. Finiamola con le ideologie, con le liste di buoni e cattivi. Guardiamoci negli occhi e prendiamoci per mano, con tutte le nostre differenze, i nostri limiti, le nostre incongruenze.
So che attraverso queste pagine posso parlare a uomini e donne che, seppur con modi diversi, aspirano a un mondo migliore, un mondo arcobaleno basato sul rispetto delle differenze. Invece di farci la guerra, proviamo a contaminarci. Non facciamo delle nostre scelte una nuova religione. Vi prego, ogni tanto assaggiate un po’ del mio taleggio… Da parte mia, mi impegno a esplorare con più regolarità le numerose leccornie vegan che trovo nel negozio bio dove porto i miei formaggi. Incontriamoci nella diversità.
La lettera di Anna
Cara redazione e cari colleghi lettori (mi permetto di rivolgermi a voi in questa maniera perché sento una certa affinità e quasi una familiarità con tutti coloro che «frequentano» questa rivista!), negli ultimi numeri ho seguito la discussione tra vegani e non, con varie lettere, tra cui quella del signor Gorlani, che condivido molto. Nel mio lavoro di cuoca di un piccolo rifugio in alta montagna, mi capita a volte di incontrare persone vegane. A dire il vero, cerchiamo di offrire anche un menu vegetariano, sebbene la logistica del rifugio, che è rifornito a spalle, sia difficile e faticosissima.
Ebbene, mi aspetterei che questa scelta netta di non violenza fosse accompagnata da un atteggiamento di apertura, tolleranza, quasi benevolenza o dolcezza nei confronti delle persone. Invece no. Mentre molti vegetariani sono persone estremamente tranquille e adattabili, la maggioranza (attenzione: non tutti!) dei vegani con cui mi trovo ad avere a che fare sono persone molto rigide e intolleranti. Mi colpisce sempre l’estrema violenza, anche verbale, di alcuni vegani. Ammiro molto una scelta così radicale, ma mi risento se il mio interlocutore tuona contro i ristoratori che «son tutti imbroglioni, scorretti, ti dicono che la minestra è fatta solo di verdure e invece ci mettono dentro di tutto!».
Ricordo una ragazza vegana, arrivata in rifugio una domenica di un dicembre di gran neve. Voleva una tazza d’acqua calda. Quando ci ha spiegato che era vegana, le abbiamo proposto la zuppa di ceci fatta in casa, ma l’ha rifiutata per pura diffidenza: pensava che potessimo imbrogliarla. Ho conservato la bustina che la ragazza aveva sciolto nell’acqua: tra gli ingredienti c’erano alghe giapponesi, frutta argentina e altro che non ricordo.
In ogni caso, quanto di meno sostenibile si possa immaginare. Dal mio punto di vista questa ragazza aveva poco rispetto per l’ambiente e grande disprezzo per il prossimo. Preferisco di gran lunga le mie zie contadine, che tirano il collo alle galline, ammazzano i capretti e non si comportano tanto bene nemmeno coi cani, ma non si permetterebbero mai di dire alla cuoca di una trattoria che la ritengono un’imbrogliona! Cari vegani, che non bevete il latte per non separare il vitello da sua madre, e non vestite indumenti di lana perché la tosatura spesso è fatta in maniera crudele, siete consapevoli che il pile con cui vi vestite è un prodotto derivato dal petrolio e viene lavorato in stabilimenti che con il loro cemento soffocano i vermicelli della terra? E le grosse petroliere che lo trasportano, non uccidono forse migliaia di pesciolini e plancton con le loro eliche?
Per non parlare del simpatico autore della rubrica «Opinioni di un vegan», a cui chiedo: dove è stato fabbricato il computer su cui scrive? Di lui apprezzo gli inviti alla sobrietà, ma non certo l’atteggiamento da saputello con cui critica i pastori
di pecore o propone al meccanico d’auto di comprare il pappagallino nella gabbia. È chiaro che di fronte a un atteggiamento del genere il meccanico si risente e dice al vegano di farsi i fatti suoi!
Ambientalismo e non violenza sono idee molto belle e credo sia difficile metterle in pratica con coerenza. Per questo motivo, è forse meglio accettare qualche incoerenza e qualche contraddizione, per fare in modo che la coerenza non diventi intolleranza, diffidenza e disprezzo per gli altri. Perché non cercare di educare con la gentilezza le persone affinché consumino meno carne, anziché impugnare le proprie convinzioni contro tutti e contro tutto, facendone un rifugio su cui sfogare nervosismi e scontentezza di varia natura?
Sono di famiglia contadina. Nella zona delle Alpi in cui vivo intere generazioni si sono sfamate a polenta e formaggio, separando i vitelli dalle vacche per poterle mungere e ammazzando i capretti per venderli a Pasqua e ottenere il latte dalle capre. La violenza contro le bestie è una delle facce – forse la meno presentabile, sono d’accordo – della cultura contadina da cui provengo, cultura che per altri versi, però, ha sempre praticato la sobrietà e l’amore per la terra. La scelta vegana mi sembra una scelta molto «cittadina», lontanissima dalla terra. Come si può dire a parole di amare la terra e poi fingere che non esistano, anche qui, aspetti di violenza e sopraffazione? La vita da contadini non è un telefilm! E tutta l’intransigenza che alcuni vegani mettono nel difendere gli animali, forse sarebbe meglio impiegarla per difendere gli esseri umani trattati, anche nella nostra civile Italia, come schiavi! Pensiamo ai migranti stivati nelle navi e nei camion, ai bambini venduti per chiedere l’elemosina e a tante altre situazioni purtroppo quotidiane.
Torno quindi alla mia domanda di prima: non è meglio educare con pazienza le persone alla non violenza, anziché aggredirle (verbalmente) perché si comportano in un modo che non condividiamo? Spero che questa mia riflessione tocchi il cuore di qualche vegano intollerante e faccia sorgere in loro qualche dubbio. Ovviamente, mi scuso con tutti i vegani tolleranti e amichevoli! Vi saluto caramente, Anna
Articolo tratto dalla rubrica ” Terra Nuova dei Lettori” pubblicata nel numero di Maggio 2012 del mensile Terra Nuova, disponibile sia nel formato cartaceo che eBook.

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