«Quanto costa? Quello che puoi dare, in libertà»: gli ecovillaggi e, in generale, le comunità intenzionali, sono uno dei contesti in cui lavoro e denaro vengono vissuti in modo non convenzionale, sperimentando nuove forme di economia. L’intervento di Simona Gigliotti, antropologa e counselor.
“Eppur si dona” afferma l’antropologo Marco Aime nell’introduzione al Saggio sul dono del famoso Marcel Mauss. Si dona anche in Occidente, nella società del capitalismo, in cui la cultura dominante tende a mercificare quasi tutto, in cui solitamente non si dà niente per niente. Aime ci ricorda che anche nella società occidentale esistono forme di gratuità, come il volontariato ad esempio, solo che spesso non ce ne rendiamo conto, oppure non le conosciamo.
Gli ecovillaggi e, in generale, le comunità intenzionali, sono uno di questi contesti in cui lavoro e denaro vengono vissuti in modo non convenzionale, sperimentando nuove forme di economia. Si regala il proprio tempo, il proprio talento o una pratica, senza aspettarsi necessariamente qualcosa in cambio. Ci sono comunità e comuni, come Tempo di Vivere, Bagnaia e altre, dove i soldi e i beni sono messi completamente in comune andando oltre la proprietà privata.
Ci sono realtà, come la Comunità Piumana, che concepiscono l’economia del dono, come un superamento del concetto di prezzo e remunerazione. I Piumani sono una comunità sparsa, costituita da oltre un centinaio di persone dislocate sul territorio italiano. Il gruppo nasce circa nove anni fa in seno ai raduni della RIVE (Rete Italiana Villaggi Ecologici) per poi proseguire in autonomia. I Piumani organizzano ritiri di alcune giornate, aperti a chi vuole sperimentare una modalità di vita comunitaria ad alta affettività. A chi partecipa alle loro attività, viene chiesto sempre e soltanto un libero contributo, mai un costo fisso, anche per vitto e alloggio. Chi offre i propri talenti li condivide senza chiedere un ritorno economico. Quando c’è abbondanza di entrate, una parte di queste vengono redistribuite tra chi ha messo energia nel movimento, ma senza alcun criterio di proporzionalità con le ore lavorate. “Semplicemente ognuno prende quello che vuole, in un rituale dell’abbondanza e del dono, che lascia in ognuno la sensazione di avere donato e ricevuto doni, e non ha, finora, mai generato un senso di iniquità in nessuno” afferma Majid, uno dei fondatori del movimento. “Quando proponiamo i nostri campi, ognuno mette quello che vuole. Non chiediamo caparra, né una copertura delle spese fisse che sappiamo di dover affrontare. Questo dà modo a tutti di poter partecipare perché, chi ha di più, alla fine va a compensare chi può dare poco o nulla. Non vogliamo infatti che l’economia diventi una barriera o un motivo di esclusione dall’esperienza. Critichiamo la società capitalista in cui il denaro assume significati di differenza sociale e sopraffazione, perciò vogliamo sperimentare qualcosa di realmente diverso, lontano da quei meccanismi. Tra l’altro quello che raccogliamo con questo sistema è sempre abbondante, mai scarso”.
I Piumani pongono l’accento in particolare sulla relazione, sull’affettività e sul piacere di portare avanti valori come la bellezza della condivisione e della gratitudine. Condividono una certa radicalità rispetto ad alcuni temi, come il non fare uso di sostanze, compresi alcool e tabacco, seguire un’alimentazione vegana e, appunto, praticare un’economia che, oltre alla donazione si ispira all’essenzialità. “E’ possibile vivere con molto meno di quello che vogliono farci credere; molti bisogni che si riferiscono ad un certo tenore di vita, in realtà sono indotti e superficiali. Essi limitano le nostre vite nella convinzione che occorra un certo budget per poter vivere, ma non è così” prosegue Majid. Molti consumi che sembrano corrispondere a bisogni in realtà sono compensazioni della mancanza di un’amorevole connessione con se stessi, con il prossimo e con il contesto naturale. Si può davvero mangiare meno, vestirsi con abiti usati, non avere una macchina di proprietà oppure condividerla con altri, se si ha una buona dose d’amore tutti i giorni. “Vivere con molto meno ha un altro un vantaggio, oltre a diminuire l’impatto ambientale: toglierci dalla spirale del dover lavorare tanto per guadagnare tanto” afferma Majid, mentre mi spiega il modo che i Piumani hanno di intendere il lavoro. L’idea è quella di recuperare il più possibile il piacere del fare, perché si esprime un talento, una passione e ci si sente al servizio di qualcosa e degli altri. “Per noi è sano lavorare perché ci piace farlo, con i nostri ritmi e modi, non perché ci viene imposto per vivere o per raggiungere ambizioni economiche” conclude.
È l’intento anche del Festival del Dono, che ha visto la sua seconda edizione la scorsa estate presso l’incantevole location del Lago delle Lame (Ge), nato dal desiderio di alcuni di offrire uno spazio e un tempo in cui sperimentare se stessi nella totale gratuità. “La particolarità di questo festival non è soltanto il mettersi al servizio gratuitamente, ma condividere la vita per cinque giorni. Si sta insieme durante i pasti, durante le pratiche, e nei momenti liberi. Il Festival del dono è un modo di incontrarsi, direi purtroppo ormai sconosciuto, in un’ottica di completa condivisione e libertà” racconta Erika, una delle organizzatrici. Il festival non è solo un’occasione per godere di esperienze proposte, di pratiche offerte e di tempo di qualità, ma anche un’opportunità per sperimentarsi in un talento, in un contesto di accoglienza e non giudizio, superando timori e ansia da prestazione. “Quello che ho vissuto durante il ritiro è stato un senso di appartenenza, di famiglia allargata, di relazione autentica e di profonda condivisione. L’obiettivo è far sì che le persone sperimentino la magia del dare, percependone il benessere che procura, così che possano fare lo stesso nella loro quotidianità e diffondere questi valori” spiega Erika. Mentre lo scambio presuppone un dare e avere con un’equivalenza di valore, il dono consiste nel dare senza aspettative di ritorno o di una ricompensa. Si da per dare e non per ricevere qualcosa in cambio benché, in realtà, a qualche livello ci si sente comunque nutriti e spesso si vede tornare più di quanto ci si aspetti.
E allora perché si dona? Perché si cercano e si creano occasioni come i ritiri piumani o il Festival del dono in cui non vi è scambio economico ma si gode del piacere di condividere se stessi? Lo dice bene Aime, quando ci ricorda quanto la società in cui viviamo, urbanizzata, ormai digitalizzata e virtualizzata, non favorisca certo il maturare di una società personalizzata (Aime, 2002). Abbiamo perduto la socialità primaria, quella che necessita di una personalizzazione dei rapporti, in favore di una socialità secondaria in cui le relazioni si sviluppano tra funzioni e non tra individui (Aime, 2002). Vedo in queste occasioni di socialità diversa, il tentativo di recuperare un’economia degli affetti, in cui la relazione, la condivisione e il senso di appartenenza possono essere ancora percepiti e vissuti come centrali e dominanti.