Integratori “fuorilegge”: le specie botaniche nel mirino dell’Unione europea
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In un contesto di crescenti restrizioni normative, la Commissione europea ha già posto i primi divieti, e ne sta predisponendo altri, all’uso di alcune specie botaniche presenti negli integratori alimentari, sollevando dubbi e critiche da parte di esperti e produttori del settore. Una «lista nera» di piante potrebbe presto limitare ulteriormente l’accesso a rimedi naturali di largo uso.
C’è grande preoccupazione nel mondo della ricerca sulle sostanze naturali e della produzione di integratori naturali a base di materie prime vegetali (i cosiddetti «botanici» o botanicals) per l’intenzione della Commissione Europea di procedere con la forte limitazione, o il divieto, dell’utilizzo di alcune piante, tra le più comuni, presenti in moltissimi prodotti attualmente utilizzati per il benessere intestinale.
Si tratta delle specie botaniche contenenti derivati idrossiantracenici (o antrachinoni), una classe di sostanze che la European Food Safety Authority (EFSA) ha etichettato come pericolose, benché nel proprio parere (1) abbia espressamente dichiarato che «persistono incertezze». A seguito di quel parere, la Commissione Europea ha già adottato un regolamento (2) con cui ha vietato l’utilizzo di aloe emodina, emodina e foglie di specie di Aloe negli integratori alimentari poiché contenenti derivati idrossiantracenici e ha messo «sotto osservazione» derivati di cascara, frangola, senna e rabarbaro, annunciando una decisione definitiva entro il 2025 e dando due anni di tempo per produrre studi che ne attestino la sicurezza.
Peraltro, la «scure» della Commissione UE sui botanici potrebbe non fermarsi agli idrossiantraceni, poiché, come spiega Marinella Trovato presidente di Siste e segretaria generale di Assoerbe, «c’è già una lunga lista di altre piante che potrebbe trasformarsi in una “lista nera” e persino semi di finocchio, basilico, curcuma e iperico sarebbero già “sub judice”.
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