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Pescatori di alghe

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Dalla Bretagna ai mercatini del biologico: l’insolita esperienza di due raccoglitori di alghe.
Da qualche anno pratichiamo la raccolta delle alghe. Le andiamo a cercare nelle acque della Manica, in Bretagna. Lassù il mare è stupendo e per la sua purezza ricorda le nostre Alpi, le nostre rocce, la nostra aria: ci sentiamo quasi a casa. Il viaggio è lungo ma piacevole, in genere facciamo numerose soste, per godercelo meglio. Di solito ci andiamo d’estate, il mare è sempre freddissimo, ma almeno il clima è più mite.

Una pagina di Hemingway
Nel nord pioviggina spesso e anche d’estate s’intercalano giornate nuvolose con quelle di sole e vento. C’è una luminosità particolare e fa luce quasi fino a mezzanotte: che splendidi tramonti, all’imbrunire. I prati sono sempre verdissimi e il cielo si specchia nel mare; le onde bianche e schiumose lambiscono splendidi fari di pietra e dividono il verde dal blu. La mattina, dopo una bella colazione, prendiamo il largo per cercare le alghe. È un universo immenso: ve ne sono oltre ottocento specie, ognuna con proprietà nutrizionali e terapeutiche diverse.

Noi ne raccogliamo solo una dozzina di varietà, quelle che conosciamo bene: le laminarie (Kombu), le porfirie (Nori), gli spaghetti o fagiolini di mare simili alle Izichi, le alghe adatte per preparare gelatine e budini e quelle da mangiare crude o appena scottate, le lattughe (ricche di calcio) e quelle rosse (Dulse) ricche di sali, ferro e vitamine.

Le raccogliamo nella profondità del mare, aiutandoci con un arpione e un coltello, per poi caricarle sulla barca. Le alghe laminarie (Kombu) sono molto ambite dalle multinazionali del cibo, che le raccolgono con speciali imbarcazioni. Pescano sul fondo marino con un enorme scoubidou che ruota vorticosamente tra i banchi di alghe, strappandole dalle rocce: ad ogni arpionata, quintali di verdure di mare vengono strappate via, una pratica che danneggia gravemente i fondali e altera flora e fauna marina.

Una volta raccolte, le alghe vengono avviate agli stabilimenti industriali per ottenere la farina di alginato, destinata in gran parte all’industria alimentare (gelati, carne in gelatina, prodotti da forno, budini e dolci in generale) e a quella cosmetica (creme per il corpo e il viso, gel, shampoo ecc.). In realtà, nonostante l’esasperata tecnologia, la raccolta di alghe si riduce drasticamente anno dopo anno. La ragione è molto semplice: un’alga impiega svariati anni per formare quei lunghi filamenti che noi ben conosciamo, mentre la capacità di raccolta delle navi cresce ogni giorno di più, con il rischio di un graduale impoverimento della flora algale.

L’essiccazione
Ma torniamo al nostro lavoro. Dopo la raccolta, torniamo a riva, carichiamo le alghe sull’auto e pazientemente, tempo permettendo, le stendiamo ad asciugare al sole e al vento, che qui in Bretagna non manca mai. Poi prima dell’imbrunire le ritiriamo al coperto per evitare che esse si ridratino con l’umidità della notte.
È pesante lavorare con le alghe: i primi anni ci spingevamo nel mare a piedi durante la bassa marea, col vento sferzante che fischiava nelle orecchie. Quando il sacco era pieno, lo caricavamo sulla schiena e tornavamo a riva con l’acqua che ci grondava addosso. Cento chili di alghe fresche, una volta essiccate si riducono a meno di dieci chili. Per raccoglierle bisogna fare in fretta, perché la marea sale su velocemente come un cavallo al galoppo e c’è il rischio di incespicare nelle piante. La corrente della Manica è fortissima e un corpo umano non può rimanere a bagno nell’acqua fredda per più di mezz’ora.

Le alghe si raccolgono vive, recidendole alla base della radice con un coltello. Quelle morte, che si trovano ovunque sulla spiaggia spinte dalla risacca e cotte dal sole, servono solamente come ottimo concime per gli orti. Dove raccogliamo le alghe l’acqua è pulitissima e il fondo appare nitido fino a parecchi metri di profondità; in genere scegliamo gli specchi d’acqua in prossimità degli stabilimenti termali di talassoterapia, in modo da poter consultare le analisi batteriologiche e chimiche dell’acqua. Per scelta, così come la raccolta, anche la vendita è praticata in modo artigianale. Preferiamo vendere le alghe direttamente. Una volta secche le portiamo nei vari mercatini biologici come quello della Fierucola del pane di Firenze, dove fanno bella mostra sul nostro banco.

Le proprietà nutrizionali
Le alghe selvatiche raccolte a mano e seccate all’aria sono di buona qualità, più tenere e saporite di quelle coltivate; sono ricche di sali minerali e oligoelementi e in più trattengono i metalli pesanti e li espellono dall’organismo, liberandoci dalle tossine. Per questo motivo è bene metterne anche un piccolo pezzetto ovunque nei cibi. Con la cottura l’alga si scioglie senza perdere le proprietà, è insapore e arricchisce i piatti di minerali che non potremmo trovare in tali quantità in altri alimenti.

Cannoli siciliani di alghe
Io sono un buongustaio e spesso mi faccio una bella zuppa di Nori o Kombu: soffriggo l’aglio e la cipolla, aggiungo le carote tagliate fini e poi le alghe con timo, rosmarino, cumino – erbe tanto care alla cucina ayurvedica. Infine condisco il tutto con un po’ di buon olio e tamari. Le alghe sono versatili e si possono cucinare con qualsiasi tipo di alimento. Una mia amica inzuppa le Kombu Rojal, quelle dotate di una lamina più larga, nello sciroppo d’acero o malto o miele; poi le arrotola farcendole di semi, nocciole, uvette, riso, creando degli splendidi cannoli siciliani! Insomma, con un po’ d’inventiva, si possono utilizzare le alghe per preparare piatti gustosi e salutari.
 

Articolo tratto dal numero arretrato di Terra Nuova Settembre 2004

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