Dal capitolo “Un anno nella vita di un contadino” vi presentiamo il passo dedicato al mese di aprile, tratto da “Il libro di Pietro”, Terra Nuova Edizioni.
Sarà, ma c’era tanto lavoro da fare che non c’era tempo di guardare i fiori. In aprile si finiva di seminare e di potare. Si seminava anche la verdura nell’orto, le cipolle, il cavolo nero, gli agli e i pomodori. Si seminava anche l’insalata, ma se ne mangiava meno a quei tempi, perché per condire l’insalata occorre l’olio di oliva e di quello bisognava contare ogni goccia. Si legavano le viti, che già cominciavano a piangere, cioè saliva la linfa e formava una goccia su ogni tralcio tagliato. Poco dopo sugli olivi cominciavano a formarsi i “mignoli”. Questi in seguito divengono piccoli fiori giallo-verdi e quando cascano i petali in giugno appaiono le olive piccole piccole. È importante che ci siano tanti mignoli in aprile, perché:
“Se mignola d’aprile
Vacci col barile;
Se mignola di maggio
Giusto per l’assaggio;
Se mignola di giugno
Vacci con il pugno”
In aprile bisognava cominciare a zappare, zappare, zappare. In primavera cresceva tutto quello che avevi seminato, ma crescevano anche le erbacce e bisognava entrare nelle vigne a levarle con la zappa. Bisognava anche levarle intorno ai tronchi degli olivi, e dappertutto dove avevi seminato la roba, perché le erbacce sono diavoli e se cominciano a prendere il sopravvento non le fermi più, è una guerra continua e non sei mai sicuro di vincere. Zappare era un lavoro che non piaceva a nessuno, perché dopo qualche ora venivano dei calli anche alle mani più dure e ti doleva la schiena perché bisognava stare sempre chinati. Però dovevi zappare, zappare, zappare, altrimenti quelle maledette erbacce soffocavano ogni cosa che avevi seminato.
A proposito di zappare mi viene in mente una storia vera. C’era un contadino che fu chiamato a fare la leva. Lui stava in coda e sentiva l’ufficiale che chiedeva agli altri qual era la loro occupazione. Davanti a lui uno disse: “Faccio lo stenografo” e un altro: “Faccio il tipografo”. Quando toccò al nostro amico lui non voleva essere da meno, allora disse: “Faccio lo zappilografo!”. E non capì perché tutti si misero a ridere. Anch’io sono zappilografo. Quando avevo diciotto anni mi chiamarono a fare il militare anche a me. Ero contento perché intanto la guerra era finita e pensavo che sarebbe stato interessante allontanarmi da casa e fare un altro mestiere. Invece non mi accettarono perché avevo una piccola ernia. Allora mi toccò tornare a zappare.
In aprile cominciavamo a occuparci dei bachi da seta, perché il gelso cominciava a mettere la foglia e loro si nutrono di quelle foglie lì. Il padrone ci dava le uova, le comprava alla farmacia dove le vendevano a once e le donne le tenevano in seno avvolte in panni per far nascere i bruchini. Questi poi si mettevano su dei “castelli”, cioè una specie di impalcatura fatta di stuoie, si tenevano in tre delle stanze al primo piano e ogni giorno li governavamo con le foglie di gelso pelate dall’albero.
Piano piano crescevano e quando era il momento bisognava “mandarli al bosco”: si mettevano delle scope ritte contro il muro, per incoraggiare i bruchini a salire su e farci il bozzolo, che era grande come una nocciolina americana. Questi bozzoli si portavano al mercato di Montevarchi per venderli, ma non si guadagnava granché, perché bisognava dare la metà dei guadagni al padrone.
In aprile piove spesso e poi torna il sole: si dice “Aprile, quando piange e quando ride”. Con il tempo in questo modo nascono facilmente i parassiti, come per esempio la peronospora, quella fa più paura di tutti. Allora si doveva cominciare a dare “l’acquetta” alle viti. Si riempiva un fusto di acqua e ci si mettevano dentro delle zolle di solfato di rame con un po’ di calcina bianca. Si rimestava tutto per fare un liquido omogeneo. Poi si versava dentro una ‘macchina dell’acquetta’, ci si metteva sul groppone e si camminava su e giù per i filari spruzzando le viti agendo su una pompa a mano. Questa cigolava, allora se qualcuno stava dando l’acqua era facile trovarlo nei campi anche se stava lontano. Bisognava dare l’acquetta anche agli olivi, se no avrebbero avuto parassiti anche loro, come la fuliggine e l’occhio di pavone. Era un lavoro faticoso, perché bisognava riempire la macchina di continuo e poi si doveva farlo tre o quattro volte l’anno, anche di più se il tempo era caldo e umido. Ora fanno lo stesso lavoro con un trattore e così risparmiano tanta fatica.