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La lobby del nucleare alla carica! Tanto paghiamo noi…

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La lobby del nucleare alla carica, dopo il sì di Scajola-Berlusconi, Sarkozy ci prova con la Merkel, malgrado l’incidente in Slovenia. Il Portogallo è più coraggioso: più vantaggi con le rinnovabili
Il Ministro Scajola ha annunciato ai colleghi del G8 in Giappone che l’Italia (quale Italia?) ha cambiato posizione sul nucleare, opzione sulla quale il nuovo governo italiano ha deciso di investire nel prossimo periodo. “Porremo la prima pietra per la costruzione di un gruppo di centrali di nuova generazione” ha dichiarato.

Nel frattempo abbiamo saputo dell’incidente nucleare in Slovenia a soli 130 Km da Trieste. Un duro colpo per i nuovi fanatici dell’atomo, che rischiava di porre all’attenzione generale la domanda di sempre: il nucleare potrà mai essere sicuro? L’allarme sembra rientrato (con qualche perplessita del governo austriaco sulle procedure di allarme), la notizia è scomparsa rapidamente dai media, e i lobbisti tornano alla carica.

Eccolo dunque Sarkozy che cerca di seminare zizzania in Germania, flirtando con la Merkel sul nucleare, visibilmente imbarazzata. La coalizione di cui fa parte la cancelliera tedesca, infatti, si è impegnata ad uscire dal nucleare entro il 2021, in ottemperanza all’opinione pubblica nazionale. Lei però un pensierino ce lo farebbe…

Ma chi finanzierà il nucleare? Siamo sicuri che conviene? Una vera economia di mercato, secondo molti esperti, l’avrebbe già spazzato via da tempo, perché gli investitori non si trovano. E allora nel nuovo assetto mondiale, liberista di giorno e statalista di notte, appurato che la tecnologia nucleare economicamente non si regge sulle proprie gambe, risulta chiaro che a pagare sarà
il pubblico. Non a caso lo stesso Scajola al summit dei G8 ha richiamato l’esigenza che il
Fondo per le Tecnologie Pulite (Clean Technology Fund) proposto da Usa,
Giappone e Regno Unito sia aperto anche al settore privato.

Da questo panorama internazionale nuclearista si distanzia clamorosamente il Portogallo. Ecco le parole del Ministro dell’Economia Manuel Pinho: “il nucleare non è una priorità. Dobbiamo ridurre la dipendenza da petrolio e gas, il costo dell’inazione è altissimo, e non possiamo aspettare il nucleare di quarta generazione. Chi si posiziona nella nuova rivoluzione industriale delle energie rinnovabili ha enormi vantaggi in termini di innovazione, investimenti e nuovi posti di lavoro. La lezione che ho tratto è che queste cose possono avvenire più rapidamente di quanto noi immaginiamo”.

Eolico, solare, energia dal mare, importanti investimenti che il Portogallo si appresta a realizzare candidandosi al podio europeo delle fonti pulite.
Entro il 2020 il Portogallo si è prefisso di ottenere da fonti pulite ben il 31% della sua energia primaria. Questo significa che per l’elettricità il paese dovrà incrementare la quota da rinnovabili dal 20% del 2005 fino al 60% nel 2020. Obiettivi che candidano il paese, che ha già raggiunto le quote fissate per il 2010, al podio europeo per le rinnovabili, che per ora vede sui gradini più alti Svezia, Lituania e Finlandia. In meno di tre anni il Portogallo ha infatti triplicato la sua potenza idroelettrica, quadruplicato quella eolica e sta investendo massicciamente nel fotovoltaico e negli impianti per ricavare energia dal mare.

Una politica energetica che ha anche notevoli ricadute economiche. Incoraggiate da prezzi per l’energia pulita incentivati a lungo termine e da una burocrazia relativamente snella, le industrie delle rinnovabili stanno investendo in Portogallo cifre importanti. Per il 2010 – riporta il Guardian – il paese si aspetta l’arrivo di capitali per 12 miliardi di euro e 10 volte tanto per il 2020. Investimenti che già hanno dato vita a filiere industriali integrate. Nel nord del paese, ad esempio, vicino alla più grande centrale eolica del mondo, si è stabilita un’azienda tedesca che costruisce circa 600 rotori per turbine eoliche all’anno, destinate sia al mercato nazionale che a quello estero e che impiega più di 1.200 persone, di cui la metà sono operai provenienti dal settore tessile in declino.

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