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«Il cibo non può sottostare a mere logiche di mercato e allo strapotere delle multinazionali dell’agroindustria»: l’editoriale

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«L’agricoltura non può restare orfana dei contadini. Le associazioni del biologico e del biodinamico e i movimenti contadini si sono presi il loro spazio nel rivendicare ciò che lobby e politica vogliono negare: la produzione del cibo non può sottostare a mere logiche di mercato e non può dipendere da un manipolo di multinazionali dell’agroindustria che tengono in pugno tutto la filiera»: l’ editoriale di aprile del direttore di Terra Nuova, Nicholas Bawtree.
«Il cibo non può sottostare a mere logiche di mercato e allo strapotere delle multinazionali dell’agroindustria»: l’editoriale

L’agricoltura non può restare orfana dei contadini. È con questo principio ben in mente che le associazioni del biologico e del biodinamico e i movimenti contadini si sono presi il loro spazio nel rivendicare ciò che lobby e politica vogliono negare: la produzione del cibo che ci garantisce la vita non può sottostare a mere logiche di mercato e non può dipendere da un manipolo di multinazionali dell’agroindustria che tengono in pugno tutto la filiera.
Il pericolo è più che reale, siamo già nel collo dell’imbuto. Persino l’Unione Europea, che aveva promesso il Green Deal, si è rimangiata parecchio rispetto agli annunci iniziali. Negli ultimi decenni, il modello industriale applicato all’agricoltura ha portato il settore sull’orlo del baratro, eppure ai “piani alti” ci si ostina non solo a riproporlo, ma a cristallizzarlo nelle sue misure più inique e impattanti.
Come potete leggere nel nostro dossier tematico pubblicato sul numero di aprile della rivista Terra Nuova, i timidi – e anche tardivi – passi verso una politica agricola più sostenibile sono stati stroncati sul nascere, sottoposti alla pressione delle lobby dell’agroindustria e alla retorica tossica dei media mainstream. Il risultato? Una deriva “latifondista”, in cui i fondi europei della Politica Agricola Comune (PAC) continuano a privilegiare le grandi aziende a discapito delle realtà agricole più piccole e sostenibili, con distorsioni del mercato dovute proprio ai sussidi. Per non parlare del ritiro del Regolamento sull’uso sostenibile dei pesticidi, dei nuovi Ogm che vanno verso la liberalizzazione e dei brevetti sulle sementi.
Ma chi è impegnato nell’agricoltura virtuosa di piccola scala rilancia un’alternativa chiara e concreta, che conosce bene e che funziona: l’agroecologia. Questo approccio non solo rappresenta una via d’uscita dall’impasse attuale, ma promuove un modello basato sulla produzione di cibo di qualità a un prezzo equo.
In Italia, l’agricoltura biologica e biodinamica sta guadagnando terreno, rappresentando ormai il 17,5% della superficie agricola nazionale. Questo non è solo un segno di crescente consapevolezza, ma anche un’opportunità tangibile per abbracciare un modello di produzione che rispetti l’ambiente, i diritti degli agricoltori e la salute dei consumatori. Ogni giorno, le aziende biologiche e biodinamiche dimostrano il coraggio e la determinazione di seguire questa strada. Come cittadini e consumatori, abbiamo un ruolo cruciale da svolgere in questa transizione. Ogni volta che scegliamo di acquistare prodotti biologici, ci rivolgiamo a negozi bio, mercati contadini o opzioni di vendita diretta, stiamo sostenendo attivamente un’economia agricola più equa e sostenibile. È attraverso le nostre scelte quotidiane che possiamo fare la differenza, dando il nostro sostegno alle pratiche agricole che rispettano la natura e la salute umana.
È giunto proprio il momento di “cambiare il campo”, come affermato con forza alla omonima conferenza nazionale contadina tenuta a Roma lo scorso marzo. Dobbiamo abbandonare il fallimentare status quo e abbracciare con coraggio un futuro più sostenibile e equo. L’agroecologia non è solo un’alternativa, ma una necessità urgente per garantire la sopravvivenza del nostro Pianeta e delle generazioni future.
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