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Il ritorno della trazione animale

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L’utilizzo della trazione animale oggi non è più sinonimo di ritorno al passato, ma rappresenta una proposta concreta per creare un’agricoltura sostenibile in vista della fine del petrolio.
Una delle verità di base dell’agricoltura sostenibile è che, pur essendoci dei principi generali, i dettagli cambiano da luogo a luogo e, col passare del tempo, anche nello stesso luogo. Per diversi anni ho coltivato ortaggi biologici nel Nord Est degli Stati Uniti e mi sono fatto una buona idea degli elementi che costituiscono un’agricoltura sostenibile in quel contesto, ma ora che sono andato a vivere in Liguria, una gran parte di quello che ho imparato si è dimostrato irrilevante e impraticabile. Ora sto cercando quindi di capire cosa possa costituire un’agricoltura sostenibile in Liguria e, per estensione, in Italia…
Controcorrente rispetto ai paradigmi dell’agricoltura industriale c’è un gruppo di persone, piccolo ma in continua crescita, che fa ritorno alla terra per ragioni ecologiche, filosofiche, sociali. Questa gente, per i suoi progetti, il più delle volte sceglie una zona marginale, soprattutto perché questa è spesso l’unica terra disponibile e ad un prezzo accessibile. Allora lentamente la terra e i paesi abbandonati d’Italia si stanno ripopolando con un nuovo tipo di contadino, il quale è mosso sia da ragioni ecologico-sociali, che da bisogni economici. Quindi questo ritorno alle zone marginali porta con sé un ritorno alla diversità, quale fondamento di sostenibilità.
Questo ritorno al margine, alla diversità agricola, è alla radice dell’agricoltura italiana e implica il ritorno all’uso della trazione animale. L’uso di cavalli, muli, asini, buoi era comune in Italia fino a poco tempo fa, e ci sono forti ragioni ecologiche, economiche e filosofiche per il loro ritorno ai prati, ai campi, ai boschi, alle mulattiere.
Molte delle ragioni ecologiche sono ovvie: un minor compattamento della terra, un sistema chiuso (mangime prodotto all’interno della fattoria per gli animali che lavorano nella stessa), una forte riduzione delle emissioni di gas serra, una fonte di fertilità dal letame degli animali e una più ampia varietà di ecosistemi nella fattoria (per dettagli vedi «Trazione animale: per
un’agricoltura senza petrolio», Terra Nuova di maggio 2008, pag. 38). Tenendo conto della fine prossima del petrolio, ci sono tuttavia alcune ragioni spesso sottovalutate, che forse sono le più importanti.
Misuriamo la sostenibilità
Il fattore EROEI, ovvero Energy Returned On Energy Invested (letteralmente «Energia di ritorno da energia investita») è uno strumento molto importante per misurare la sostenibilità di una fonte energetica. Esso indica quanta energia è richiesta per produrre un’altra unità di energia. Per esempio, per estrarre sessanta barili di petrolio in buone condizioni può essere necessario un barile di petrolio; allora questo petrolio ha un EROEI di 60:1. L’agricoltura industriale, invece, produce una caloria di cibo ogni dieci calorie di energia usate, cioè un EROEI negativo di 1:10.
Questo è ovviamente insostenibile perché non è possibile continuare ad usare all’infinito più energia di quella che si produce: sostanzialmente stiamo mangiando petrolio. L’agricoltura sostenibile deve produrre più energia in forma di cibo rispetto all’energia impiegata per la sua coltivazione (il sole non è incluso come energia investita nel calcolo EROEI). In effetti, prima dell’arrivo dei combustibili fossili era così, poiché l’agricoltura era basata sull’energia solare, che produceva un surplus di energia in forma di cibo e quindi aveva un EROEI positivo.
Mentre è difficile trovare dati sull’EROEI della trazione animale, sappiamo che in termini di energia usata per ogni unità di energia prodotta, la differenza fra cibo prodotto meccanicamente e cibo prodotto a mano è enorme, forse neanche paragonabile. Sappiamo anche che gli animali da lavoro usano energia in modo molto più efficiente dei trattori: un trattore al massimo converte in lavoro utile solo il 6% dell’energia consumata, mentre un cavallo da lavoro ne converte almeno il 20%2. In un mondo dove c’è sempre meno energia non possiamo più sprecare risorse preziose in macchine inefficienti. Senza il surplus di energia che i combustibili ci hanno dato dovremo reimparare a produrre cibo con un EROEI positivo. In sostanza, non possiamo più contare sull’energia del passato per produrre il cibo di oggi.
