In questo giorno di Pasqua, vi proponiamo una storia di pace e amore, quella del piccolo Emilio-Giovanni, un bufalo abbandonato, curato e coccolato… ora felice.
Il piccolo Emilio-Giovanni
Sono una veterinaria. Ho sempre voluto fare questo mestiere per i cosiddetti “animali da reddito”. Mi piaceva la vita in campagna, mi piacevano i contadini, la loro vita semplice e in diretto rapporto con la natura: la stessa vita che avevo avuto io da bambina. Il primo colpo lo incassai durante il tirocinio al macello. Era un mattatoio piccolo, nel Sud della Germania. Non arrivavano molti maiali ma ogni giorno ne giungevano, in media, una trentina già morti, non sopravvissuti al trasporto. Infarto. Erano i più fortunati. Non dovevano vedere e sentire ciò che li attendeva all’arrivo. Per quelli arrivati vivi il mattatoio era lo strazio finale.
Poi ho lavorato in varie aziende agricole. Maiali stipati nella stessa stalla, sul cemento, che si morsicavano in continuazione, con code e orecchie ferite e sempre sanguinanti. Vitelli perennemente al buio, vacche immobilizzate alla catena e polli pressati nelle gabbie. Non riuscivo più a dormire la notte. Non potevo continuare a lavorare. Ho abbandonato questo mestiere e, insieme, l’appetito per la carne.
Continuavo, però, a mangiare formaggio, latticini e a bere latte. Non so perché. Come avevo potuto dimenticare (o far finta di dimenticare) le sofferenze degli animali da reddito? Eppure avevo dimenticato; ho dimenticato per 22 anni, fino a quando Emilio-Giovanni incrociò la mia strada. Quarantacinque chili di miseria, una macchia grande e nera sulla strada che porta a casa mia. In un primo momento pensai ad un grosso cane abbandonato. Non è stato facile metterlo in auto e fornire i primi soccorsi. Aveva la febbre alta e un raffreddore fortissimo. Si rifiutava di mangiare, forse si rifiutava di vivere. Ma ce l’abbiamo fatta. Facendo la “mamma bufala” ho finalmente capito. Emilio-Giovanni non voleva la bottiglia del latte, cercava sempre e con insistenza la vicinanza del corpo, il calore, le carezze. Aveva bisogno di una mamma per poter vivere, prima ancora che del latte.
Ho capito solo in quel momento che per 22 anni avevo chiuso gli occhi e il cuore. Non uccidevo gli animali per mangiarli, ma partecipavo comunque ad un’assurda crudeltà. Per poter produrre latte e latticini era inevitabile dover far nascere vitelli che, dalla nascita fino alla vicina morte, sarebbero inesorabilmente stati condannati a soffrire. Emilio-Giovanni è stato fortunato, non ha fatto la fine dei suoi fratellini che ogni anno nascono e muoiono in modo strano nel casertano.
In questa zona si trovano spesso i corpi abbandonati dei piccoli bufali. Quelli che non muoiono disseminati in campagna (forse costa troppo “smaltirli” regolarmente), muoiono negli allevamenti che producono latte. Poco cambia per loro.
Dopo Emilio-Giovanni, ho trovato Simone-Matteo. In tutto ho raccolto e mi hanno portato 15 bufalini, di cui solo 4 sono sopravvissuti.
Oggi vivono insieme in un recinto fatto con il guard-rail delle autostrade. Emilio-Giovanni è indubbiamente il capobranco. È il più forte e grosso (600 kg circa) ed essendo il primo arrivato fa da fratello maggiore agli altri. Quando mi avvicino al recinto i bufali mi corrono incontro festosi, come si corre incontro all’amica del cuore. La superproduzione di proteina animale in Europa si è spinta troppo oltre. Dobbiamo tornare ad un’agricoltura più umana, sana, civile e rispettosa degli animali, uomo compreso. Deve iniziare un processo di riflessione, un cambiamento dei valori. Io ho scelto, non devo più vivere con una bugia. Sto benissimo. Ho l’energia di sempre, anzi, forse di più. Senza carne, senza latte, senza latticini.
Grazie Emilio-Giovanni.
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