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Il carbone in Calabria: una valanga di no

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Gli svizzeri vogliono costruire una centrale a carbone a Saline Joniche nel territorio di Montebello, nella bellissima (ma vessatissima) Calabria.
La gente ha detto no, forte e chiaro. La popolazione si è raccolta in comitati e associazioni e ne è nato (e cresciuto) un coordinamento che a questo no alla centrale a carbone ha dato voce e forza. E “la voce dell’area grecanica, del basso jonio reggino e le ragioni del movimento che si oppone alla costruzione della centrale a carbone sono state portate fin dentro l’assemblea generale della Repower, che si è tenuta il 9 maggio scorso a Ilanz in Svizzera” spiega il movimento calabrese No al Carbone. A prendere la parola in assemblea è stato Paolo Catanoso, uno dei più impegnati animatori del Coordinamento delle Associazioni dell’Area Grecanica. “Il giovane melitese – spiega il movimento – si è espresso in qualità di azionista della società avendo acquistato da tempo una quota societaria, frutto del contributo volontario degli oppositori al progetto, per conto del Coordinamento allo scopo di mettere a conoscenza gli altri soci di Repower, della politica societaria poco limpida e incongruente che si sta attuando a Saline Joniche”. Il Coordinamento delle Associazioni dell’Area Grecanica nasce nell’agosto del 2007 in seguito alla diffusione della notizia relativa alla costruzione di una centrale a carbone da realizzarsi nell’area della ex Liquichimica a Saline, nel territorio di Montebello Ionico. Il progetto è della SEI S.p.a. (Saline Energie Ioniche, controllata della svizzera Repower)”. Progetto che peraltro è salito nuovamente alla ribalta nazionale con l’inchiesta condotta da Giovanni Tizian per Repubblica.it. Il numero dei presunti posti di lavoro che il progetto elvetico permetterebbe di creare è precipitato nel corso del tempo, passando da alcune migliaia fino a 300, ma anche su questo dato permangono i dubbi. “Dalla valutazione d’impatto ambientale, che il giornalista Tizian ha potuto esaminare – spiega il movimento – risulta che il numero di posti di lavoro che la centrale a carbone potrebbe creare, per stessa ammissione della SEI-Repower, ammonta a 140 unità. Peraltro la centrale non sarà dotata di un sistema di cattura e stoccaggio della CO2, tecnologia che comunque sta inanellando un fallimento dopo l’altro in tutto il mondo. L’inchiesta apre una parentesi anche sui comitati del sì, foraggiati dalla SEI-Repower. Nell’inchiesta sono presenti anche i poco citati, ma di fondamentale importanza, documenti del ministero dei Beni Culturali, il quale sostiene che: “La centrale non si può costruire perché sorgerebbe su un’area ricca di reperti dell’età ellenica”. Si parla anche di bergamotto che, con la sua rinascita di questi anni, gioca un ruolo importante nell’economia della zona. Per svilupparsi ha bisogno di un particolare microclima che verrebbe irrimediabilmente compromesso dalla costruzione di una centrale a carbone che spargerebbe veleni nell’aria. In gioco ci sono moltissimi posti di lavoro che ruotano attorno a questo tesoro della nostra terra. L’inchiesta, infine, punta l’attenzione sulla ‘ndrangheta”.

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