L’uso di muli e asini
Particolarmente in un paese come l’Italia, dove una percentuale così alta del terreno coltivabile non è adatto ai trattori, c’è un’opportunità e anche un bisogno urgente di reintrodurre in agricoltura gli animali da lavoro. In Francia esiste già un numero significativo di piccoli contadini che sta lavorando con animali da trazione, spesso nelle vigne e nelle coltivazioni di ortaggi. L’Associazione Prommata dal 1991 promuove la trazione animale in Francia e nel resto del mondo, attraverso la produzione degli attrezzi necessari e la formazione per il loro utilizzo. La missione di questa associazione è quella di sviluppare un’agricoltura sostenibile, facendo in modo che i contadini abbiano la possibilità di lavorare su piccole superfici di terreno raggiungendo l’indipendenza energetica e l’autonomia economica senza accumulare debiti, valorizzando al contempo le zone marginali senza inquinare, con una produzione diversificata di cibo di qualità adatto alla vendita diretta.
Prommata ha un rappresentante anche in Italia: è Marco Spinello, che conduce corsi di formazione sulla trazione animale con muli e asini. Marco insiste nel dire che la trazione animale è sia ecologica che economica e che, se così non fosse, in fondo non sarebbe sostenibile. Tra le buone ragioni economiche ci sono il risparmio di combustibili, il risparmio sui costi di manutenzione e riparazione dei trattori, oltre che il risparmio sull’acquisto di concime, la possibilità di guadagnare dalla vendita dei puledri e la possibilità di rendere produttive terre che normalmente non lo sarebbero usando il trattore. Questi benefici sono più facilmente realizzabili in piccole fattorie che praticano un sistema di agricoltura chiuso o quasi chiuso con una produzione diversificata – esattamente quello che le zone marginali d’Italia richiedono.
L’esperienza di Torri Superiore
Presso l’ecovillaggio di Torri Superiore, nel ponente ligure, con l’aiuto di Marco la comunità ha cominciato ad usare i suoi due asini negli uliveti, negli orti e nelle vigne. Tutta la terra è terrazzata e per gran parte non accessibile al trattore. Gli asini vengono usati per lavorare la terra dell’orto e della vigna, per portare carichi e arare sotto gli ulivi, per permettere la semina a sovescio e migliorare il foraggio. In più gli asini, pascolando sotto gli ulivi, sollevano gli agricoltori dal compito di tagliare l’erba per la raccolta delle olive e il loro letame viene compostato e usato come concime per le piante. Daniel Von Düffel, uno degli agricoltori a Torri Superiore, ci racconta: «prima di avere gli asini non potevamo pensare di seminare a sovescio negli uliveti e abbiamo dovuto comprare tutto il concime.Adesso ci stiamo avvicinando al sistema chiuso e le nostre spese si stanno abbassando. Inoltre ai nostri bambini piaccionomolto gli asini e molti dei residenti del paese vicino sono contenti di assistere al ritorno nel villaggio di questi animali, che ricordano il loro passato».
Mentre all’inizio questa scelta potrebbe rivelarsi difficile per chi non ha esperienze precedenti con cavalli o asini, Marco sostiene che, con l’animale giusto e la relazione giusta, la capacità di svolgere mansioni base può essere appresa abbastanza velocemente. Nei suoi corsi sottolinea spesso l’importanza di passare più tempo possibile col proprio animale, per costruire una relazione di fiducia e familiarità. Diversamente dal trattore, gli animali richiedono un impegno sia in termini di tempo che di cure, anche quando non lavorano.
Uno dei principi generali dell’agricoltura sostenibile, in qualsiasi parte del mondo, è che dovrebbe essere sostenibile non solo dal punto di vista ecologico, ma anche sociale: deve avere un significato per quelli che la praticano e ispirare quelli che se ne nutrono. Questo però richiede un impegno con un luogo, uno stile di vita e un insieme di valori che oggi è abbastanza raro. Tuttavia per riprendere l’antica tradizione agricola italiana e creare un’agricoltura veramente permanente, questo impegno è necessario. Forse il lavoro con animali nelle zone marginali, con il suo implicito rigetto della cultura della velocità, del profitto e del consumismo, è un buon punto di partenza. E forse qua, in questo piccolo angolo della Liguria, ho cominciato a capire alcuni degli aspetti della futura agricoltura ligure, e due di questi sono i nostri asini. 
Articolo tratto dal numero arretrato del mensile Terra Nuova Febbraio 2010, dispobile su www.terranuovalibri.it come eBook.

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