Carta… in cacca di elefante
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La risposta che cercavo è già lì sul sito inglese, bella e pronta ad aspettarmi: «Lo sterco viene sottoposto ad un processo di bollitura per un giorno intero e il prodotto finale viene ritenuto igienico con tanto di certificato dall’Istituto nazionale della Ricerca Scientifica di Ceylon». Il prodotto, oltre ad essere ecologico e grazioso, è dunque igienico e sano.
A questo punto rimangono solo alcune perplessità da risolvere. Qual è il valore aggiunto nell’impiego di sterco animale? Perché costringere persone indigene a maneggiare della cacca di pachiderma? Tutto questo per ottenere i nostri simpatici diari da comodino? Cerco qualche informazione in più e contatto Vagamondi, la cooperativa sociale di Modena che si occupa del progetto.
Erica Ceffa, presidente della cooperativa che dal 2003 è attiva con un progetto di sostegno nello Sri Lanka, mi dà la notizia più rassicurante, capace di farmi cambiare definitivamente idea: lo sterco di elefante non puzza! Ribadisce poi che la carta è spessa e gradevole al tatto, igienicamente sicura e inodore, ma ci tiene a precisare che anche la materia prima, lo sterco di pachiderma, è praticamente inodore, perché non ha il tempo di fermentare nella pancia dell’animale.
«L’elefante mangia di continuo rami, foglie e sterpaglie ed ha una digestione velocissima» precisa Erica. «Praticamente compie solo la prima fase di sbriciolamento delle fibre. Il suo sterco assomiglia ad un gomitolo di rametti di paglia impastata, che viene poi raccolto, bollito e disinfettato
con un’alga naturale, e sottoposto a colorazione con gli stessi pigmenti che vengono utilizzati dall’industria alimentare».
Da quattro anni a questa parte Vagamondi è entrata in contatto con l’azienda locale produttrice «Maximus» ed è importatore ufficiale di Dung Paper, la carta realizzata dalle fibre della cacca di elefante, con cui si producono oggetti di cartotecnica di pregio. Quaderni, album, rubriche, scatole per matite, fogli cartonati, buste, biglietti di invito, addirittura cornici dal design accattivante.
La cooperativa modenese importa oggi questo tipo di carta e i prodotti di cartoleria già lavorati, occupandosi poi della distribuzione presso le botteghe del commercio equo e solidale.
La Dung Paper però, forse proprio per il suo alto valore simbolico dirompente, ha saputo anche conquistare aziende fuori dal circuito. Erica fa l’esempio una ditta del Trentino che fa maglioni in Cashmere e la utilizza per i cartellini con le etichette.
Stessa scelta anche da parte di una cooperativa di Arezzo, che utilizza il prodotto made in Sri Lanka per i propri biglietti di auguri…..
La versione completa dell’articolo “Carta… in cacca di elefante“di Gabriele Bindi è disponibile nel numero di Novembre 2009 di Terra Nuova.
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