Quando l'agnello si traveste da lupo (senza rendersene conto)
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La scelta vegan è realmente la più etica?
Chi è vegetariano, scegliendo di non mangiare più carne e pesce, si sente spesso autorizzato a guardare dall’alto in basso tutti coloro che rappresentano il motore del perpetuo lavorio dei macelli. Ma come potrebbe giustificare la sua scelta di fronte a un vegano? Abbracciando quella che non è solo una dieta più rigida di quella latto-ovo vegetariana ma un vero e proprio stile di vita, il vegano rifiuta anche tutti i prodotti che derivano dallo sfruttamento e dalla sofferenza inflitta agli animali: latte, uova, miele, lana, seta, cuoio, cosmetici testati sugli animali e così via. Un tanto coerente impegno, messo in pratica per preservare il benessere degli altri esseri viventi, non può che essere fonte di orgoglio per chi ha intrapreso questa via. Orgoglio che si può tramutare però in cieca superbia… il passo è breve.
Parlando con molte persone vegane si può percepire come queste si sentano nel giusto, arrivate, autorizzate a riprendere e demonizzare l’atteggiamento di chi le circonda poiché pensano che solo il loro comportamento sia il più corretto in assoluto. Ma è realmente così? Si pensi a un fruttariano, una persona che ha scelto di nutrirsi di sola frutta rispettando così anche il diritto alla vita delle piante; potrebbe dare dell’assassino a un vegano se adottasse lo stesso metro di giudizio. I fedeli al giainismo (o Jainismo), oltre a essere rigorosamente vegetariani, seguono il principio della non-violenza, uno dei cinque giuramenti previsti da quest’antica religione, che viene attuato in tutti i loro pensieri, parole e azioni. Esistono alcuni giainisti che indossano maschere su bocca e naso per evitare ogni possibilità di respirare minuscoli insetti e persino l’acqua viene filtrata al fine di non ingerire involontariamente piccoli organismi.
Gli esempi annoverabili sono infiniti, potremmo salire i gradini di questa ipotetica scala della non-violenza senza mai vederne la vetta. Per quanto possiamo impegnarci a non nuocere al nostro prossimo, potremo solo fare del nostro meglio, a diversi livelli di consapevolezza, senza mai raggiungere una condizione perfettamente esemplare. Quando ci fermiamo nel nostro percorso, convinti di poter istruire chi è rimasto indietro, in realtà stiamo solo peccando di mancanza di umiltà e ci stiamo dimenticando che nel momento in cui smettiamo di imparare dagli altri – da tutti, indistintamente – smettiamo di crescere, di evolverci.
Da difensore ad aggressore
L’animalista che usa immagini cruente e adotta un atteggiamento inquisitore durante una manifestazione contro le pellicce, contro gli allevamenti intensivi e il relativo consumo di carne, contro la vivisezione o contro i circhi che fanno esibire animali, sta in realtà urlando ai passanti «tu sei il loro carnefice». Come può chi si sente incolpato di qualcosa di così grave avvicinarsi di buon grado al suo accusatore?
Chiunque si metterebbe sulla difensiva, la reazione più umanamente prevedibile che verrà innescata sarà la negazione della propria complicità in tali aberranti pratiche sanguinarie. L’informazione è necessaria, sia ben chiaro: le persone devono ricevere gli strumenti necessari per poter compiere una scelta cosciente. Ma converrete che solo se questa viene fornita da una posizione aperta si creeranno le basi per instaurare uno scambio proficuo. Diversamente l’informazione sarà viziata dal giudizio, il messaggio andrà quasi sempre perso.
Non siamo nati vegan
Non dobbiamo dimenticare chi eravamo, che siamo arrivati dove siamo solo grazie a un’opportunità che ci è stata offerta. Nessuno di noi, salvo rari casi, è nato vegetariano o vegano. Chi ha fatto questa scelta l’ha fatta in tempi e modi diversi. Quindi come possiamo permetterci di demonizzare chi attende di ricevere lo stesso «aiuto» che è stato regalato a noi? Contraccambiare il dono che ci è stato fatto è il modo migliore di ringraziare per questo deliberato gesto dell’esistenza. Come ci insegnano i saggi, dobbiamo lavorare su noi stessi, fare tesoro di tutto ciò di cui veniamo a conoscenza durante il nostro percorso di vita e successivamente donarlo agli altri, condividerlo senza imporlo come una verità assoluta ma solo come il nostro umile contributo all’esistenza.
Atteggiamento positivo
Mettendo a disposizione la nostra esperienza, senza frapporre pregiudizi e opinioni, possiamo avvicinare molte persone che fino a quel momento, forse, non si erano mai poste domande sul consumo della carne e su tutti i problemi a esso correlati come l’allevamento intensivo, le ripercussioni sulla salute umana, l’inquinamento, la deforestazione, la fame nel mondo. Un atteggiamento propositivo e positivo permetterà senz’altro di diffondere in maniera più efficace il messaggio che deve essere in primis, non dimentichiamolo, un messaggio d’amore per la vita. Non si può sensibilizzare il cuore delle persone alla vita facendo vedere loro solo immagini di morte.
Condivisione di un seme
Immaginiamo la nostra personale testimonianza come se fosse un seme carico di sprizzante energia vitale. Sarà questa prospettiva che ci imporrà di adottare la premura necessaria per un tale onorevole compito. Possiamo spargere i semi che abbiamo raccolto sul nostro sentiero e che abbiamo conservato con tanta cura, ma solo se le menti che li accoglieranno saranno fertili questi semi potranno germogliare rigogliosi. Sarà vano accanirsi, inveire, imporsi con le minacce. Solo la comprensione, la cura e l’apertura creano quel particolare humus necessario a far sbocciare nuove menti.
Articolo tratto dal mensile Terra Nuova – Giugno 2011 in vendita anche nella versione eBook.
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